Ho cominciato ad incontrarlo in diverse occasioni. Già negli anni Ottanta, quando si vedeva che ci sarebbero stati cambiamenti nell’allora Cecoslovacchia, mi chiedeva insistentemente se fossimo pronti per il cambio di regime, e in che modo stessimo pensando alla formazione intellettuale. Lui insisteva molto perché gli studenti andassero all’estero, si formassero fuori. La sua era la visione di una cultura sempre in dialogo.
In che modo portava avanti questo dialogo?
Veniva dal suo pensare teologico. Quando si è trovato ad essere a capo della sezione dottrinale della Congregazione della Dottrina della Fede, il cardinale Tomko lavorò perché il suo scopo cambiasse dall’idea della difesa della fede a quella di promozione della fede. Lui non voleva si mettesse in pericolo la libertà dei teologi. Per questo visitava le Conferenze Episcopali di tutto il mondo, per comprendere il pensiero lì dove nasceva. Sosteneva che uno dei ruoli principali dei vescovi era di insegnare la dottrina della fede. I vescovi non dovevano, per lui, essere in battaglia con i teologi, ma in collaborazione. I teologi andavano coinvolti nella struttura gerarchica non come opposizione, ma come arricchimento.
Come definirebbe questo aspetto?
Si trattava di un aspetto pastorale che poi ha potuto sviluppare in appieno da Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Lui amava viaggiare, e questa passione per i viaggi lo aiutava a vedere le Chiese locali da vicino, nel mezzo del loro lavoro. Quando andava in visita non si limitava a rimanere nelle nunziature e ad inviare i missionari. Andava, piuttosto, nelle missioni, stava con i religiosi, vedeva da vicino il loro lavoro.
Il lavoro che ha lasciato è poderoso. Come faceva?
Aveva il dono della buona memoria, della buona salute, della buona intelligenza. Leggeva sempre tutti i materiali presentati, li comprendeva e faceva suoi molto velocemente.
Lei come ha conosciuto personalmente il Cardinale Tomko?
Io lo conoscevo dai suoi commenti ai testi del Concilio Vaticano II, pubblicati a Roma e clandestinamente portati in Slovacchia. Il Concilio era magnetico per noi in Slovacchia, e lui avvicinava il Concilio a noi. Quando io poi sono diventato portavoce dell’episcopato slovacco, mi invitava spesso a Roma e poi abbiamo cominciato una frequentazione ancora più stretta.
Perché ha raccolto le parole del cardinale Tomko?
Volevo raccogliere il suo pensiero, volevo ricordarlo. Il libro raccoglie 46 ore di intervista, abbiamo camminato a lungo, nella natura, e lui raccontava. Mi ha colpito l’esattezza con cui ricordava le cose. Parlava molto lentamente, con frasi molto pensate e molto maturate. Non voleva parlare di se stesso, e io gli spiegavo che le grandi idee teoriche devono comunque essere fissate su una storia personale.
E quali sono le storie personali che le sono rimaste impresse?
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Per esempio, il ricordo del Natale che trascorreva da ragazzo. Da noi, quando ci sono i presepi, c’è sempre un ragazzo della casa delle missioni per le offerte per i Paesi del Terzo Mondo. Il Cardinale Tomko diceva di guardare questo ragazzo in maniera affascinata, sviluppando già allora del suo interesse per missioni della Chiesa.
C’è un erede del Cardinale Tomko?
Ora stiamo raccogliendo i frutti, dopo diversi anni di vuoto generazionale. Dai “circoli” del cardinale Tomko viene, ad esempio, l’arcivescovo Cyril Vasil, ora eparca di Kosice, ma anche l’ex rettore della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino Miroslav Adam, il teologo Peter Dubovsky è nella Pontificia Commissione Biblica. Si è confermato quello che diceva sempre il Cardinale Tomko: in certi compiti si deve maturare con anni di lavoro duro. Lo rimproveravano di non aiutare a nessuno ad entrare in Curia, ma lui sosteneva che ci vogliono anni di preparazione.
Quali sono le caratteristiche del Cardinale Tomko che le restano più impresse?
La vicinanza all’uomo, il senso del lavoro, il sentire della Chiesa. Quest’ultimo aspetto viene dal nostro essere slovacchi. Ogni Paese ha una caratteristica di spiritualità, in Slovacchia la caratteristica è quella di una grande devozione mariana e un grande amore per il Papa.
Ma come mai la Slovacchia è rimasta cattolica, mentre la Repubblica Ceca?