Più asciutto, in Perfetto stile anglosassone, il parere di Rodney Dixon, un esperto avvocato internazionale sui diritti umani. In 19 pagine, punti molto precisi, ha preparato il suo parere su richiesta di Raffaele Mincione, uno degli imputati del processo, che fu il primo gestore dell’investimento della Segreteria di Stato nell’immobile di Londra.
Dixon ha sottolineato che gli Stati dovrebbero rifiutare di cooperare con il Tribunale Vaticano, e anche rifiutare di rispettarne le sentenze, considerando che il processo è stato “rovinato da sostanziali violazioni di obblighi legali ben stabiliti applicabili a tutti i procedimenti penali”.
Anche Dixon ha messo in luce le anomalie create dai rescritti papali, ma anche il rifiuto del tribunale di permettere a Mincione di chiamare sette testimoni e il rifiuto del Promotore di Giustizia di fornire tutte le prove al difensore.
Dixon ha lamentato che Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale vaticano, ha continuamente respinto al mittente le accuse di non star presiedendo un giusto processo, arrivando a dire, in una ordinanza dell’1 marzo 2022, che la Santa Sede non ha, è vero, aderito ad alcune convenzioni dei diritti umani, ma che comunque le sue leggi incorporavano pienamente quei principi, notando come sia il tribunale italiano che quello svizzero avevano precedentemente riconosciuto l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici vaticani, e che i giudici sono soggetti “solo alla legge.
Certo, non veniva notato – ma è una nota a margine – che una sentenza a Londra, del giudice Tony Baumgartner, metteva in luce le anomalie del processo, arrivando a definire una mischaracterization dei fatti per come erano stati delineati dal promotore di Giustizia vaticano.
Le domande che restano aperte
Il lavoro dei canonisti e degli esperti dei diritti umani è solo l’inizio di quello che sarà probabilmente un grande dibattito nel campo del diritto internazionale. Ma come si calano nella realtà queste note critiche? Quali sono i fatti che sono all’origine di questo vulnus nel sistema vaticano?
Si è detto delle perquisizioni all’Autorità di Informazione Finanziaria e alla Segreteria di Stato che hanno portato alla sospensione della Santa Sede dal circuito delle comunicazioni sicure del Gruppo Egmont. È un dato che non va sottovalutato, perché le perquisizioni hanno riguardato documenti dell’organismo di governo e documenti di intelligence, i primi soggetti ad una naturale riservatezza, i secondi frutto dello scambio di informazione con Paesi terzi, che non possono essere soggette al vaglio dei magistrati vaticani. In che modo, dunque, la Santa Sede sarà credibile a livello internazionale? Come MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa alla cui valutazione la Santa Sede si sottopone per quanto riguarda gli standard di trasparenza finanziaria internazionale, valuterà gli sviluppi?
Tra l’altro, MONEYVAL aveva raccomandato che almeno uno dei giudici vaticani e dei promotori di giustizia fosse impiegato full time nello Stato. Questa disposizione era stata recepita nella riforma penale vaticana, ma poi cancellata da Papa Francesco con un colpo di penna nell’ultimo cambiamento all’ordinamento giudiziario il 12 aprile 2023. Se l'impiego part time di giudici e promotori di giustizia poteva essere giustificato con il fatto che il Vaticano fosse un micro-Stato e che la mole dei processi non fosse significativa, ora questa giustificazione non è più possibile. Ci sono processi ampi, che riguardano il diritto dello Stato di Città del Vaticano, e con indagini portate avanti in maniera massiva. Ci vogliono giudici e promotori di giustizia full time e completamente a proprio agio nell’ordinamento vaticano.
Tanto più che, a parte il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone, tutti i magistrati vaticani hanno incarichi in Italia o presso altre istituzioni sovrane come l’Ordine di Malta. A volte, sono avvocati in Italia e pubblica accusa di Vaticano, e così si trovano incredibilmente a difendere il giusto processo in Italia ma poi a favorire la procedura sommaria in Vaticano.
La terza questione, infatti, riguarda proprio il modo in cui sono state sia svolte le indagini che definiti i primi provvedimenti. Ci troviamo di fronte a officiali vaticani sospesi dal servizio con documenti senza firma dei superiori né alcun giudizio di condanna, come invece prevede la normativa della Santa Sede. Ci sono state perquisizioni in zone extraterritoriali della Santa Sede che, secondo l’articolo 15 del Trattato Lateranense, sono considerate territorio italiano e sul quale la Gendarmeria vaticana non avrebbe giurisdizione, perché vi si applica la legge italiana e ne sono competenti le autorità italiane. Ci sono state – lo hanno denunciato più volte gli avvocati in aula durante il processo – perquisizioni e sequestri senza fornire copia del verbale né la presenza dell’avvocato.
I rescripta di Papa Francesco, oltre al processo sommario e all’autorizzazione a compiere le indagini con ogni mezzo, prevedevano, come detto, anche l’ausilio di mezzi di intercettazione. Ma allora ci sono altre domande: le registrazioni sono state fatte solo in Vaticano o anche in Italia e in altri Paesi? In caso, in che modo ci si è interfacciati con le legislazioni degli altri Paesi?
E ancora: dove sono custoditi i file delle intercettazioni? Sono stati distrutti? Se sono stati distrutti, chi garantisce che questo sia avvenuto in coerenza al diritto alla privacy e all’oblio come previsti dal regolamento europeo?
Sono domande che bruciano, e che sono emerse tutte durante il processo. Tra l’altro, non avendo la Santa Sede firmato la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, non è possibile il vaglio delle sentenze, e questo non garantisce lo standard dell’articolo 6 della CEDU, in cui si legge che “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Già se il Promotore di Giustizia avesse seguito l’istruzione formale, invece di quella sommaria, avrebbe garantito un effettivo diritto alla difesa. Ma questo non è avvenuto.
Altre questioni riguardano l’intervento diretto di Papa Francesco su una specifica indagine condotta dal Promotore di Giustizia. In altre parole, è il sovrano che interviene sul pubblico ministero. Ma questo è coerente con il ruolo istituzionale del Santo Padre come Capo della Chiesa cattolica universale? E, soprattutto, garantisce la piena auto-nomia e indipendenza del Promotore di Giustizia?
Sono questioni che dovrebbero essere poste a livello internazionale, nelle sedi competenti, anche perché la Santa Sede non ha firmato molti strumenti internazionali che consentirebbero un monitoraggio della questione. Sarà un dibattito che potrebbe estendersi a Strasburgo, Bruxelles, Ginevra e New York.
La questione dei dossier
C’è poi un aspetto del processo vaticano che si collega con la recente indagine riguardo gli accessi illeciti nel sistema informatico della Direzione Nazionale Antimafia, che coinvolge il finanziere Pasquale Striano. Sulla questione si è soffermato l’ex magistrato Otello Lupacchini in un incontro su “La Giustizia nello Stato di Città del Vaticano e il caso Becciu” organizzato da Quaderni Radicali lo scorso 14 marzo.
Lupacchini si è chiesto come non considerare il fatto che i magistrati vaticani "provengono dall'Italia o assai spesso sono legati alla Guardia di Finanza, alla quale appartiene anche il luogotenente Striano”, specialmente alla luce del fatto che gli accessi abusivi riguardano anche personaggi coinvolti a vario titolo nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato – in particolare gli imputati Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi, Fabrizio Tirabassi, Cecilia Marogna e anche il deputato Giancarlo Innocenzi Botti, il quale aveva portato sul tavolo una offerta per il palazzo di Londra riferita da Becciu al Papa e anche oggetto di uno scambio epistolare tra lo stesso Cardinale e Papa Francesco.
Lupacchini ha notato che gli accessi illeciti non sono “cose accadute quando ormai l’indagine era avviata e il processo in corso”, ma di cose “che hanno determinato l’insorgenza dell’indagine stessa perché queste introiezioni nel sistema avvengono a partire da una epoca antecedente al procedimento penale dell’inchiesta”.
Infatti, l’acquisizione delle informazioni abusive sui personaggi coinvolti nel processo vaticano iniziano il 22 luglio 2019 “ben quattro mesi prima della perquisizione negli uffici della Segreteria di Stato” – nota Lupacchini – e proseguono per il tempo successivo”.
La fuga di notizie sulle indagini vaticane porta alle dimissioni del comandante della Gendarmeria vaticana Domenico Giani il 15 ottobre 2019, e il Papa lamenta la sofferenza causata alle persone coinvolte. Lupacchini si chiede: “Cosa c'è dietro a quello che viene definito da Cantone un verminaio per gli accessi abusivi e l'estrazione di file su materie delicate sottratte alle banche dati a cui aveva accesso il luogotenente Striano presso la DNA? Noi non lo sappiamo, tuttavia sappiamo chi ne ha beneficiato e sappiamo quale uso sia stato fatto dai documenti: le denunce di operazioni sospette relative alla vicenda Becciu”.
Sulla vicenda è stato aperto un fascicolo dal Promotore di Giustizia vaticano.
Quello dell’asse Italia – Vaticano è una questione tutta da esplorare. Anche perché la Santa Sede aveva lavorato per anni per spostare i suoi interessi e il suo polo di interesse su un piano più internazionale di quello che si basava su un rapporto privilegiato con l’ingombrante vicino italiano. Uno sforzo che, oggi, sembra essere stato vanificato. Ci si trova di fronte a un sistema giudiziario profondamente dibattuto e ad una credibilità internazionale sempre più messa a rischio. Un passo indietro, in fondo, che potrebbe avere pesanti conseguenze.