L'Aquila , venerdì, 15. marzo, 2024 18:00 (ACI Stampa).
Il momento forse più commovente, dopo il dolore e la disperazione dei giorni del sisma del 2009, forse L’Aquila l’ha vissuto quando sono stati tolti gli ultimi ponteggi intorno alla basilica di Santa Maria di Collemaggio, nel 2017. La chiesa è tornata al suo splendore, la sua bellezza riluce dal colle da cui da secoli accoglie pellegrini, fedeli, turisti, amanti dell’arte. Il suo restauro ha aperto alla speranza di una vita che ricomincia. E oggi la città così crudelmente ferita riceve una nuova, grande speranza per il futuro: è stata nominata capitale della cultura in Italia per il 2025.
Pensare alla città che il prossimo anno sarà capitale della cultura porta a visualizzare immediatamente l’immagine della chiesa, fondata nel 1288 per volere di Pietro da Morrone — qui incoronato papa con il nome di Celestino V il 29 agosto 1294 — simbolo della città, appunto, e dichiarata monumento nazionale nel 1902. Dal 1327 ospita le spoglie del pontefice, attualmente conservate all'interno del mausoleo di Celestino V, realizzato nel 1517 da Girolamo da Vicenza, maestro di Andrea Palladio. È sede di un giubileo annuale, il primo della storia, istituito con la Bolla del Perdono del 29 settembre 1294, oggi noto con il nome di Perdonanza Celestiniana e inserito dall' Unesco tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità; esiste, dunque, una Porta Santa inserita nella facciata laterale.
Immaginare la basilica di Santa Maria di Collemaggio, per un gioco di rimandi e di memorie, ci fa visualizzare anche un’altra figura: quella di Ignazio Silone che vi si reca durante una delle famose celebrazioni della Perdonanza. Ed è proprio nel descrivere questo percorso che inizia l’ultimo romanzo dello scrittore abruzzese, L’avventura di un povero cristiano, nel 1968, dedicato a Celestino V, racconto, memoriale, testo poetico e teatrale di grande forza e ricco di intuizioni e riflessioni e purtroppo oggi poco letto e conosciuto dalle giovani generazioni, accantonato anche da chi l’ha letto in gioventù.
La storia del monaco, eremita e umile Pietro che, divenuto Papa nel 1294 con il nome di Celestino V, abdica pochi mesi dopo, disegna la parabola di un uomo che non vuole e non si sente in grado di esercitare il potere, in cui Silone identifica appunto la reazione all’inevitabile tradimento delle idee originarie da parte di ogni istituzione sociale.
Celestino è ritratto come un pazzo sapiente, coraggioso ed eroico, che – scoperta l’impossibilità pratica di conciliare l’esercizio del potere con gli ideali – si allontana dal potere stesso e preferisce orientare la sua missione sulla testimonianza culturale e della sua stessa vita. Egli ha avuto “due vocazioni, e tutte e due di una forza eccezionale, direi quasi irresistibile: quella dell’eremita e quella del pastore; due vocazioni è capitato anche ad altri e può essere principio di grandi dolori. E’ una grazia che può diventare una disgrazia.”. Accetta il compito che gli viene richiesto, convinto di fare un servizio alla Chiesa e al popolo dei fedeli, ma ben presto capisce che i giochi politici e di potere, i piccoli, grandi tradimenti, non sono compatibili con la sua natura di uomo di preghiera e di profonda onestà e umiltà. Così prende la decisione di dimettersi, di fare quello che Dante definirà “il gran rifiuto”, per tornare alla sua vita di contemplazione e di preghiera, di solitudine e insieme di vicinanza ai più poveri ed umili. Ma il suo successore, papa Bonifacio VIII, eletto poche settimane dopo la rinuncia, non poteva lasciarlo andare. Troppi i pericoli di uno scisma, troppi i rischi di un pontefice rinunciatario con la fama di santo e troppi i cardinali non fedeli al nuovo vescovo di Roma e legati al re di Napoli. Pietro finisce in una torre, a Fumone, nel frusinate, dopo pochi mesi di terribile prigionia.