Non vi è dubbio che la diplomazia vaticana ha saputo sviluppare nel corso degli ultimi vent’anni nuove occasioni per il progresso e la ricerca della pace e notevoli capacità di mediazione forgiata dalla sua lunga esperienza storica e di neutralità, riadattandosi alle nuove sfide di globalizzazione che caratterizzano il XXI secolo.
Lei è l'ultimo ambasciatore che ha presentato le credenziali a San Giovanni Paolo II. Al di là dei discorsi ufficiali, c'è qualcosa che Giovanni Paolo II le ha detto di particolare in occasione della presentazione delle lettere credenziali?
Ho avuto il grande onore e la grande fortuna nella mia carriera diplomatica di presentare le mie lettere credenziali nel 2003 proprio a San Giovanni Paolo II. Mi ricordo come se fosse ieri, il battito forte del mio cuore, la mia immensa emozione di essere ricevuto come Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede da colui che vedevo come una leggenda vivente. “Questo è un ulteriore segno positivo dell’amicizia e della cooperazione che continua a crescere tra noi”, commentò il Santo Padre nel suo discorso, aggiungendo quanto fosse un “passo significativo per la Nazione” la firma del Trattato di adesione della Repubblica di Cipro all’Unione europea. Ma ancora di più non dimenticherò mai quella sua umanità genuina, quando girando lo sguardo verso mio figlio Fotis, alto due metri, lo guardò colpito e gli chiese con il suo sorriso benevole “com’è il tempo da lì su?”. Ma anche la sua grande preparazione e profonda cultura politica quando mi disse che “lavora e prega per la pace e la riunificazione della nostra martoriata isola di Cipro”, che ad oggi compie 50 anni di occupazione militare.
Lei rappresenta Cipro, l'ultimo Paese con un "muro" in Europa. In che modo ha potuto portare la situazione di Cipro all'attenzione della Santa Sede? In che modo ha ricevuto riscontri?
Sfortunatamente, a causa dell’invasione del 1974 e della persistente occupazione militare del 37% del suo territorio, la Repubblica di Cipro continua a essere divisa con la forza degli armi. Le disastrose conseguenze di questa invasione, dell’occupazione e della divisione forzata che nel 2024 conta 50 anni, sono le costanti violazioni dei diritti dell’uomo, la colonizzazione massiccia dei territori occupati, l’usurpazione di proprietà e la distruzione sistematica dei monumenti storici. Tuttora la questione di Cipro rimane irrisolta.
Quale è il suo lavoro da ambasciatore in questa situazione così particolare?
Il mio lavoro come Ambasciatore di Cipro è la constante ricerca di approfondimento e coltivazione delle relazioni bilaterali con la Santa Sede e con tutti gli stati accreditati, basate sul rispetto reciproco per i valori universali della pace, i diritti umani e le libertà religiose e la protezione della dignità umana e della nostra casa comune. Come Ambasciatore di uno stato che ancora oggi soffre le conseguenze dell’occupazione sicuramente è mio compito aggiornare le autorità della Santa Sede sugli sviluppi e processi relativi alla questione di Cipro, sugli sforzi del mio governo e del popolo cipriota per ottenere una soluzione durevole di pace che apra la strada a una vera, pacifica e sicura riunificazione del nostro paese, una soluzione che restauri e rispetti i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali di tutto il popolo, dei greco-ciprioti, dei turco-ciprioti, dei maroniti, degli armeni e dei cattolici di rito latino.
Come sono le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cipro?
L’anno appena trascorso è stato segnato da un importante anniversario, quello di 50 anni di rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Repubblica di Cipro. L’eccellente livello delle nostre relazioni bilaterali dimostrano le visite Apostolica di Papa Benedetto XVI nel 2010 e del Papa Francesco nel 2021 a Cipro. Da non dimenticare la visita di S.E. Arcivescovo Gallagher, Segretario per le Relazioni con gli Stati a Cipro nel 2016 e naturalmente le sette visite ufficiali dei nostri Presidenti al Santo Padre e la Santa Sede.
Quali sono state, secondo lei, le differenze di approccio diplomatico tra Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco?
L’approccio diplomatico dei tre Papi è comune e condiviso, sempre a servizio del bene dell’umanità, con la finalità di contribuire alla costruzione di una pacifica convivenza e fratellanza tra i popoli, alla tutela della dignità umana e allo sviluppo integrale dell’uomo e i suoi diritti fondamentali.
Ovviamente, l’esercizio e la funzione della loro opera diplomatica assumono sfumature diverse nel momento in cui ogni Pontificato incide con le sfide e gli avvenimenti storici dello specifico momento temporale.
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Cosa significa rappresentare il proprio Paese presso una realtà peculiare come è quella della Santa Sede?
La Santa Sede è una realtà peculiare perché la sua vocazione universale, la sua neutralità ed espressione morale rendono la propria diplomazia disinteressata ai fini economici, militari e nazionalisti. La sua missione è indirizzata alla sollecitudine e il servizio a favore dell’umanità, la tutela della pace e il rispetto dei diritti umani. Questa natura extra partes rende la Santa Sede un ottimo attore politico a livello internazionale, un soft power in grado di intervenire come mediatore durante le crisi e una bussola morale su temi che riguardano la tutela della dignità umana. Noi Ambasciatori presso la Santa Sede siamo consapevoli e rispettosi verso la missione pacifica della Santa Sede. Il Corpo Diplomatico che ho l’onore di rappresentare come Decano dal 2018, è una grande famiglia unita che coltiva il dialogo e il rispetto reciproco. Al contrario di quello che molto spesso succede in altri paesi noi Ambasciatori presso la Santa Sede non siamo in competizione tra di noi per la compravendita di nessun prodotto, armamenti inclusi, e cerchiamo in tutti i modi di seguire il grande desiderio del Santo Padre per la pace e la fratellanza umana.