Città del Vaticano , lunedì, 19. febbraio, 2024 14:00 (ACI Stampa).
Venivano quasi tutti da Minya, in Egitto, i 21 copti (di cui 15 egiziani) che il 15 febbraio 2015 furono portati sulle spiagge di Libia e decapitati a motivo della loro fede. Martiri per la Chiesa copta di Egitto, e martiri anche per la Chiesa cattolica, perché Papa Francesco ha deciso di inserire i loro nomi nel Martirologio Romano e di celebrarne la memoria nel giorno del martirio. In questo modo, si dava forma concreta alla sfida che fu lanciata dallo stesso Papa Francesco: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”
Le parole di Papa Francesco sono rimarcate dal Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nell’omelia della celebrazione ecumenica che si è tenuta nella Basilica di San Pietro, nella Cappella del Coro, nella prima occasione della memoria dei martiri di Egitto. Dopo, è stato proiettato nella Filmoteca Vaticana “I 21. La potenza della fede”, un documentario sulla vita dei martiri girato proprio nel villaggio da dove provenivano i martiri, che aveva il patrocinio del Patriarcato copto. Un film che mostra le famiglie di questi martiri della quotidianità, cresciuti in un ambiente dove il morire per difendere la propria fede è una possibilità. Sono i santi di ogni giorno, di cui parla Papa Francesco. Basti pensare che il programma Hungary Helps per i cristiani perseguitati fu inaugurato proprio con un sostegno alle famiglie di questi martiri. Fu chiesto loro di cosa avevano bisogno, chiesero delle mucche, che servivano per il loro sostentamento. Il governo ungherese accontentò le famiglie.
L’ecumenismo dei martiri, dunque. Il Cardinale Koch centra tutta la sua omelia sul tema, intitolata appunto “Il Martirio cristiano: un sommo atto d’amore”. Il capo del dicastero ecumenico vaticano ricorda che Gesù “non chiama i suoi discepoli servi, ma li chiama amici”, un dono prezioso, perché poi è lo stesso Gesù che dice che non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici.
Gesù Cristo stesso – dice il Cardinale – “non ha risposto con la violenza e con la vendetta alla violenza subita, ma ha trasformato la violenza in amore per noi uomini. L’unica vendetta che Gesù conosce è la croce, ovvero il rifiuto categorico della violenza e l’amore fino alla fine”.
E in nessun luogo l’amore di Cristo si “manifesta così concretamente e così profondamente”, tanto che il Cardinale Koch arriva ad affermare che “la croce è la conseguenza più radicale del suo amore per noi esseri umani”.