Roma , venerdì, 16. febbraio, 2024 18:00 (ACI Stampa).
Vivere è una lotta costante, rischiosa. E’ come camminare su un filo teso sopra l’abisso, quando l’equilibrio può mancare da un momento all’altro. E la vita che il sistema sociale ci costruisce attorno sembra perennemente spingerci dentro quell’abisso, con le sue convenzioni, le sue “maschere”, con le sue stolide imposizioni.
Il passo verso la follia, o meglio che la vita sociale definisce follia, ogni minimo tentativo di ribellione o di alternativa alle due ferree regole, è singolarmente breve. Lo sa bene il protagonista di un celeberrimo racconto di Gogol dal titolo proprio di "Memorie di un pazzo”, che la casa editrice Adelphi a breve riproporrà una bellissima traduzione di Serena Vitali, a sua volta, potremmo dire, un vero e proprio classico. Il povero impiego, frustrato e vessato da colleghi, capi, direttori, padroni di casa, isolato, in una città che diventa sempre meno comprensibile e sempre più ostile, non può che gettarsi tra le spire della follia.
Ma davvero non c’è alternativa? Non ci sono strade che portino alla vera libertà, senza doversi annientare nell’insensatezza?
Gogol trova quella strada nella fede, in quella sua conversione che, a sua volta, diventa follia o comunque insensatezza, per i suoi estimatori e amici radicalrivoluzionari, in particolare il critico letterario che in questo momento, in Russia, nella prima metà dell’Ottocento, è il più importante e influente, Belinskij, che lo ha incensato come scrittore. Belinskij rimprovera a Gogol di non vedere che la Russia aveva bisogno di altro: «della civilizzazione, dell’educazione, dell’umanitarismo». La risposta di Gogol è che i suoi “accusatori” non riescono a cogliere la dimensione spirituale nel suo rapporto con la realtà sociale: « La società migliora solo quando ogni singola persona si impegnerà e vivrà da cristiano [...]. Tutto allora andrà a posto, da sole si stabiliranno corrette relazioni fra le persone e l’umanità andrà avanti».
La fede, dunque, è la dimensione che salva, che da’ certezza, che da’ il senso a tutta la realtà, contro la follia che altrimenti assedia l’uomo, l’uomo moderno in particolare, l’uomo che si prepara a diventare “massa” (la trasformazione avverrà compiutamente nel Novecento, insieme all’alienazione e alla solitudine delle metropoli) lo rende schiavo, ancora più schiavo.