Il comunicato conclude: “Riconosciamo le possibilità del dialogo franco, discreto, prudente e molto serio, un dialogo responsabile e attento, che ha reso possibile arrivare oggi a questo giorno di lode al Dio di tutti, che ci illumina e guida per continuare a coltivare la confidenza, e per aumentare, a partire dalla fede e dalla tranquillità dello spirito e al diritto alla giustizia e alla vita delle famiglie nicaraguensi”.
Papa Francesco, durante il suo discorso di inizio anno al Corpo diplomatico dell’8 gennaio, aveva detto: “Desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa Cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione”. Le parole del Papa, viste con il senno di poi, erano un segnale al governo Ortega che il dialogo già intrapreso poteva e doveva andare avanti.
Non è la prima volta che avviene una liberazione simile. Già nell’ottobre 2023, dodici sacerdoti imprigionati furono inviati dal Nicaragua a Roma.
I vescovi arrestati
Tra le persone ora in arrivo a Roma c’è, come detto, il vescovo di Matagalpa, che fu messo agli arresti domiciliari già all’inizio di agosto 2022 insieme a sacerdoti, seminaristi e un laico. Quindi, due settimane dopo, la polizia del Nicaragua irruppe nella casa di Álvarez, prelevò il vescovo e lo porto a Managua.
Il 10 febbraio 2023, in un processo molto contestato, Álvarez è stato condannato a più di 26 anni di carcere con l’accusa di essere traditore della patria. È stato da allora recluso in una prigione conosciuta come “La Modelo”, che ospita soprattutto prigionieri politici.
L’arresto del vescovo Mora è avvenuto il 20 dicembre 2023, nel mezzo di una serie di arresti del regime contro sacerdoti cattolici che è arrivato a più di 15 detenzioni in un mese. La “colpa” di Mora era stata quella di aver celebrato il giorno prima una Messa a Matagalpa e aveva chiesto nell’occasione ai fedeli di pregare per il vescovo Álvarez.
A inizio gennaio, Papa Francesco aveva chiesto la liberazione del vescovo, e aveva trovato una sponda nel portavoce del Dipartimento di Stato USA Matthew Miller, il quale aveva chiesto la liberazione incondizionata del vescovo.
Un canale diplomatico nascosto
La liberazione testimonia, comunque, la presenza di un canale diplomatico e non è cosa di poco conto. La nunziatura di Managua è stata svuotata nel marzo 2023, su richiesta del governo Nicaraguense. Sebbene il gesto fosse una vera e propria rottura, e una escalation negli attacchi del Nicaragua alla Santa Sede che sono arrivati anche all’espulsione del nunzio, il governo nicaraguense aveva sottolineato che si trattava di una sospensione, ma non di una chiusura dei rapporti diplomatici.
La crisi in Nicaragua si trascina dal 2018, quando le manifestazioni per la riforma delle pensioni sfociarono nella violenta repressione del governo. All’inizio del 2022, il governo Ortega ha anche abolito il titolo di decano del corpo diplomatico, diritto che spetta al nunzio dai tempi della Convenzione di Vienna, e poi ha anche espulso in maniera inopinata e sorprendente anche per la Santa Sede lo stesso nunzio, l’arcivescovo Walder Sommertag, che è stato poi destinato ad un’altra nunziatura.
In precedenza, era stato il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Báez, a essere chiamato dal Papa Francesco a Roma nel 2019, con una decisione improvvisa in mezzo a una recrudescenza della violenza.
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I precedenti
Ma c'è stato un precedente ancora più lontano: nel 1986, Pablo Antonio Vega, vescovo-prelato di Juigalpa e vicepresidente della Conferenza episcopale di Nicaragua era stato esiliato dal Nicaragua. La stessa sorte era toccata quell'anno a monsignor Bismarck Carballo, portavoce dell'arcivescovo di Managua.
La posizione di Papa Francesco
Papa Francesco è sempre informato della situazione in Nicaragua, e ha dedicato diversi appelli al Nicaragua da quando è scoppiata la crisi nel 2018. C'era un motivo preciso. All'inizio della crisi, nata da una riforma pensionistica del governo Ortega ma sintomatica di un più ampio malcontento della popolazione, sembrava esserci uno spazio di mediazione per la Chiesa nel cosiddetto dialogo nazionale.
Il ruolo dei vescovi
I vescovi erano stati chiamati come "mediatori e testimoni". Ma il loro ruolo è diventato impossibile quando sono ripresi gli scontri tra le autorità nicaraguensi e i manifestanti.