E allora, in conclusione, qual è stato questo “vero sviluppo” rispetto a quanto era stato già detto al riguardo nel magistero e nei testi ufficiali della Chiesa?
Non ci si crederà, ma è stato – dopo secoli e secoli - l’essere arrivati alla comprensione, teologica e pastorale, che esiste una precisa distinzione tra le benedizioni rituali e liturgiche, come avviene nel matrimonio, e le benedizioni “spontanee”, più assimilabili ai gesti della devozione popolare, e quindi “applicabili”, diciamo così, anche a quanti non vivono secondo le norme della morale cristiana ma chiedono “umilmente” di essere benedetti.
La Chiesa, nel nome di un Dio che è amore, non può non aprire le braccia a tutti, essere misericordiosa con tutti, dare un “posto” anche a chi non rispetta la sua dottrina, le sue regole.
Lo ha detto anche Francesco in Portogallo alla Giornata mondiale della Gioventù: “…Tutti, tutti. Non mettiamo dogane nella Chiesa. Tutti!”. Ma questa “accoglienza universale” – come ha spiegato la rivista dei gesuiti, “Civiltà Cattolica” – non significa affatto relativismo, né mettere da parte i valori ideali. “…quando il Papa parla di accogliere tutti, non si riferisce, in particolare, a coloro che si sono risposati civilmente dopo il fallimento di un matrimonio sacramentale, o alle persone omosessuali. La preoccupazione del Papa è molto più ampia…”.
Ebbene, proprio per come è impostata, la “Dichiarazione” del dicastero vaticano sembrerebbe invece far trasparire una certa relativizzazione della dottrina. Mi spiego. Diceva Giovanni XXIII, all’apertura del Concilio Vaticano II: “Altra è la sostanza dell’antica dottrina del ‘depositum fidei’, e altra è la formulazione del suo rivestimento”. Un distinguo che spingeva a far evolvere la comprensione delle questioni di fede e di morale. Mentre qui, nella “Dichiarazione”, questa migliore comprensione dell’”antica dottrina” viene per così dire forzata in funzione di una maggiore attenzione ai cambiamenti sociali, culturali e antropologici del nostro tempo.
E come spiegarla?
E’ appunto la “novità”, chiamiamola così, portata dal cardinale Fernandez alla guida della Congregazione per la dottrina della fede. Per la verità, quand’era ancora in Argentina, come ghost-writer dei maggiori documenti pontifici, era già lui il diretto ispiratore delle aperture di Francesco sul fronte morale. E adesso, arrivato in Vaticano, ha impresso una forte spinta al pontificato di Bergoglio nel segno della discontinuità con il magistero dei predecessori. Ma basta leggere la “Dichiarazione” che ha dato il via libera alla benedizione anche di coppie irregolari o dello stesso sesso.
Ma che cosa l’ha più colpita?
Il percorso che la “Dichiarazione” segue pur di arrivare all’obiettivo prestabilito. Ci si addentra in una incredibile rilettura della storia del cristianesimo, cercando di “trovare” a ogni passo un accenno, un riferimento alla benedizione. Ed è appunto qui che si fa una scoperta clamorosa, scioccante. “…abbiamo bisogno di lasciarci illuminare anzitutto dalla voce della Sacra Scrittura”, si legge. Ma poi si salta completamente la Genesi, la creazione del mondo e dell’uomo. “Dio creò l’uomo simile a sé,/ lo creò a immagine di Dio,/ maschio e femmina li creò./ Li benedisse con queste parole:/‘Siate fecondi, diventati numerosi,/ popolate la terra…’.”
Chiaro che partire da lì, riproponendo l’ideale del matrimonio cristiano, avrebbe rischiato di dispiacere i veri “destinatari”. E così, si parte invece dal libro dei Numeri. Poi, dal Vecchio al Nuovo Testamento. Quindi, si passa a considerare il valore di un approccio pastorale delle benedizioni, in rapporto specialmente alla pietà popolare. Ed essendo tali benedizioni rivolte a tutti, gente che per strada incontra un sacerdote, anziani, malati, gruppi e associazioni di volontari, “nessuno ne può essere escluso”. E, naturalmente, anche le coppie in situazioni irregolari o dello stesso sesso.
Ma non sembra un testo molto contraddittorio al suo interno?
Altro che contraddittorio! Prova ne sia che la Congregazione, il 4 gennaio, ha dovuto pubblicare un comunicato stampa di ben cinque pagine per facilitare la ricezione di un documento che evidentemente tanto “chiaro”, come si rivendica, non era. Ma anche, diciamo la verità, per fare un passo indietro di fronte alla furiosa reazione di molti episcopati. E comunque, peggiorando le cose.
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Sul finire della “Dichiarazione”, c’è un punto che, se già non fosse ai limiti del grottesco, potrebbe suonare come un atteggiamento discriminatorio proprio verso quelle persone che si vorrebbe far avvicinare alla Chiesa. Ed è là dove si dichiara che questa benedizione, a coppie irregolari o dello stesso sesso, “mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi”. E poi, testualmente, “neanche con degli abiti, gesti o parole proprie di un matrimonio”.
Ebbene, nel comunicato stampa, si fa ancora di peggio. Si precisa che queste benedizioni pastorali “debbono essere soprattutto molto brevi”, “si tratta di 10 o 15 secondi”. Come dire che la misericordia divina, per queste persone, più di tanto non può andare.
In conclusione?
Che forse non c’era bisogno di una così solenne “Dichiarazione” perché una donna e un uomo, che riconoscono onestamente di non essere con la coscienza a posto, decidano di rimettersi in rapporto con Dio. Magari, accostandosi a un confessionale.