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Alle origini dello IOR, tra miti e realtà

Un libro con documenti inediti racconta la storia dell’Istituto delle Opere di Religione dalle origini alla riforma di inizio anni Novanta. Tra scandali veri e presunti. E il “salvataggio” di Madre Teresa

IOR | Il Torrione Niccolo V, sede dell'Istituto delle Opere di Religione | AG / ACI Group IOR | Il Torrione Niccolo V, sede dell'Istituto delle Opere di Religione | AG / ACI Group

L’11 settembre 1887 viene costituita la commissione cardinalizia Ad Pias Causas. È una commissione segreta, che si riunisce in un ufficio chiamato “il buco nero” perché era il luogo dove c’era una volta la censura dello Stato pontificio e per una amabile ironia della sorta lavorava, come impiegato, quel Gioacchino Belli che ci ha deliziato con una serie di sonetti irriverenti. Ed è una commissione figlia della Questione Romana, perché serve ad amministrare quei beni, lasciti, opere pie che arrivano alla Santa Sede e che la Santa Sede cerca di nascondere alla scura della confisca dello Stato italiano.

Quella commissione è il primo vagito di quello che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si sarebbe costituito come Istituto delle Opere di Religione, che è quindi “pronipote della Questione Romana”, secondo una felice espressione di Francesco Anfossi. Anfossi ha appena pubblicato un libro, Ior. Luci e ombre della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus (Ares) ed è un libro prezioso, perché si avvale di documentazioni inedite, provenienti anche dal fondo archivistico del Cardinale Agostino Casaroli, il grande architetto della Ostpolitik e Segretario di Stato vaticano al tempo dello scoppio del caso IOR – Ambrosiano. Fu Casaroli a decidere per l’accordo di Ginevra, ovvero per la decisione dello IOR di dare un contributo volontario a mo’ di risarcimento per i risparmiatori colpiti dal crack del Banco Ambrosiano, pur alla fine non ammettendo alcuna responsabilità. Anche perché, carte alla mano, responsabilità non ce n’erano.

Ovviamente, il crack dell’Ambrosiano occupa molto spazio, così come le “relazioni pericolose” che lo IOR si trova ad intrattenere con personaggi della storia italiana come Roberto Calvi e Michele Sindona. E però non sono il centro della storia. Piuttosto, il libro è importante per comprendere alcuni temi che ancora oggi sono centrali.

Il primo: lo IOR è da sempre definito un ente centrale della Santa Sede, non un organismo di Curia, ma piuttosto uno strumento per aiutare, appunto, le opere di religione. Gli investimenti sono sempre fatti in maniera oculata, secondo la cosiddetta regola del 3 (patrimonio, oro, immobiliare) che garantisce una necessaria diversificazione del patrimonio. Nei momenti di crisi, l’oro viene portato oltre oceano, nei momenti di necessità si investe in immobili, e gli immobili sono anche parte dei benefit dei dipendenti, che possono ottenere case a prezzi calmierati. Lo IOR è un ente indipendente nella gestione, ma di fatto strumentale alla Santa Sede.

Questo equilibrio si è tenuto fino ad ora, quando il processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato ha fatto esplodere il più classico dei conflitti: lo IOR non solo ha rifiutato un aiuto economico alla Segreteria di Stato, ma la ha denunciata, di fatto spezzando sia la rete di mutuo aiuto da sempre pensata per gli organismi vaticani, sia creando una ribellione interna, ed economica, al governo centrale. Ma è questo in linea con le prerogative e il senso vero dell’Istituto? E cosa significa questo per il futuro stesso dell’Istituto?

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Il secondo: il tentativo di razionalizzare le finanze della Santa Sede non è cosa nuova. Il tentativo di centralizzare tutti gli investimenti passando dallo IOR è ancora meno nuova. Le cosiddette “resistenze” degli enti vaticani per mantenere la propria autonomia sono questione dibattuta da almeno un secolo. Ma il dato interessante è che persino Guido Carli, nel consigliare la Santa Sede, chiede che tutti quanti i fondi passino prima, in una sorta di giroconto, dallo IOR, cosa che garantirebbe alla Santa Sede anche la sovranità degli scambi.

Sarebbe complesso entrare nel dato tecnico dell’appunto di Carli, riprodotto nel libro, ma è interessante come la centralità del passaggio di denaro dallo IOR non era intesa per questioni di centralizzazione degli investimenti, ma piuttosto per permettere alla Santa Sede più agio nel gestire donazioni, elargizioni di denaro, movimenti verso quei Paesi dove il sistema bancario era ostile. Lo IOR, insomma, non poteva essere disgiunto operativamente dalla Santa Sede. Quello che viene fatto adesso, con la riforma di Papa Francesco, sembra piuttosto rispondere alla necessità di garantire allo IOR liquidità, con la scusa e la necessità di controllare tutti gli investimenti. Sarà un modello funzionante?

Il terzo: la Santa Sede ha sempre investito in immobili e in varie partecipazioni, ha cercato di proteggere gli investimenti rendendo il massimo possibile, e lo ha fatto non per speculazione, ma per avere in realtà più denaro da poter distribuire alle cosiddette “opere di religione”. Allo stesso tempo, nel gestire questi investimenti, nel tessere relazioni, ci si imbatte anche in personaggi che usano la Santa Sede per i loro traffici. Non è giusto dire che tutto sia frutto di ingenuità degli uomini di Chiesa, ed è ingiusto considerare che tutti gli affaristi siano senza scrupoli e vogliano imbrogliare la Santa Sede. C’è, però, anche quello, e questo spiega l’appoggiarsi a personaggi come Sindona e Calvi, favoriti da una deregulation finanziaria del periodo che poi fa entrare la Chiesa in diversi scandali finanziari. Ma ci sono molti miti da sfatare.

Il libro ne sfata uno in particolare, quello del cosiddetto Tesoro degli Ustascia, una brutta vicenda secondo la quale attraverso lo IOR sarebbe transitato il tesoro sporco di sangue che gli ustascia nazisti croati avevano sequestrato agli ebrei deportati durante la guerra. Fu Jeffrey Lena, che accettò un incarico di difesa della Santa Sede quando nessuno voleva farlo, a dimostrare come in fondo tutte le argomentazioni erano frutto di speculazione. Lena divenne da quel momento l’avvocato di fiducia della Santa Sede, e ha curato una serie di dossier chiave, tra i quali quello degli abusi negli Stati Uniti e quello per la trasparenza finanziaria.

I documenti inediti permettono però soprattutto di dimostrare le vere ragioni dell’esistenza della finanza del Papa. Come spiega lo storico Agostino Giovagnoli nella prefazione del volume, “le guerre rendono molto difficile la vita di una grande realtà internazionale qual è la Chiesa cattolica. Ostacolano o, peggio, interrompono i legami interni che costituiscono il prezioso tessuto della sua universalità”. E Anfossi ricorda come l’Istituto riuscì a garantire l’autonomia finanziaria della Santa Sede anche negli in cui Roma fu occupata dai nazisti (1943 e ‘44), anni in cui i suoi spazi extraterritoriali, “in una città non ancora aperta”, ospitarono e nascosero moltitudini di ebrei e antifascisti. A questo, in fondo, serve davvero la finanza vaticana.

Ed in effetti lo sapeva bene Madre Teresa di Calcutta, che allo IOR volle affidare le donazioni che le arrivavano copiose da tutto il mondo per portare avanti la sua opera. E fu proprio questa massa di denaro proveniente da Madre Teresa che “salvò” lo IOR dopo il contributo volontario dato per superare lo scandalo IOR – Ambrosiano. Contributo dato per evitare un grave ritorno di immagine, ma di fatto non dovuto. Servì, però, a superare uno scoglio difficile, e traghettare lo IOR verso una seconda fase della sua storia.  

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