Era questa la situazione quando Hitler ordinò l’occupazione del Paese, nel timore che gli ungheresi abbandonassero il conflitto, e allo stesso tempo inviò i funzionari dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich con il compito di procedere alla deportazione degli ebrei di Ungheria, un compito così delicato che la responsabilità venne affidata ad Adolf Eichmann in persona.
Ed Eichmann, per evitare casi come quello della fuga degli ebrei danesi dell’ottobre 1943 e della rivolta del ghetto di Varsavia di aprile – maggio 1943 coinvolse le forze locali dopo averne superato le resistenze e lasciò la capitale per ultima.
Così, il Paese fu diviso in cinque zone più la zona della capitale, rastrellate con la scusa di operazioni belliche. Gli ebrei furono deportati ad Auschwitz, Birkenau e in vari altri campi, per un totale di 438 mila ebrei ungheresi.
Insomma, è importante comprendere la storia, definire le responsabilità, comprendere anche il ruolo degli Ebrei ungheresi e della Santa Sede. Ma cosa hanno trovato gli storici che sono stati a Roma in autunno?
László Karsai dirige il team di ricerca degli Archivi Yad Vashem in Ungheria dal 1994. È entrato nel progetto inviato dal Centro di Ricerca per le Scienze Sociali e l’Istituto per gli Studi sulle minoranze, scelto come loro rappresentante anche se non lavora là. Karsai è un ricercatore di fama internazionale sull’Olocausto degli zingari e degli ebrei di Ungheria e sulla storia dei movimenti di estrema destra ungheresi, in particolare del Partito della Croce Frecciata, che fu costituito come per appoggiare il governo filonazista dell’Ungheria occupata.
Durante la sua ricerca nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, Karsai ha trovato 15 nuovi documenti mai pubblicati, i quali – spiega ad ACI Stampa – “dipingono un quadro estremamente vivido della persecuzione e del massacro di massa degli ebrei, organizzato e deliberato. D’altra parte, sembra che Pio XII fosse circondato da persone, come Angelo Dell’Acqua, per altro molto attivo durante la guerra nel salvataggio di alcuni israeliti convertiti al cattolicesimo, che non erano lontani dall’antigiudaismo”.
Karsai ritiene che dai documenti ora scoperti risulti chiaro che fu soprattutto grazie alle pressioni del governo americano e di varie organizzazioni ebraiche che Pio XII fu finalmente disposto a inviare al governatore Horthy, il 25 giugno 1944, un telegramma relativamente cauto in favore degli ebrei ungheresi per fermare la loro deportazione.
Karsai ha citato anche il rapporto dettagliato dell'8 dicembre 1944 del nunzio a Budapest, Angelo Rotta, scritto da Hegyeshalom, sulle marce della morte, aggiungendo: “A mio parere personale, alcune parti del suo racconto sono consigliate solo a lettori con nervi molto saldi.”
Karsai ha esaminato tra gli altri anche nell’Archivum Romanum Societatis Iesu le carte del gesuita Padre Tacchi Venturi.
Questo materiale completa bene i 2800 casi pubblicati negli imponenti volumi della serie "Ebrei". I sostenitori dei singoli supplicanti e richiedenti aiuto ungheresi sono spesso vescovi e arcivescovi cattolici (quindi prelati di alto rango).
In alcuni casi, non conoscevano personalmente l’ebreo convertito perseguitato, ma lo conoscevano solo attraverso il suo confessore o la moglie e il marito italiani. Alcuni dei richiedenti erano emigrati in Italia negli Anni Venti del secolo scorso per sfuggire alla legge ungherese del numerus clausus La norma commisurò l’accesso agli studi superiori delle varie nazionalità alla loro incidenza sulla popolazione, riducendo così la percentuale degli studenti di religione o di origine ebraica dal 30 a circa l’8-10% per tutto il periodo interbellico.
In Italia, gli ebrei ungheresi poterono iscriversi alle varie università, e naturalmente fecero amicizia, e più di uno di loro si sposò o convolò a nozze con un cittadino italiano non ebreo. Tutto questo cambiò nel 1938-1939, dopo l'introduzione delle leggi antisemite italiane.
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Queste lettere e petizioni sono indispensabili per scoprire la rete di contatti di Tacchi Venturi. È quasi incredibile l'impegno con cui lavorava, come si evince dal fatto che a volte cercava di aiutare diversi ebrei in un solo giorno, scrivendo lunghe lettere con motivazioni dettagliate. Se necessario, e se vedeva una speranza di successo, si spingeva fino ai livelli più alti del Ministero degli Interni e del Ministero degli Affari Esteri per conto di un ebreo. Nel caso di diversi perseguitati, descriveva anche brevemente e informava le autorità vaticane perché non vedeva alcuna speranza di intercedere.
L’altro ricercatore venuto a Roma è Attila Jakab, che dal 2017 lavora presso il Centro Memoriale dell'Olocausto, un'istituzione che elabora e conserva la storia della persecuzione moderna degli ebrei ungheresi, dei cittadini che sono stati dichiarati ebrei per motivi razziali, e il percorso che ha portato a questa persecuzione, nonché le sue conseguenze. Tra i principali interessi di Jakab, l'antisemitismo ecclesiastico e l'immagine dell'ebraismo nell'epoca di Horthy e il rapporto tra ebraismo e antico cristianesimo. Nel 2021, ad esempio, ha scritto un libro in ungherese intitolato "Servire la pace, la tranquillità e la sicurezza del paese, La stampa ecclesiastica ungherese durante le leggi ebraiche (1938-1942)”.
Secondo Jakab, che studiato sia all’Archivio Storico della Segreteria di Stato che all’Archivio Apostolico Vaticano, “l’apertura degli archivi vaticani riguardanti del pontificato di Pio XII offre al ricercatore uno spaccato della diplomazia in un periodo di guerra. La rete diplomatica della Santa Sede, attraverso le nunziature, gestiva e deteneva una vasta quantità di informazioni. Le nunziature fungevano da snodi della rete informativa”.
Secondo Jakab, serve un nuovo approccio al periodo e a come la Santa Sede lo ha affrontato. “Nella Santa Sede - spiega Jakab - prevalevano soprattutto le strategie ecclesiastiche, mentre il mondo in guerra - e soprattutto gli ebrei, perseguitati e condannati all'annientamento fisico dai nazisti e dai loro alleati - guardava al Papa e alla Santa Sede come autorità morale. Questo portò a una contraddizione irrisolvibile, che alcuni ecclesiastici (ad esempio i nunzi Cassulo di Bucarest o Rotta di Budapest, che entrarono in contatto con la persecuzione degli ebrei) cercarono di risolvere sulla base dei loro valori umani individuali”.
Jakab ha aggiunto che “le varie organizzazioni ebraiche europee cercarono di raccogliere informazioni e di inviarle alla Santa Sede, chiedendo aiuto al Papa. Da parte loro, queste organizzazioni fecero del loro meglio. Purtroppo, non avevano né i mezzi né il margine di manovra.
A mio avviso, al di là del Papa stesso, varrebbe la pena di concentrarsi sui diversi livelli della diplomazia vaticana, in particolare sulle attività e le posizioni della Segreteria di Stato dell'epoca. La gestione e l'elaborazione delle innumerevoli domande individuali ricevute potrebbe essere d'aiuto in questo senso. In effetti, i documenti del nunzio Cassulo a Bucarest mostrano che furono ricevute molte richieste individuali di assistenza”.