Città del Vaticano , lunedì, 18. dicembre, 2023 16:00 (ACI Stampa).
Il motu proprio numero 62 di Papa Francesco è stato firmato lo scorso 4 dicembre, ed è una legge, la DCXXVI (626) che definisce il trattamento economico e dei magistrati ordinari e dei membri dell’ufficio del Promotore di Giustizia dello Stato di Città del Vaticano. Nel motu proprio, il Papa parifica questi magistrati a dirigenti secondo il Regolamento Generale della Curia Romana, e stabilisce che il governatorato si fa carico anche della pensione non maturata di magistrati e promotori.
Si tratta di un motu proprio breve, di soli nove articoli, e colpisce per due ragioni.
La prima: magistrati e promotori di giustizia vaticani lavorano solo part time nel tribunale, e questo nonostante una richiesta del Consiglio di Europa di avere almeno uno dei membri del Tribunale e dell’ufficio del promotore full time, cioè completamente dedicato al sistema vaticano. Dopo che aveva accettato questa richiesta, Papa Francesco aveva ulteriormente cambiato l’ordinamento giudiziario vaticano, con quello che alcuni osservatori consideravano un passo indietro, ma che di fatto certificava una situazione ibrida nel tribunale vaticano, con promotori di giustizia che operano come avvocati in Italia ed ex pm diventati giudici in Vaticano. Se tutti hanno un lavoro, allora a cosa serve definire uno stipendio come se invece il loro incarico sia esclusivo con il Vaticano?
Il secondo motivo è che c’è sempre stata una indennità. La legge Quo Civium Iura del 1987 precisava, riguardo all’indennità, che “spetta alla Pontificia Commissione per lo Stato di Città del Vaticano stabilire la misura dell’indennità”, e che “quelli che ricevono uno stipendio come dipendenti di ruolo della Sede Apostolica o dello Stato di Città del Vaticano ricevono una indennità dimezzata”.
Della legge del 4 dicembre scorso colpisce anche il linguaggio, perché il Papa delibera “certa scienza e piena Sovrana autorità”, come se la decisione pontificia non fosse di tipo amministrativo, ma di tipo dogmatico. Il Papa sottolinea che “l’esercizio della funzione giudiziaria, in nome del Sommo Pontefice, da parte dei magistrati dello Stato presuppone e richiede un inquadramento complessivo rispettoso della competenza e della dignità professionale, anche sotto il profilo retributivo e del trattamento di quiescenza al fine di consentire a questi l’amministrazione della giustizia, in modo sereno, effettivo ed efficace”.