Città del Vaticano , sabato, 16. dicembre, 2023 19:00 (ACI Stampa).
Sgombriamo il campo da ogni illazione: anche se le pene detentive del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato dovessero essere confermate nei vari appelli e passare in giudicato, non ci dovrebbero essere nuovi inquilini dei cosiddetti carceri vaticani.
Per due motivi. Il primo: lo Stato di Città del Vaticano ha un suo sistema giudiziario e codice penale, ed è uno Stato che funziona a tutti gli effetti, ma non ha un vero e proprio carcere. C’è possibilità di trattenere delle persone dopo l’arresto per un periodo di tempo, ma non si tratta di un carcere vero e proprio. Se le condanne diventassero esecutive, dunque, gli imputati non sarebbero detenuti lì, ma in Italia, in virtù di un articolo dei Patti Lateranensi. Il secondo motivo: se le pene non superano una certa soglia, la decisione del legislatore vaticano è quella che in questi casi si applica una sospensione della pena. Nessuno va in carcere, a meno che non si commettano altri reati. Reati in Vaticano, beninteso.
Ma ci sono celle in Vaticano? Sì, ce ne sono tre, e si trovano nel palazzo dove ha sede la Gendarmeria Vaticana. Sono piccole, organizzate in modo moderno e sono state spesso utilizzate negli ultimi anni. Gli “ospiti”, se così possiamo dire, vanno da Paolo Gabriele, il “maggiordomo” di Benedetto XVI processato per aver trafugato documenti, a Gianluigi Torzi, imputato in questo processo, che si trovò in detenzione preventiva dopo essersi recato in Vaticano per farsi interrogare dai magistrati.
Le celle non sono poco confortevoli, ma presentano qualche disagio, perché non c’è una vera e propria organizzazione carceraria. Lo si vede nel momento dei pasti, perché alla sera i gendarmi non sono in caserma, e non c’è una mensa preposta. Non possono dunque servire ad una detenzione lunghissima.
Quando l’ex nunzio Wesolowski fu arrestato in Vaticano, rimase infatti agli arresti domiciliari, e così successe per monsignor Alberto Capella, l’ex segretario di nunziatura che fu poi condannato per pedopornografia dal Tribunale Vaticano.