Milano , giovedì, 14. dicembre, 2023 9:00 (ACI Stampa).
“Riflettevo su ciò che sta accadendo. Vedo sempre di più una mancanza di intelligenza, ma non dell’intelligenza in quanto tale ma dell’intelligenza della realtà. È come se fossimo davanti a uno spartito musicale che non sappiamo leggere perché non conosciamo la musica. Siamo stati privati, e lo siamo sempre di più, del metodo per leggere la realtà: il cuore, la coscienza. Non ci colpisce più niente, non siamo provocati e accesi da niente. Eppure la realtà continua a provocare e oggi sempre di più”: iniziamo da questo capoverso dell’opuscolo ‘pro manuscripto’ dell’agostiniano p. Giuseppe Scalella, ‘Noi dell’ultima ora’, che è un piccolo dossier per ‘vivere il presente’, in cui cerchiamo di approfondire il tempo di Avvento, che conduce ad una vita nuova, che si apre con Natale.
Con quale atteggiamento accogliere gli ‘operai dell’ultima ora’?
“Con il cuore e la mente aperti. Gli operai dell’ultima ora siamo noi, tutti noi cristiani, mandati a lavorare nella vigna di Dio. Più che domandarci con quale atteggiamento accoglierli, mi pare ci dobbiamo domandare con quale atteggiamento andare nella vigna. Se ci andiamo col dito puntato, con il già “saputo”, con l’atteggiamento di chi non ha niente da imparare e solo da insegnare, con quel moralismo che spesso ci contraddistingue, non faremo sicuramente un buon lavoro. Dobbiamo dirlo: oggi la sterilità di tante comunità cristiane è data proprio da quegli atteggiamenti. Siamo sinceri: se si presentasse uno, tutto tatuato e con i piercing dalla testa ai piedi, come lo tratteremo? Non lo guarderemmo neppure. E non è un figlio di Dio anche lui? Anzi, a volte capita che chi ha il coraggio di perdere tempo con tipi come lui, scopre una ricchezza di umanità inaudita e un desiderio di vivere che non ha l’eguale.
Papa Francesco si è ormai stancato di ripetere: una Chiesa in uscita. Chiesa in uscita non vuol dire portare la gente in chiesa ma il contrario: portare la chiesa tra la gente. Se provi ad andare in un qualsiasi ambito della vita sociale (scuola, quartiere, mondo del lavoro…) trovi mai un segno, anche minimo, di presenza cristiana? Non parlo del crocifisso, parlo di persone vive che sanno testimoniare lì la fede e sanno aggregare le persone lì.
Ricordo che quando ero a Bologna, nella mia parrocchia c’erano persone che vivevano una presenza cristiana lì dove lavoravano. Tanto che poi mandavano da me chi aveva bisogno di confessarsi. Diciamolo: oggi chi fa una cosa del genere? Ripeto: c’è solo un atteggiamento per gli operai dell’ultima ora ed è quello di avere un cuore e una mente aperti, e umilmente disposti ad imparare. Mi hanno molto colpito le parole del papa a chiusura della prima sessione del Sinodo: adorare e servire. Cioè, seguire Cristo, imparare il suo sguardo sull’umanità e umilmente servirlo”.