Sono quattro i cardini del processo, secondo Urciuoli. Il primo è la figura di monsignor Alberto Perlasca, per un decennio capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato. Perlasca non è indagato, ha testimoniato con un memoriale che poi, durante il processo, si è scoperto al limite sollecitato da quello che lui credeva essere un anziano magistrato, e altri non era che Francesca Immacolata Chaouqui, prima in una commissione vaticana e poi a processo nel cosiddetto Vatileaks 2.
Perlasca, ha detto Urciuoli, era “un testimone chiave”, ma poi anche l’Ufficio del Promotore “ha dovuto alzare le mani davanti a una situazione contradditoria”.
Il secondo cardine è l’Obolo di San Pietro, “l’architrave pop e mediatico di questo processo”, sul quale però c’è stata “una completa inversione di rotta”.
Il terzo cardine è la costituzione apostolica Pastor Bonus, perché si diceva che questa non dava alla Segreteria di Stato facoltà giuridica di amministrare le proprie riserve. Una ricostruzione apparsa “totalmente assurda”, tanto che “le stesse accuse di parte si sono affrettate a ripudiare questa posizione”.
Il quarto cardine è stato definito “la parte più surreale”, ed è Luciano Capaldo, presentato come “il maxi consulente, il salvatore della patria”, “che ci è venuto a dire che la cifra di 275 milioni di pound era una cifra fuori da ogni logica di mercato”, l’uomo a cui “dobbiamo attribuire la paternità di aver abbandonato lo sviluppo residenziale e la riconversione in uffici dell’immobile di Sloane Avenue”.
“La Segreteria di Stato nel cedere l’immobile in modo così immotivatamente affrettato – ha proseguito – ha fatto una vendita in perdita. La storia si incaricherà di giudicare questo fatto: sapete quando? Quando Bain Capital si rivenderà l’immobile e vedremo quanto ne ricaverà”.
L’avvocato ha, inoltre, evocato la figura di Enrico Crasso, che “certamente non poteva essere un pubblico ufficiale” e di Gianluigi Torzi, “un interlocutore scelto dalla Segreteria di Stato” e non dall’imputato; fino a ricordare altri soggetti che avrebbero potuto essere convocati, ma che, tuttavia, non sono a processo.
L’utimo avvocato del team Mincione a intervenire è stata Ester Molinaro, che ha invece parlato dell’accusa di truffa. Un reato morto “non durante il processo, ma già durante le indagini”, prima di tutto perché “le perizie fatte sul valore dell’immobili sono credibili, attendibili, bisogna solo intendersi sui criteri di calcolo, dove vengono estremizzate le due categorie: il criterio di calcolo per beni fermi, statici, immobili, e quello per i progetti. Sono criteri diametralmente opposti”.
Molinaro ha spiegato che la Segreteria di Stato non ha comprato un bene, ha partecipato piuttosto a un progetto di investimento, da cui è poi uscita in anticipo.
La difesa del Cardinale Becciu
I difensori del Cardinale Becciu hanno avuto una ultima appendice dopo la vibrante arringa di due settimane fa, e hanno ribadito il fatto che tutta l’accusa era “un teorema per coinvolgere il cardinale Becciu” come responsabile della gestione dei fondi della Segreteria di Stato che in realtà spettava all’ufficio amministrativo. A Becciu il promotore di Giustizia ha contestato i reati di abuso d'ufficio, peculato e subornazione, chiedendo al Tribunale una pena di sette anni e tre mesi di reclusione, oltre a 10.329 euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
L’avvocato Fabio Viglione ha sottolineato le “evidenti contraddizioni dell’accusa, e il giudizio verso Becciu misurato su fatti non documentati”, rispetto ai quali “il suo coinvolgimento è totalmente ingiustificato”.
E questo pregiudizio nasce dal memoriale di monsignor Perlasca, quello che poi si è scoperto essere nato anche da suggerimenti esterni. Ma – si chiede l’avvocato – “per quale motivo
il cardinale avrebbe dovuto consciamente violare la legge e consentire a persone sconosciute di guadagnare ai danni della Segreteria di Stato?”.
Come già fatto nelle udienze precedenti, Viglione ha descritto monsignor Perlasca come ““portatore sano di malafede, che dovrebbe essere il primo a conoscere gli investimenti realizzati”. E cita il memoriale dell’arcivescovo Edgar Peña Parra, il successore di Becciu come sostituto della Segreteria di Stato. Nel memoriale, Peña Parra parlava persino di “un metodo Perlasca”, e Viglione ha sottolineato che c’era “un quadro ben definito su chi prendeva le decisioni dopo l’istruttoria degli investimenti”.
Per questo, ha ribadito Viglione, “è inconcepibile, rispetto ai dati che ci offre il processo, riconoscere una responsabilità del cardinal Becciu per questi investimenti”.
A vedere la storia degli interrogatori di Perlasca, l’ex capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato cambia radicalmente punto di vista. Per Viglione, tutto nasce dopo l’interrogatorio del 29 aprile 2020, quando il Promotore dice a Perlasca: “le diamo un secondo tempo”.
Si arriva da qui al memoriale del 31 agosto 2020, ispirato da Francesca Immacolata Chaouqui e Genevieve Ciferri
Viglione ha anche contestato che la requisitoria non ha mai parlato della Caritas di Ozieri, cui finivano i finanziamenti che infatti non erano destinati al conto della cooperativa Spes gestita dal fratello di Becciu, e ha notato che comunque le operazioni – un sostegno ad una iniziativa locale di un panificio per far lavorare persone ai margini dove “stanno in questo momento sfornando pane” -
Avevano la fiducia dell’ ex vescovo di Tempio Ampurias Sanguinetti, sotto la cui giurisdizione cadeva anche Ozieri.
Anzi, Viglione dice che i 25 mila euro di finanziamenti hanno permesso di far ripartire il panificio della cooperativa distrutti da un incendio, mentre gli altri 100 mila euro contestati sono stati chiesti dal vescovo Corrado Melis per il progetto della “Cittadella della Carità”.
L’altro legale del Cardinale Becciu, Maria Concetta Marzo ha evidenziato “l’enorme sofferenza che le accuse hanno provocato al cardinale Becciu come uomo e sacerdote, nonostante la sua totale innocenza”. Le prove esibite nel dibattimento avrebbero “dimostrato la più totale innocenza del cardinale da ogni reato contestato”, da qui, la richiesta di “assoluzione con la formula più ampia possibile, per restituire al cardinale la sua dignità personale”.
La difesa di Tirabassi
Le udienze hanno visto anche la seconda parte della difesa di Fabrizio Tirabassi, officiale della amministrazione della Segreteria di Stato, accusato di peculato e peculato aggravato, abuso d’ufficio aggravato, corruzione e corruzione aggravata, riciclaggio-autoriciclaggio, truffa aggravata, estorsione aggravata e abuso d’uffici. In più di cinque ore, l’avvocato Massimo Bassi ha sottolineato che Tirabassi era “il vero responsabile dell’ufficio”, e che “esercitava il potere co pugno di ferro”.
Tirabassi era, insomma, un esecutore degli ordini. Anzi, più volte mette in guardia dalla situazione, anche quando si va a Londra a trattare l’uscita di Mincione, e si va senza avvocato della Segreteria di Stato. Allora si pensa che Torzi farà gli interessi della Segreteria, ma non spetta a Tirabassi avere dubbi, anche perché – spiega l’avvocato Bassi – “Torzi era stato presentato da Giuseppe Milanese, che era amico del Papa, dunque che motivo ci sarebbe stato di non fidarsi?”
Per la cronaca, Milanese aveva fatto affari con Torzi, che aveva acquistato dei crediti sanitari della sua cooperativa OSA (lo notò anche il Promotore di Giustizia nella sua requisitoria) e fu poi la persona scelta da Papa Francesco per portare avanti i primi negoziati con Torzi per cedere le mille azioni con diritto di voto che aveva trattenuto per la gestione dell’immobile.
Di quelle azioni, tra l’altro, Tirabassi non si era accorto in prima battuta, e poi – spiega l’avvocato – aveva ricevuto da Perlasca la spiegazione che erano azioni che servivano a Torzi per poter gestire il palazzo.
L’avvocato ha affrontato anche le fees che Tirabassi aveva da UBS, una possibilità che gli era stata dall’ex capo dell’ufficio amministrativo Piovano. Era un contratto in essere con UBS, ha spiegato, e dunque la Segreteria di Stato non poteva avere niente da contestare.