Il Papa disse il suo grazie, ricordò Papa Giovanni, espresse la sua “esecrazione” per il genocidio naziasta, ricordò l’aiuto dato durante gli anni bui della persecuzione, le porte aperte di conventi e seminari.
Ricordò che i rapporti che i cristiani hanno con gli ebrei non li hanno con nessun’altra religione, indicò i punti comuni di collaborazione davanti ad una società che dimentica il sacro, e chiese aiuto alla comunità ebraica, la più antica di Roma, per rendere Roma una città migliore.
Passarono molti anni per un’altra visita. Arrivò un Papa tedesco Benedetto XVI e per prima volle visitare la sinagoga di Colonia, tragico ricordo della Notte dei cristalli. A Colonia Benedetto XVI nel 2005 ricordò i 60 anni della liberazione dal giogo nazista. Poi riprese gli insegnamenti di Giovanni Paolo II e fece un passo avanti, condannando l’antisemitismo che in Europa rialza la testa come un drago troppo spesso. Ricorda l’impegno dei vescovi tedeschi e dice: dobbiamo amarci a vicenda. E rimette al centro dell’impegno comune per l’uomo il decalogo.
E dal decalogo riparte la riflessione di Benedetto XVI quando il 17 gennaio del 2010, sei anni fa, varca la soglia del Tempio Maggiore simbolo della “emancipazione” degli ebrei di Roma.
Rav Toaff è anziano e malato, ma vuole salutare il Papa e così Benedetto si reca a casa sua e sulla porta di una casa questa volta avviene il primo abbraccio.
In Sinagoga ad accogliere il Papa c’è Rav Di Segni. Sarà ancora lui a ricevere Papa Francesco il 17 gennaio prossimo.
“ Come è bello che i fratelli siano insieme” esordisce il Papa. E in un attimo sembrano sciolti i fraintesi che punteggiano spesso il dialogo tra cattolici ed ebrei.
Poi la riflessione, quasi in stile rabbinico, sui comandamenti, sulla misericordia.
Ma non dimentica lo scempio dello sterminio, lui tedesco, che ha visitato Auschwitz chiedendo perdono. “Come è possibile- dice in sinagoga- dimenticare i loro volti, i loro nomi, le lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini?”.
Benedetto ripercorre i valori comuni, dalla custodia della vita a quella del creato.
Le “Dieci parole”, dice poi, “tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo”.
É la chiave di tutto, il punto di unione, la misericordia che “impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi” Il Papa riprende i Padri d’Israele: “Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Aboth 1,2)” e aggiunge: “Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza”.
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Papa Francesco che della misericordia ha fatto il centro del suo pontificato arriva in sinagoga nell’ anno santo della misericordia, con alle spalle un rapporto personale con gli amici ebrei, lontano dalla storia romana, ma vescovo di Roma.
Forse la sua riflessione ripartirà proprio dalla misericordia, dalla hesed dei fratelli.