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Cosa significa per la comunità cattolica dell’Arabia il giubileo di Sant’Areta ?

Un colloquio con Padre Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia del Nord

Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia del Nord |  | pd
Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia del Nord | pd
La basilica di Nostra Signora D'Arabia durante la visita del Papa nel 2022 |  | Vatican Media
La basilica di Nostra Signora D'Arabia durante la visita del Papa nel 2022 | Vatican Media

Nelle scorse settimane si è aperto con una solenne celebrazione eucaristica nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali, nel Bahrein, il giubileo straordinario nei Vicariati apostolici dell’Arabia per i 1500 anni dal martirio di sant’Areta e compagni, presieduta da Padre Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia del Nord (comprendente gli Stati della Penisola arabica: Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita) preceduta dal rito dell’apertura della Porta Santa: “Consideriamo questo un anno di grazia per l'intero Vicariato e per tutte le comunità cristiane presenti nel Golfo Arabico. Celebriamo nella fede la memoria dei nostri antenati cristiani che hanno dato la vita per Cristo, rimanendo fedeli fino alla fine”.

Nella sua testimonianza mons. Aldo Berardi ha sottolineato che il Giubileo è occasione propizia per riscoprire la memoria degli antichi martiri della Penisola arabica, e trovare conforto nelle loro storie di fede e prossimità martiriale a Cristo: “Questo Anno Giubilare è un’opportunità per rinnovare il nostro spirito missionario e approfondire la nostra fede. Noi, a nostra volta, dobbiamo testimoniare Cristo e il Vangelo vivendo una vita santa e coerente. C’è una sollecitudine generale nelle parrocchie e nei gruppi di preghiera, di tutte le spiritualità e di tutte le etnie, per entrare nello spirito del Giubileo. Anche i bambini del catechismo partecipano in letizia a questo entusiasmo generale”. Per questo Giubileo papa Francesco ha concesso l’indulgenza plenaria fino al 23 ottobre del prossimo anno.

Quindi a lui chiediamo di raccontarci in quale modo è avvenuto l’incontro con il cristianesimo nella penisola arabica: “Ci sono tracce di un’antichissima presenza cristiana nella penisola arabica. Gli archeologi hanno confermato gli scritti ed i documenti in possesso degli storici. Le comunità cristiane quindi sono esistite fin dall’inizio del cristianesimo. Apostoli ed Evangelisti sono passati da qui. I missionari venivano dalla Palestina e dall’Etiopia. La dispersione dopo la caduta di Gerusalemme nell’anno 70 ha ‘lanciato’ la comunità cristiana nella regione. Nacquero così chiese, monasteri e vescovadi. C’è stato uno sviluppo graduale ed un’evangelizzazione costante nella regione. E’ vero che, accanto al politeismo, conviveva un certo monoteismo, che favoriva l’impianto cristiano. Fino all’avvento dell’Islam il cristianesimo fiorì”.

Cosa significa celebrare il Giubileo del martirio di sant’Areta?

“Questo Giubileo è molto importante per noi. Viene a commemorare l’evento di Najran, un’oasi nel sud dell’Arabia, dove la grande comunità cristiana fu martirizzata. Ci riconnettiamo con la nostra storia cristiana; ci ispiriamo alla testimonianza dei martiri e rinnoviamo la nostra adesione a Cristo. I martiri erano saldi nella fede, ed oggi noi siamo testimoni di quella fede, che vivifica e ci immerge nel cuore della Trinità. Memoria, dunque, approfondimento della fede e rinnovamento dei nostri impegni battesimali. Vogliamo essere degni dei martiri, ma anche rivivere lo spirito missionario per una testimonianza più profonda e dinamica. Siamo finalmente chiamati a convertirci ed a vivere come figli della luce in questa regione”.

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Chi era sant’Areta?

“Sant’Areta era un laico, capo della città di Najran, un leader politico ma anche un riferimento religioso. La sua vita è stata descritta nel racconto del suo martirio. Convertitosi giovanissimo, era un uomo saggio e rispettato. Agì secondo i principi cristiani e difese la popolazione locale. E’ vero che la regione è stata spesso caratterizzata da colpi di stato e cambi di regime. Rimane saldo nella fede ed esortò i cristiani a difendere la loro fede contro un re tiranno, che chiedeva il rifiuto di Cristo in cambio della loro vita. Fu decapitato in età avanzata”.

 

Cosa insegna il martirio di sant’Areta e compagni?

“Questi martiri hanno mantenuto la fede cristiana di fronte alle derisioni, alle persecuzioni ed alle minacce. Sono rimasti saldi nella fede. Guardare al passato ci ispira. La vita del passato non era più facile di quella di oggi. La fede è stata trasmessa ed è rimasta come un faro nella tempesta ed una luce nella notte. E’ la via della vita e della luce per coloro che guardano a Cristo e lo seguono. Oggi siamo i testimoni del Risorto, con le nostre parole e le nostre opere, con le nostre debolezze e le nostre forze, con lo stesso amore che ha animato i martiri. Sta a noi alzarci e testimoniare Cristo con una vita onesta e coerente, una vita donata per amore e orientata verso il Bene e il Bello, verso l’amore fraterno e l’impegno per la pace, la giustizia e la tolleranza”.

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Cosa significa essere una Chiesa di migranti?

“Naturalmente l’Islam è la religione locale; quindi ci sono pochissimi cristiani indigeni. La nostra Chiesa è composta da cristiani espatriati, che sono arrivati nella Regione per motivi economici. Ci sono state opportunità di lavoro dopo la scoperta e lo sfruttamento del petrolio. I Paesi del Golfo si sono sviluppati ad un ritmo vertiginoso. I proventi delle vendite di petrolio stanno dando impulso alla Regione. C’è lavoro per tutti. Tra questi espatriati, i cristiani sono numerosi (più di 2.000.000), di ogni origine, lingua, nazione e rito. Ne risulta una Chiesa molto diversificata, che si prende cura delle sue differenze, ma vive nell’unità della fede. Lo stesso Signore ci unisce nelle differenze, che sono accettate e rispettate. La Chiesa cresce al ritmo degli arrivi e delle partenze. La popolazione cambia. I nostri fedeli passano Eppoi ritornano nei loro Paesi od emigrano nei Paesi ospitanti. Questo può limitarci nel nostro apostolato, ma siamo al servizio di queste comunità che cambiano. Partiti per altri orizzonti, hanno ritrovato la stessa Chiesa cattolica che li ha accolti”,

 

Come le fedi possono alimentare la pace?

“Le fedi parlano sempre di pace. C’è un desiderio di pace che viene dai cuori. Il dialogo interreligioso ci informa su questa dinamica di fede tendente alla pace. Ne parliamo. Noi la sviluppiamo. Ognuno cerca di trovare nella propria Tradizione gli elementi, che alimenteranno la pace. Non c’è altra via che la preghiera ed il dialogo. Conoscere l’altro apre la mente alla possibilità di comprendersi aldilà delle differenze e delle paure. La paura si nutre di ignoranza e di pregiudizi. La paura porta alla violenza ed i danni sono ingenti. Sono dannosi per il futuro. Il dialogo interrotto è difficile da intraprendere. Cerchiamo con tutti i mezzi di rimanere in contatto a vicenda in questo desiderio di pace”.

 

In quale modo la situazione in Terra  Santa è percepita nel vicariato dell’Arabia settentrionale?

“Questo ha causato un grande dolore. Le comunità religiose sono rimaste sbalordite nell’apprendere le violenze. Li condannano! I cristiani pregano e digiunano: è una risposta spirituale alla violenza ed alla vendetta. Noi non facciamo politica, ma la nostra preoccupazione per l’umanità rimane vigile. Condividiamo la preoccupazione dei nostri vicini e tutti sono invitati a partecipare al movimento di solidarietà secondo le loro possibilità. La popolazione araba si schiera con il popolo palestinese. Le autorità politiche sono più moderate, ma non possono accettare questa situazione, che mette a repentaglio il fragile equilibrio di questa Regione. La geopolitica sta cambiando e gli sforzi di dialogo sono indeboliti. Sentiamo nella nostra carne il dolore della Terra Santa e preghiamo per la pace. Il nostro Giubileo ci incoraggia ad essere impegnati e compassionevoli”.