L’avvocato Marzo si è poi dedicata alla questione dei bonifici inviati alla società Logsic di Cecilia Marogna allo scopo di liberare Suor Gloria Narvaez, rapita in Mali. Va ricordato, tra l’altro, che i bonifici erano stati disposti non più dal cardinale Becciu, ma dal suo successore in segreteria di Stato, l’arcivescovo Peña Parra, e che il Papa era stato informato. Marogna aveva presentato una società di intelligence, la Inkermann, che, nella sua testimonianza, il commissario De Santis ha detto che “non si sapeva bene cosa facesse”. Ma invece, nota l’avvocato Marzo, “bastava chiedere al maresciallo Google per avere tutte le informazioni necessarie”.
Tuttavia, il Cardinale è stato “il primo ad essere raggirato”, perché Marogna, che avrebbe poi usato il denaro per spese personali, “non era autorizzata a spendere nemmeno un euro”. L’avvocato Marzo ha ricordato che il promotore di Giustizia era arrivato addirittura a definire volgarmente Marogna come “la mantenuta del Cardinale”, e ha aggiunto: “Se il cardinale avesse voluto mantenerla non lo avrebbe fatto quando era sostituto e poteva agire liberamente, invece di aspettare che i versamenti li facesse un altro, cioè il successore Peña Parra?”.
In generale, la difesa del cardinale ha anche notato i vari aggiustamenti dei capi di imputazione che si sono succeduti nel tempo.
La difesa di Torzi
Il 21 novembre, la difesa di Gianluigi Torzi ha terminato la sua arringa difensiva. Gianluigi Torzi aveva rilevato le quote del palazzo di Londra da Mincione. Oggi è accusato di corruzione, peculato aggravato, truffa aggravata, appropriazione indebita aggravata, riciclaggio e autoriciclaggio, estorsione aggravata. Per lui, il promotore di Giustizia ha chiesto 7 anni e 6 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 9 mila euro di multa.
Va ricordato che il 5 giugno 2020 Gianluigi Torzi è stato incarcerato in Vaticano, dove si era recato per essere interrogato, con una procedura quanto mai inusuale.
Oggi è latitante a Dubai, negli Emirati, perché sulla sua testa spicca un mandato di cattura, ma di certo non ha dimenticato l’esperienza del carcere vaticano, da cui è uscito con un corposo memoriale. La difesa di Torzi ha chiesto anche che venga rivista l’ordinanza del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano del primo marzo 2022, soprattutto alla luce dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sul diritto alla libertà e alla sicurezza, e ha sottolineato che “qualsiasi provvedimento sanzionatorio che adotterà questo collegio sarà poi analizzato dai giudici di altri Paesi, che valuteranno se lo Stato della Città del Vaticano rispetta i principi della Convenzione dei diritti dell’uomo”.
Secondo l’avvocato Mario Zanchetti, che difende Torzi, “c’è un solo modo di vedere le cose ed è quello di vederle interamente”, e “per ricostruire correttamente una vicenda bisogna confrontarsi con tutte le prove, con tutti gli elementi”. Il difensore ha lamentato invece che il promotore di Giustizia ha solo preso alcuni elementi della vicenda, e ci “siamo trovati di fronte alla sostanziale inutilità dell’istruttoria dibattimentale”, accusando alcuni testi di aver detto “delle cose palesemente non vere”, puntando il dito in particolare contro Monsignor Perlasca, Giuseppe Maria Milanese, Luca Dal Fabbro, Luciano Capaldo. Milanese, tra l’altro, era stato incaricato da Papa Francesco di “mediare” con Torzi la sua uscita dalla gestione dell’immobile di Londra, mentre Capaldo è il collaboratore della Segreteria di Stato che in precedenza collaborava con Torzi.
Dalla descrizione degli avvocati, Gianluigi Torzi era “totalmente in buona fede”, che Torzi e Mincione non hanno mai ordito “alcun fantomatico complotto”, ma semplicemente la Segreteria di Stato voleva “modificare il titolo dell’investimento e avere maggiori garanzie” e ha individuato in Torzi la persona giusta.
L’accusa di estorsione e di truffa di Torzi vertono intorno al fatto che lui avesse trattenuto per sé mille azioni delle quote del palazzo di Londra. Ma secondo l’avvocato Marco Franco, “è impossibile sostenere che queste mille azioni non si era capito che Torzi le aveva con diritto di voto mentre gli altri non le avevano, c’è scritto già nel Framework Agreement, dappertutto c’era scritta questa cosa”.
Secondo Franco, una chat dell’imputato del 23 novembre, subito dopo le trattative di Londra, “a cose fatte”, mostra che “Torzi non sapeva prima delle mille azioni” e si vede la “buona fede di Torzi”. Franco ha sottolineato che anche l’arcivescovo Peña Parra era “sempre informato” su tutto quello che succedeva nella gestione, come dimostrano i report periodici. Secondo l’avvocato, “Torzi ha sempre avuto cura del palazzo” e “non c’è un solo atto che dimostri che Torzi non aveva la volontà di restituire le quote. Si è solo parlato del giusto compenso”. Le mille azioni, è stato spiegato, avevano un valore complessivo di 10 milioni di euro, e i 5 milioni erano la previsione del “lucro cessante”.
L’avvocato Marco Franco ha, infine, ampiamente parlato di Luciano Capaldo, definendolo “un personaggio veramente inquietante”. L’uomo, secondo il legale, è il responsabile del “processo demolizione dell’immagine di Torzi”, attuato per “mettere le mani sugli affari della Segretaria di Stato”, con la complicità di Luca Dal Fabbro e l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, cosa tra l’altro che nega il fatto che Tirabassi avesse favorito Torzi in alcun modo.
La difesa Carlino
Il 20 novembre, è stata la difesa di monsignor Mauro Carlino a prendere la parola. Questi è imputato per estorsione e abuso di ufficio, il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha chiesto 5 anni e 4 mesi di reclusione, oltre all’interdizione perpetua e a una multa di 8 mila euro. Fu a lui che si rivolse Peña Parra per aiutarlo a risolvere la questione di Londra, e fu lui ad ottenere da Torzi uno “sconto” di 5 milioni sui 20 pattuiti per la sua uscita dal fondo, che sono poi i 15 milioni che costituiscono la presunta estorsione.
L’avvocato Salvino Mondello ha sottolineato che l’ex segretario del sostituto “ha fatto il suo dovere con competenza e lealtà”. L’accusa sostiene che Carlino sarebbe colpevole di estorsione per “aver rafforzato il proposito criminoso di Gianluigi Torzi” e per “aver assunto responsabilità come intermediario”. Ma sono impostazioni, dice Mondello, “viziate clamorosamente da errori giuridici”, anche perché l’accusa non ha accertato la “differenza di interessi tra Torzi e Carlino”, dato che quest’ultimo non era di certo in concorso. Anzi, ha aggiunto Mondello, tutti in Segreteria di Stato, “ritenevano i 15 milioni non dovuti, ma si sono trovato costretti a pagare per non rischiare danni economici maggiori”.
L’opera di intermediazione di Carlino è stata “nell’interesse esclusivo della vittima, come nei casi di sequestro di persona, quindi non c’è stato certo concorso nell’estorsione”, e tra l’altro monsignor Carlino “era solo un “emissario, che agiva per conto della Segreteria di Stato, che si è inserito nella vicenda su incarico del sostituto, non motu proprio. E il suo fine non è stato mai il tornaconto personale”.
“Con quale coscienza – ha detto Mondello - si può affermare che una persona che non ha tratto profitto né vantaggio, non fosse animata da un fine solidaristico? Qual era il concorrente interesse di Carlino rispetto a quello della Segreteria di Stato. Le parole del sostituto Peña Parra sono tombali per qualunque accusa a Carlino”.
L’avvocato Mondello ha descritto come “uno sfregio” il sequestro dei conti del sacerdote, anche perché dimostra “che il concorrente di un reato contro il patrimonio non ha avuto vantaggi economici”.
Mondello ha ricordato molti passaggi della testimonianza dell’arcivescovo venezuelano del 16 marzo 2023, nella quale il sostituto ha spiegato che Torzi non voleva più trattare con l’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, e quindi con monsignor Perlasca e Fabrizio Tirabassi (che è tra gli imputati), e quindi ha incaricato Carlino a trattare, quando si era già deciso di dare 20 milioni di euro al broker perché cedesse alla Santa Sede le sue mille azioni con diritto di voto e quindi il controllo del palazzo.
Nel corso dell’udienza, Peña Parra, ha detto Mondello, aveva sottolineato che monsignor Perlasca, “non si era comportato fedelmente, non solo per aver sottoscritto un contratto senza averne la procura, che con inganno poi la Segreteria di Stato era stata indotta a ratificare” e di aver eluso “le richieste di chiarimento del sostituto”.
Carlino è “la persona di fiducia” scelta dal sostituto. L’avvocato mostra una chat tra il sostituto e Pelasca del marzo 2019. Peña Parra “ricorda a Perlasca la sua proposta di non pagare Torzi e di fargli causa, e gli chiede di inviare un testo con i pro e i contro della soluzione legale. Una proposta che Perlasca non invierà mai”. Per Mondello quindi “non si può processare una trattativa”, anche perché la decisione drammatica di trattare con Torzi “l’ha presa il sostituto, e l’ha rivendicata, non si è mai tirato indietro”.
Mondello ha notato che Carlino ha sempre informato il suo superiore dei vari passaggi, che Carlino usava un “tono gentile” per poter raggiungere l’obiettivo. E ha poi messo in luce che l’accusa di abuso di ufficio a monsignor Carlino viene dalla richiesta di un prestito allo IOR che è stata fatta dal sostituto, e che comunque non è reato, e che avrebbe permesso di chiudere un’altro mutuo con interessi molto onerosi, che faceva perdere all’Ufficio più di un milione di euro al mese.
Infine Mondello ha contestato che la mancata denuncia dell’estorsione di Torzi, da parte di Carlino, sia stato abuso d’ufficio. Perché, si è chiesto, “avrebbe dovuto denunciare all’autorità giudiziaria un fatto del quale il suo superiore sapeva tutto e aveva avvisato anche il Papa? E comunque su tutto questo, perché materia economica, c’era il segreto pontificio, dal quale Francesco stesso dispensa i vertici dello Ior, quando fanno la denuncia”.
Anche l’avvocato di Segreteria di Stato Agnese Camilli Carissimi è intervenuta a descrivere il ruolo e la personalità di Carlino.
Verso la sentenza
Il 4 dicembre, sarà la volta delle difese del broker Raffaele Mincione, il 5 dicembre altra udienza e l 6 la conclusione della difesa Becciu. L’11 dicembre sono previste le repliche del promotore di Giustizia al mattino, e poi dal pomeriggio dell’11 al 12 le controrepliche delle difese. Quindi, si stabilirà l’ultima udienza, che porterà alla sentenza.
Finora, le difese hanno lasciato diverse domande cui trovare risposta. Alla fine, si è messo a rischio un sistema di trasparenza finanziaria che stava venendo messo a punto. La denuncia dello IOR contro la Segreteria di Stato sembra aver creato un corto circuito nel sistema finanziario. La decisione di procedere all’indagine ha fermato i possibili rapporti di intelligence dell’Autorità di Informazione Finanziaria, che da subito aveva fatto sapere che avrebbe continuato a tracciare le operazioni. La vicenda dell’immobile di Londra si è conclusa con una perdita economica per la Segreteria di Stato, ma resta il dubbio che se le cose fossero state fatte seguendo i contratti e i lock up (il termine entro cui il contratto non poteva essere modificato) forse ci sarebbe stato un profitto maggiore. Ed è stato messo in discussione anche il sistema di investimenti della Santa Sede, che pure si era sviluppato a partire dagli Anni Trenta.
La sentenza di Pignatone dovrà rispondere a tutte queste domande, e in qualche modo certificherà anche lo stato di salute del sistema vaticano. Resta la domanda: quanto è stato informato il Santo Padre e quanto è intervenuto nel processo?