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Diplomazia pontificia, Gallagher in Austria e Corea del Sud

Settimana piena per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Il cardinale Parolin si esprime sulla situazione in Terrasanta. Gli interventi al multilaterale

Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher con i segretari delle Conferenze Episcopali dell'Europa Centrale a Vienna, 24 novembre 2023 | @Terzaloggia Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher con i segretari delle Conferenze Episcopali dell'Europa Centrale a Vienna, 24 novembre 2023 | @Terzaloggia

È stato prima in Corea del Sud, per festeggiare i 60 anni di relazioni diplomatiche, e poi è andato direttamente a Vienna, ad una due giorni dove ha tenuto un discorso all’incontro dei segretari generali delle Conferenze Episcopali dell’Europa Centrale: settimana piena di impegni per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.

La missione della Santa Sede a Ginevra, così come quella all’UNESCO, hanno affrontato anche il nodo della pace in Terrasanta. I patriarchi cattolici in Libano lanciano un appello per il Paese.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Gallagher in Austria

Il 24 e 25 novembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri, è in Austria per intervenire all’incontro delle Conferenze Episcopali dell’Europa Centrale. All'incontro partecipano rappresentanti di Albania, Bosnia-Erzegovina, Germania, Croazia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Ungheria, oltre all'Austria. L'incontro durerà fino a sabato.

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L’occasione della visita lo ha portato a vari incontri bilaterali.

Da segnalare in particolare l’incontro con il ministro della Cultura Susanne Raab nell'ambito della sua visita a Vienna. "I temi del colloquio includevano, tra le altre cose, la situazione in Israele e la terribile guerra di aggressione di Hamas contro la popolazione israeliana, il crescente antisemitismo e la persecuzione globale dei cristiani", ha detto il ministro in una dichiarazione dopo l'incontro. presso la Cancelleria federale. Durante il colloquio Raab ha sottolineato anche “il buon rapporto di collaborazione tra lo Stato e le chiese e le comunità religiose in Austria”.
Raab si è detta grata per lo scambio, e ha sottolineato che “il buon clima di convivenza tra le chiese e le società religiose nel nostro Paese modella la coesione e ha anche un importante effetto modello nel dialogo tra le religioni e le persone. La Chiesa cattolica gioca un ruolo in questo dialogo interreligioso gioca un ruolo cruciale."
Prima dell'incontro con il ministro della Cultura, il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha incontrato il ministro degli Esteri Alexander Schallenberg e poi il ministro degli Interni Gerhard Karner. 

Gallagher in Corea del Sud

Santa Sede e Corea del Sud festeggiano 60 anni di relazioni diplomatiche, e per l’occasione l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato dal 20 al 23 novembre nel Paese per le celebrazioni.

Durante il viaggio, l’arcivescovo Gallagher ha avuto incontri istituzionali con il primo ministro coreano e il viceministro degli Esteri, ed è intervenuto al Simposio organizzato in occasione dell’anniversario. Tema del simposio era “Essere custodi di memoria e custodi di speranza”, una citazione dai discorsi del viaggio di Papa Francesco a Seoul nel 2014.

Il viaggio ha previsto diversi appuntamenti religiosi: una Messa al santuario di Seosomun, dove vennero martirizzati i primi cristiani coreani, canonizzati il 6 maggio 1984.

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El suo intervento al simposio, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato come sono stati stabiliti, nel 1963, i rapporti diplomatici tra Santa Sede e Corea del Sud, notando che dal tempo dello scambio di note verbali “undici rappresentanti pontifici e diciotto ambasciatori si sono alternati nelle rispettive sedi, coltivando un solido rapporto bilaterale”.

Mettendo in luce il significato simbolico del numero 60 sia per la tradizione biblica che quella coreana, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che il simposio ha messo a tema un progetto riguardante i fondi conservati presso l’Archivio Apostolico Vaticano, la Biblioteca Apostolica e la Rappresentanza Pontificia di Seoul, progetto che è “un’ulteriore propizia occasione per mettere in piena luce il patrimonio diplomatico, culturale e sociale costituito dalla sessantennale relazione tra la Santa Sede e questo Paese”.

La Corea, ricorda Gallagher, ha avuto varie trasformazioni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sorgendo dalle sue ceneri ed emergendo sulla scena come potenza economica e industriale, mentre il Vangelo attecchiva sempre più.

“In questi sei decenni – ricorda l’arcivescovo - diversi avvenimenti memorabili hanno scandito il consolidamento dei rapporti: tra tutti, tengo a menzionare i tre Viaggi Apostolici – quelli di San Giovanni Paolo II nel 1984 e nel 1989, e quello di Papa Francesco nel 2014 – e le visite dei Capi di Stato coreani in Vaticano – quella del Presidente Kim Daejung nel 2000, e quelle del Presidente Moon Jae-in nel 2018 e nel 2021 – tutti eventi che testimoniano di un’ottima relazione e di mutua sintonia”.

La Chiesa, aggiunge il “ministro degli Esteri” vaticano, è, da parte sua, grata alla Corea, alla sua Chiesa locale che dà testimonianza con “fede e vitalità” e per l’impegno missionario, ai suoi governi e alle sue genti che hanno potuto vivere in “libertà e rispetto”, e poi perché quando la Santa Sede nominò nel 1947 Monsignor Patrick James Byrne a Visitatore Apostolico compì “il primo riconoscimento a livello mondiale della Corea come Stato sovrano ed indipendente”.

L’arcivescovo Gallagher ricorda anche che monsignor Byrne fu poi arrestato nel 1950, durante l’invasione delle forze nordcoreane, e morì poi di stenti dopo pochi mesi. Nel 1948, fu l’allora Arcivescovo Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, al tempo Nunzio Apostolico a Parigi, a fornire assistenza alla Delegazione coreana inviata alla III Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel dicembre 1948, con una opera diplomatica che “condusse al riconoscimento ufficiale della Repubblica di Corea da parte delle Nazioni Unite”

L’arcivescovo Gallagher poi parla del progetto di studio e conservazione dei documenti delle raccolte archivistiche del Vaticano, esempio di “custodia della memoria”, considerando che “le testimonianze d’archivio non si limitano ad essere una documentazione del passato, fonte di un interesse solamente immanente”, ma piuttosto mostrano “il disegno salvifico di Dio”, e così “la Chiesa ritrova negli archivi qualcosa di più dei semplici depositi dei testi”.

Per la Chiesa, sottolinea l’arcivescovo Gallagher, “l’impegno per il bene comune, con tutte le sue concrete vicende, nasce da un mandato di natura propriamente teologica e spirituale”, e questo collegamento tra visione ed evoluzione storica sono anche alla base dell’azione diplomatica della Santa Sede, la quale sembra “talvolta muoversi lungo linee teoriche e a livello di meri principi: coscienza e libertà religiosa, dignità dell’essere umano, educazione e carità”.

Sono temi “apparentemente astratti”, che “pongono problemi estremamente concreti”, e in effetti “la capacità della diplomazia della Santa Sede di assumere una prospettiva e un fine alti” costituisce “una delle sue grandi originalità”.

Gallagher spiega che “la Santa Sede non intende ingerire nella vita degli Stati”, e in questi sessant’anni “la Santa Sede ha cercato di offrire al popolo coreano una cooperazione sincera e un ascolto attento, sostenendone le aspirazioni profonde, comprendendone le preoccupazioni e condividendone le attese”.

La custodia della memoria, ribadisce l’arcivescovo Gallagher, va dunque “oltre il semplice ricordo”, ma deve servire ad “affrontare con lungimiranza le speranze e le sfide del futuro”, ed è importante riconoscerlo oggi che “la pacifica convivenza delle Nazioni è messa oggi alla prova su molti fronti e non mancano grandi sfide che si profilano, nella regione come nell’intera comunità delle Nazioni, sollevando incognite sul futuro comune”.

Il “ministro degli Esteri vaticano” fa una lista delle incognite, dalla “terza guerra mondiale a pezzi” alla “corsa per gli armamenti e la minaccia nucleare, il terrorismo, la disaffezione per la concertazione multilaterale, solo per citare alcuni esempi”.

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Così l’umanità “sembra oscillare tra timore e speranza”, tra i progressi scientifici più straordinari e la mancanza di un autentico progresso sociale e morale. La Chiesa e le strutture della diplomazia hanno, dunque, il compito di essere “segno di speranza”, che deve essere “criterio ispiratore dell’agire comune”, cosa che consiste “nel ridare voce all’idea che la contrapposizione e la guerra non sono un destino ineluttabile, ma possono essere superate grazie al dialogo”.

“Per la Santa Sede – spiega Gallagher - questo si traduce in un impegno costante, che mira a conoscere i fatti e le situazioni interpretandole alla luce dei principi evangelici e delle norme internazionali, senza tralasciare ogni pur minimo elemento che possa favorire la concordia ed evitare il conflitto”.

Così, la diplomazia pontificia ha l’obiettivo di “essere strumento a servizio dell’umana coesistenza, e una voce che riafferma, in ogni occasione possibile, la comune aspirazione alla stabilità, alla sicurezza e alla pace”, e per questo rimane “saldamente impegnata nel faticoso sforzo di garantire l’ordinata convivenza mondiale e quella tanto auspicata pace che, lontana dall’essere un mero equilibrio di forze, scaturisce e si identifica piuttosto con la giustizia”.

Alla Chiesa e alle strutture della diplomazia spetta “di ribadire la prospettiva di quella solidarietà tra i popoli che, sola, può generare vero progresso comune”, considerando che “la necessità e l’interesse giocano un ruolo significativo”, ma che pure le sfide attuali “non potranno essere vinte se non affrontandole anche da una prospettiva di fratellanza e di dedizione al dialogo”, e dunque “le legittime preoccupazioni politiche o economiche dovrebbero essere sempre integrate con un più ampio senso di solidarietà che, consacrandosi ad ogni individuo come fratello e sorella, detiene la chiave per il vero successo”.

L’arcivescovo Gallagher auspica anche una crescente collaborazione tra Sede Apostolica e Repubblica di Corea per affrontare le sfide sul presente e sul futuro del mondo, in particolare nell’Asia orientale.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche ribadito “la profonda partecipazione con la quale la Santa Sede condivide l’anelito del popolo coreano alla pace della penisola”, e sottolinea che “non è possibile scoraggiarsi nel perseguimento di tale obiettivo, che va a beneficio non solo del popolo coreano, ma dell’intera regione e del mondo intero”.

L’arcivescovo Pena Parra a Seoul

Il viaggio dell’arcivescovo Gallagher è stato preceduto da un altro viaggio di un alto officiale della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto, che il 18 novembre ha celebrato una Messa nel Seminario Maggiore di Seoul. L’omelia è parte di un viaggio più ampio, durante il quale Pena Parra ha partecipato a diversi eventi della Chiesa locale incontrando, tra l’altro, il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Paese (Cbck), monsignor Matthias Ri Iong-hoon, vescovo di Suwon, e poi il Consiglio permanente della stessa Conferenza.

Nella sua omelia, il numero 2 della Segreteria di Stato ha sottolineato che la vocazione al sacerdozio significa anche “fare memoria della vostra storia, dei tanti testimoni che hanno abbracciato la fede con audacia, di quel cammino di popolo in cui è nata, cresciuta e maturata la vocazione al sacerdozio”.

L’arcivescovo Pena Parra ha segnalato Sant’Andrea Kim, primo martire coreano, come esempio, perché “pur dentro la notte oscura della persecuzione che la Penisola coreana ha sperimentato la gioia del Vangelo è sgorgata come un fiume rigonfio di acque limpide e ha fecondato questa terra, generando una comunità cristiana ardente nella fede e suscitando nell’intimo di tanti giovani come voi la chiamata a seguire il Signore sulla via della speciale consacrazione a Lui”.

                                                           FOCUS PAPA FRANCESCO

Papa Francesco chiama il presidente argentino Milei

Dopo l’elezione di Javier Milei come presidente di Argentina, Papa Francesco ha avuto con lui una conversazione telefonica di circa otto minuti. Milei aveva duramente criticato e attaccato Papa Francesco durante la campagna elettorale, sebbene poi avessse parzialmente ritrattato le dichiarazioni. Un possibile ritorno del Papa nella sua patria in viaggio era stato legato da speculazioni all’esito elettorale argentino, ma la scorsa settimana Papa Francesco ha fatto trapelare che non sarebbe stato così.

La telefonata tra Papa Francesco e il presidente argentino eletto ha avuto luogo il 21 novembre, ed è stata confermata ai media argentini da Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Il Papa avrebbe detto a Milei che gli avrebbe inviato nei prossimi giorni due rosari benedetti, uno per lui e uno per la sa compagna Victoria Villaruel.

Secondo i media argentini, si è trattato di un dialogo cordiale, e il presidente avrebbe invitato formalmente il Papa a visitare il Paese il prossimo anno come “capo di Stato, e leader della Chiesa. Milei inizierà il suo mandato il 10 dicembre.

Il contatto telefonico avrebbe avuto luogo tramite l’oftalmologo del Papa Fabio Bartucci, amico del candidato capo del governo della Città di Buenos Aires Ramiro Marro. Il Papa ha chiamato nel mezzo di una intervista televisiva registrata, e Milei ha interrotto l’intervista per avere la conversazione con il Papa.

Alcuni testimoni del dialogo hanno sottolineato che “il Papa ha affermato durante la conversazione che la salute, l’educazione e la povertà sono temi molto importanti”, e Javier ha concordato “spiegando che i cambiamenti che andrà a fare saranno buoni per la popolazione”. Il Papa gli avrebbe detto che c’è bisogno di coraggio e saggezza per governare, e Milei avrebbe risposto di avere il coraggio e di star lavorando sulla saggezza”.

                                              FOCUS MEDIO ORIENTE

L’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede risponde all’arcivescovo Jacques Mourad

L’arcivescovo di Horns, Hama e Nabel Jacques Mourad, uno dei monaci della comunità di Mar Mousa che fu rapito dall’ISIS e che comunque ha sempre cercato di stabilire ponti di dialogo, ha scritto per Fides un articolo intitolato “L’inferno in Terrasanta”, pubblicato il 15 novembre. In una nota, pubblicata sulla stessa agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Rafael Schutz ha voluto rispondere all’articolo, che trattava della guerra in corso, ma parlava anche della storia del conflitto israelo-palestinese e di altri aspetti regionali.  

In particolare, l’ambasciatore si concentra su una frase del vescovo: "Non è umano per i palestinesi uccidere gli israeliani nei kibbutzim. E non è umano che gli israeliani bombardino chiese e ospedali”.

Frase – denuncia l’ambasciatore – “racchiude la spiacevole tendenza a tracciare falsi parallelismi e simmetrie dove non esistono”, perché “mentre Hamas, Hezbollah e altri emissari dell'Iran hanno l'obiettivo di uccidere il maggior numero possibile di civili israeliani, al fine di annientare lo Stato ebraico, l'azione militare israeliana rappresenta il caso più evidente di autodifesa. Il suo obiettivo è ripristinare la sicurezza degli stessi civili”.

L’ambasciatore nota che l’autodifesa prevede, purtroppo, anche l’attacco di chiese, ospedali, scuole, gIardini di infanzia, perché “Hamas usa queste e altre installazioni come centri operativi per le sue attività criminali. Così facendo Hamas converte questi luoghi in obiettivi militari legittimi secondo il diritto internazionale e, aggiungerei, anche secondo la morale e il buon senso”.
L’ambasciatore mette in luce che l’esercito israeliano sta “adottando molte misure preventive” prima di attaccare obiettivi civili trasformati in centri di Hamas, mentre Hamas “non solo usa la popolazione Palestinese come scudo umano, ma cerca attivamente e brutalmente di impedire a questa popolazione di salvarsi, sapendo che Israele sarà l'unico ad essere incolpato per qualsiasi vittima civile”.
L’ambasciatore nota anche che “le guerre sono sempre terribili, ma a volte devono essere combattute”, e in fondo come nessuno “descriverebbe le forze alleate che combattevano i nazisti in Europa negli anni '40 come ‘malvagie’”, lo stesso dovrebbe succedere per le forze israeliane.

Quindi, l’ambasciatore contesta la ricostruzione storica dell’articolo. L’arcivescovo Mourad ha scritto che dal 1948 i palestinesi “vivono come rifugiati in campi sparsi per il Medio Oriente".

Ma è davvero così? Schutz sottolinea che i 750 mila diventati rifugiati nel 1948 lo sono diventati perché hanno rifiutato la soluzione dei due Stati, hanno aggredito israele, e hanno perso. Non solo. Chiede di domandarsi “come mai, a differenza di molti milioni di rifugiati nell'Europa del secondo dopoguerra, non sono stati integrati in Libano, Siria e altri Paesi arabi, ma sono stati tenuti come cittadini di seconda classe”. E infine, si chiede “come mai dai 750 mila del 1948 si sostiene che oggi siano circa 5 milioni”, perché questo “deve essere l’unico caso in cui lo status di rifugiato passa di generazione in generazione”.

Secondo Schutz, dal 1948 i rifugiati “sono stati più che altro uno strumento politico anti-israeliano nelle mani del mondo arabo che ha preferito usarlo e manipolarlo invece di risolverlo, come è stato fatto in Europa e anche nello stesso Israele che negli anni successivi al 1948 ha assorbito più di un milione di rifugiati ebrei perseguitati e/o espulsi dai Paesi arabi musulmani”.

L’ambasciatore ricorda anche che la voce dei palestinesi è molto ascoltata, come “può testimoniare un numero infinito di risoluzioni anti-israeliane all'ONU e nelle sue agenzie”, contro le quali punta il dito perché in molte di esse “l'agenda professionale è stata dirottata, i dibattiti seri sulle reali sfide globali sono stati spazzati via, sacrificati e sostituiti da una palese propaganda anti-israeliana”, guardando in particolare al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Terrasanta, la Santa Sede vede con favore l’accordo sugli ostaggi

L’accordo tra Israele e Hamas, mediato dal Qatar, per una tregua sul conflitto a Gaza e uno scambio tra alcuni ostaggi e prigionieri è stato approvato con favore dalla Santa Sede. Il Cardinale Parolin, commentando la notizia, ha affermato di sperare in una “soluzione pacifica di questo conflitto che insanguina il Medio Oriente”.

L’accordo, ha detto il cardinale, è “un passo avanti di estrema importanza”, perché “mi pareva che la questione degli ostaggi fosse la questione chiave anche per quanto riguarda l’intervento armato di Israele”. Quindi “se si comincia a risolvere la questione, si spera che si possa poi arrivare a una tregua definitiva e all’avvio di trattative e a una soluzione pacifica di questo conflitto che insanguina il Medio Oriente”.

Il cardinale ha parlato lo scorso 22 novembre, a margine di un evento sul patrimonio architettonico della Santa Sede. In quello stesso giorno, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di palestinesi e un gruppo di familiari delle vittime del conflitto di Israele. Il gruppo palestinese aveva riferito che il Papa aveva usato la parola genocidio. Su questo punto era già intervenuto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, affermando: “Non mi risulta (che il Papa) abbia usato tale parola. Ha utilizzato i termini con cui si è espresso durante l’udienza generale e parole che comunque rappresentano la situazione terribile che si vive a Gaza”.

Il segretario di Stato vaticano ha aggiunto di non sapere con esattezza, ma che “genocidio è un termine molto tecnico che si applica a determinate situazioni, non so se in questa situazione si possa parlare di genocidio”. Irrealistico, quindi, per il segretario di Stato che il Pontefice abbia usato questa parola: “Torno a dire che è un termine che si applica a determinate situazioni ben precise, che ha conseguenze anche molto precise a livello internazionale”.

Quanto al fatto che qualcuno nel gruppo di parenti degli ostaggi israeliani, ricevuti sempre in mattinata dal Papa, abbia espresso “delusione” per le parole sul terrorismo al termine dell’udienza generale, senza citare Hamas, il cardinale Parolin replica: “Difficile sempre accontentare tutti”. “Normalmente – aggiunge - il Santo Padre si riferisce in termini abbastanza generici. Evidentemente chi vuole capire, capisce. Non c’è bisogno di scendere nei dettagli”.

“Credo che questo è uno stile un po’ generale della Santa Sede: se vediamo gli interventi del Papa, non entra mai nel merito chiamando per nome e cognome le persone e le situazioni. Ma evidentemente si riferisce a certe situazioni, chi vuole capire capisce”, ha spiegato il Cardinale Parolin.

Libano, un appello di Patriarchi e vescovi cattolici

In occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, l’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici del Libano ha lanciato il “grido del cuore” dei libanesi che hanno bisogno di soldi, pane e vestitie ha messo in guardia dal rischio di dover chiudere le strutture che aiutano i poveri.

Il grido rappresentato dall’Assemblea è quello “dei dimenticati, degli invisibili, di coloro che non vogliamo vedere e che tuttavia, in Libano, sono sempre più numerosi. Questo grido è quello dei poveri, dei bisognosi che necessitano di denaro, pane e vestiti”.

Il testo descriveva tutti i settori colpiti dalla crisi, dagli ospedali all’istruzione, dal settore pubblico all’esercito.

I patriarchi hanno messo in guardia dall’eventualità di dover chiudere associazioni comunitarie, educative, sanitarie e sociali, a prescindere dalla loro appartenenza, che magari non sono in grado di svolgere le loro missioni.

Le guide ecclesiali hanno anche puntato il dito contro i leader politici, che starebbero “distruggendo ciò che i nostri antenati hanno impiegato secoli per costruire, sacrificando la generazione attuale e distruggendo il futuro”. I patriarchi hanno denunciato una condanna a morte del tessuto associativo, dovuta alla “negligenza” dello Stato.

                                                                       FOCUS ASIA

Una delegazione vaticana in Cina

Una delegazione guidata dall’arcivescovo Claudio Maria Celli è in Cina dal 20 novembre. Il viaggio è cominciato da Pechino, ma la delegazione ha la possibilità di visitare varie diocesi in Cina. Una libertà di movimento che è letta come un segno di buona volontà da parte della Cina.

Ogni anno, c’è una delegazione della Santa Sede che visita la Cina, prima per vedere se c’erano spazi per un eventuale accordo, e – dopo l’accordo del 2018 – per fare il punto sull’accordo, definire possibili modifiche, rinegoziare situazioni e soprattutto garantire una presenza che la Segreteria di Stato vorrebbe più costante, magari con la nomina di un rappresentante della Santa Sede residente a Pechino.

Come sempre, non ci sono informazioni ufficiali sulla delegazione, né ci saranno comunicazioni. Oltre all’arcivescovo Celli, la delegazione dovrebbe includere monsignor Miroslaw Wachowski, sottosegretario vaticano per i rapporti con gli Stati, monsignor Samuele Sangalli, sottosegretario del Dicastero dell’Evangelizzazione.

La delegazione è arrivata appena dopo il ritorno dell’arcivescovo di Pechino Shen Bin dal viaggio ad Hong Kong, dove ha partecipato alla “Seconda Conferenza di condivisione e scambio di teologia cattolica sulla sinicizzazione continentale e Hong Kong”.

Durante la conferenza, vescovi e sacerdoti cinesi della Chiesa ufficiale hanno formalmente informato il clero di Hong Kong su come attuare la visione socialista del presidente Xi Jinping sulla religione.

La conferenza si è tenuta dal 15 al 16 novembre, e sembra che una prima conferenza di questo tipo si sia tenuto il 31 ottobre 2022.

La conferenza di quest'anno è stata organizzata congiuntamente dall'Associazione patriottica cattolica cinese, dal Comitato di ricerca teologica della Conferenza episcopale cattolica cinese e dal Centro di ricerca Holy Spirit della diocesi cattolica di Hong Kong e ha visto la partecipazione di oltre 50 esperti ed esponenti del clero provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong.

Secondo il sito ufficiale dell’Associazione Patriottica cinese, i partecipanti hanno parlato dell’importanza della traduzione e interpretazione della Bibbia per la “sinicizzazione” del Paese.

L’arcivescovo Shen Bin, presidente della Conferenza episcopale cinese e vicepresidente dell'Associazione patriottica, sostenuta dal Partito comunista, ha affermato nel suo discorso di apertura che il 2022 è "un anno molto importante".

L’arcivescovo di Pechino ha sottolineato che il presidente Xi “ha nuovamente avanzato l'esigenza di aderire alla direzione della sinicizzazione delle religioni cinesi e di guidare attivamente le religioni affinché si adattino alla società socialista”. Shen Bin ha inoltre ricordato che il 2022 ha segnato il centenario dell’arrivo in Cina del primo nunzio apostolico, Gang Hengyi, il quale ha promosso con forza la formazione di clero locale.

Il cardinale Tong Han, vescovo emerito di Hong Kong, ha tenuto un discorso all'incontro. Il cardinale Tong ha sottolineato che il presidente Xi ha incoraggiato i giovani di Hong Kong a lavorare duro per costruire la società e servire gli altri. La Chiesa ha bisogno di coltivare più giovani teologi e studiosi e continuare per aprire le benedizioni adatte alla religione e alla cultura sociale cinese di oggi.

Hanno tenuto discorsi undici studiosi e sacerdoti, tra cui il segretario generale dell'Associazione Patriottica, un ricercatore presso l'Ufficio di ricerca sociale dell'Istituto di storia moderna dell'Accademia delle scienze sociali, il direttore del Dipartimento biblico dell'Associazione Patriottica, un docente presso il Seminario teologico dell'Unione Jinling di Jinling, il Seminario di filosofia teologica dello Spirito Santo di Hong Kong e la Compagnia di Gesù P. et al.

L’articolo su China Catholic Network concludeva: “Dopo due giorni di meravigliose discussioni, i partecipanti hanno convenuto all’unanimità che la Bibbia è il fondamento spirituale della Chiesa, e che la sinizzazione della Chiesa in Cina richiede una ricerca approfondita sulla traduzione, interpretazione e predicazione della Bibbia. Pertanto, la Chiesa continentale e Gli scambi e la cooperazione tra le Chiese di Hong Kong sono molto significativi e spero che seminari simili continuino.”

 Il clero di Hong Kong generalmente ritiene che l'enfasi posta dalle autorità comuniste sull'utilizzo dei seminari di scambio sia una strategia di fronte unito costantemente utilizzata dal PCC.

Il 16 novembre il Cardinale Chow, vescovo di Hong Kong ha detto loro che lo scopo dell’incontro online era quello di scambiare credenze e culture e che il clero dovrebbe mantenere il proprio pensiero indipendente e non comportare il lavaggio del cervello. In una recente intervista, ha sollevato un punto simile sull’attuazione da parte della Cina della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, chiedendo a Pechino di chiarire le linee rosse della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong.

                                                           FOCUS EUROPA

Parolin celebra una Messa per ricordare l’Holodomor

L’holodomor è il “genocidio per fame” attuato negli anni Trenta del secolo scorso contro il popolo ucraino su ordine di Stalin. 

Tra il 1932 e il 1933, infatti, Stalin fece in modo che l’Ucraina, allora definito granaio di Europa, non avesse approvvigionamenti di cibo, con lo scopo di sottomettere la popolazione ucraina rurale. Il bilancio di morte causato da questa carestia è impressionante: solo nella primavera del 1933, si stima siano morte 17 persone al minuto, 1000 l’ora, quasi 25 mila al giorno. La maggior parte delle vittime erano bambini.

In occasione del novantesimo anniversario dell’Holodormor, l’Ambasciata di Ucraina presso la Santa Sede ha organizzato una Messa presieduta dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano,  a Sant’Andrea della Valle. Il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero delle Chiese Orientali, era primo concelebrante.

Nell’omelia, il Cardinale ha ricordato che al ricordo dell’Holodomor, “si unisce il nostro affetto per le persone che hanno perso la vita per la guerra in corso iniziata 21 mesi fa”. Il Cardinale ha ricordato che la preghiera si svolge nella memoria di San Clemente Papa, terzo successore dell’apostolo Pietro, del quale celebriamo la memoria liturgica e il cui martirio avvenne a Kherson, in Ucraina. Un martire “che aveva visto gli apostoli, che si era incontrato con loro, e aveva davanti agli occhi la loro predicazione” e che “esprime il legame speciale del popolo ucraino con la sede apostolica e con Papa Francesco, che la porta nel cuore e desidera esprimere la sentita vicinanza”.

Le letture del giorno riportavano un brano dei Maccabei, che si ribellano al potere costituito. “Le forze del male – sottolinea il Cardinale  trovano nelle persecuzioni, soprattutto in quelle religiose, una delle costanti manifestazione. Il potere politico rischia. Discrimina chi compie tradizioni e usanze non compatibili con il proprio progetto di società”.

Il Segretario di Stato vaticano sottolinea che “anche il Vangelo sembra a tratti ricalcare i bollettini di guerra contemporanei”, mette in luce “l’enorme distruzione” dell’Ucraina, che vive in condizioni sempre più difficili in vista dell’inverno, e nota che “si è sempre più esposti a rassegnazione, la fede stessa è messa a dura prova, ma l’onnipotenza di Dio si manifesta nella capacità di condurre la storia rispettando la libertà umana”.

Il nunzio Filipazzi sullo stato della fede in Polonia

L’arcivescovo Antonio Filipazzi, nunzio apostolico in Polonia, ha dato una intervista al portale Opoka. Da poco nominato nunzio nel Paese, l’arcivescovo Filipazzi ha dovuto affrontare già una importante serie di cambiamenti, a partire da quelli conseguenti alle ultime elezioni politiche, che hanno visto un nuovo equilibrio di forze. Ma l’arcivescovo Filipazzi sarà chiamato anche a guidare la Chiesa di Polonia in una transizione generazionale, dato che l’anno prossimo scadrà il mandato di presidente della Conferenza Episcopale dell’arcivescovo Stanislaw Gadecki di Poznan, compirà 75 anni l’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski, e arriverà all’età della pensione tra due anni anche il cardinale Nycz, arcivescovo di Versavia.

Il nunzio ha concesso l’intervista dopo un incontro con i vescovi. Ha spiegato di aver detto loro di “non aver paura, non avere paura di raddoppiare il nostro impegno della missione”. E ha aggiunto: “È vero che i cambiamenti ci sono, ma non bisogna drammatizzarli come se fosse la fine del mondo. Prima della mia partenza per la Polonia, Papa Francesco mi ha parlato, ad esempio,

dei pellegrinaggi come esempio di qualcosa di meraviglioso e bello che c’è nella Chiesa in Polonia, ma che io vedo anche nella vita di tutti i giorni”.

L’arcivescovo Filipazzi ha notato la grande quantità di persone che partecipano attivamente ai sacramenti, dato che “non può essere ignorato” anche se “i numeri non sono così grandi come prima,” considerando però che “quando prima avevamo grandi numeri, c'erano problemi che non vedevamo e che ora stanno venendo alla luce”.

Il nunzio ha notato che in Polonia esiste “ancora una forte base cristiana della fede”, e allora di fronte alla secolarizzazione “possiamo scegliere due atteggiamenti: o aspettare che la situazione peggiori, oppure provare a dare risposte positive a questa secolarizzazione”.

Il problema, ha aggiunto, è “affascinarli e attirarli alla fede”, e tuttavia “se ci concentriamo sugli aspetti spirituali, sulla santità, sulla grazia, e non solo sulle risorse umane e sull'organizzazione, e diamo qualche testimonianza di coerenza, sarà una testimonianza importante anche per i giovani”.

Guardando al Giubileo 2025, il nunzio ricorda che la priorità del Giubileo è “il rinnovamento interiore”, e quindi non è necessario fare grandi cose, perché “se facciamo solo cose esterne. e la mentalità non è coerente con la fede, non contribuisce molto”.

Infine, l’arcivescovo Filipazzi ha chiesto ai giornalisti cattolici di “dire sempre la verità”, perché “troppo spesso vediamo che la verità non viene detta nel mondo dei media. Le notizie vengono trasmesse e i giudizi formulati, ma in un modo che dipende dall'ideologia o dai proprietari che gestiscono i media. I media cattolici devono poter dire la verità su tutto. Questo non significa cercare lo scandalo o lo scontro, ma raccontare la situazione così com'è. Lasciamo che siano coloro che ascoltano o leggono i frutti del loro lavoro a giudicare”.                                         

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Il nunzio apostolico Vito Rallo decorato con la più alta onorificenza del regno del Marocco

L’arcivescovo Vito Rallo, nunzio apostolico in Marocco fino allo scorso luglio quando è andato in pensione, ha ricevuto presso l’ambasciata del Marocco presso la Santa Sede il Wissam Alouite dell’Ordine del Gran Cordone, la più alta onorificenza conferita del re del Marocco Mohamed VI.

Nei suoi otto anni da ambasciatore del Papa nel Regno del Marocco, l’arcivescovo Rallo ha contribuito in maniera decisiva al successo del viaggio del Santo Padre in Marocco nel 2019.

L’onorificenza è stata conferita all’arcivescovo Rallo lo scorso 20 novembre, nel corso di un ricevimento presso l’ambasciata del Marocco presso la Santa Sede.

Nel suo discorso di accettazione, l’arcivescovo Rallo ha sottolineato che “durante gli anni trascorsi in Marocco, ho avuto il piacere di scoprire la bellezza e la varietà di questo Paese, il suo patrimonio storico, artistico e spirituale, la sua vitalità democratica, la sua influenza internazionale e la sua generosità verso i più bisognosi, come abbiamo visto recentemente nella gestione delle delicate e problematiche conseguenze del terremoto che ha provocato migliaia di morti e di feriti oltre alla distruzione di interi centri abitati ed infrastrutture”.

Il nunzio ha detto aver apprezzato “la gentilezza, la calorosa accoglienza e la sicurezza riscontrabile in tutti i quartieri e le medine ove mi sono recato”, ricordato “gli interessanti e fruttuosi incontri dedicati al Dialogo interreligioso, i ftour, le cene pluriel o interreligiose”.

Tra le preoccupazioni del nunzio durante il suo mandato, anche quello di “rafforzare i legami tra la Santa Sede e il Regno, due partner che condividono valori comuni e interessi strategici. Ho potuto stimare la qualità del dialogo interreligioso e della cooperazione tra le due parti nonché, in particolare, l’ampia convergenza ed affinità di vedute sulle grandi questioni globali come la pace, lo sviluppo, i diritti umani, la libertà religiosa, la tutela dell'ambiente e i migranti”.

Il nunzio ha ringraziato Papa Francesco per avergli dato l’incarico, e anche il Mohammed >Vi, comandante dei credenti, il quale “consente che nel Suo regno le comunità delle tre religioni monoteiste, quella musulmana, quella ebraica e quelle cristiane, possano convivere nel pieno rispetto reciproco e nella quotidiana condivisione dei valori fondamentali dell’umanità”.

In una intervista con Vatican News, ha detto che “ci sono 30 mila cattolici che frequentano le nostre chiese. Dobbiamo dire che grazie alla presenza dei cattolici subsahariani non abbiamo mai chiuso le nostre chiese. Anzi, può essere che ne dovremo costruire di nuove”.

Per i marocchini, comunque, è difficile convertirsi dall’Islam al cristianesimo, perché questo significherebbe “l’esclusione da altri gruppi di amici, di genitori, di membri della famiglia”. Tuttavia, il nunzio ha notato che “da parte delle autorità fino alla popolazione c’è un grande dialogo su tutte le questioni”, un dialogo che “si costruisce sul contatto umano, sul luogo della vita, dove vive, nel quartiere”, e dialogando “si impara così a conoscere la dimensione religiosa di un popolo”.

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La Santa Sede a Ginevra, la questione dello sviluppo economico in Africa

Lo scorso 20 novembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e  altre organizzazioni internazionali a Ginevra, ha preso la parola alla 74esima sessione esecutiva del board dell’agenzia ONU sul commercio, l’UNCTAD, con un intervento su “Sviluppo economico in Africa: il potenziale dell’Africa di catturare catene di approvvigionamento energetico di tecnologia intensiva, oggetto di un rapporto.

Nel suo intervento, il nunzio ha detto che il rapporto “mette in luce il bisogno urgente di focalizzarsi sul promuovere una crescita economica sostenibile, creando buone opportunità di lavoro e combattendo la povertà e l’ineguaglianza”, nonché la necessità di supportare lo sviluppo umano e promuovere pace e prosperità in tutto il continente.

La Santa Sede apprezza anche “le strategie evidenziate per un utilizzo equo delle ricche risorse africane e per il loro uso per la promozione della crescita regionale e dello sviluppo”, e supporta le iniziative che mirano a garantire una “integrazione trasparente di tutte le nazioni negli approvvigionamenti”.

L’arcivescovo Balestrero nota che “l’enfasi su un approccio diversificato e resiliente per il trovare materiale grezzo e beni intermedi dall’Africa può portare un contributo significativo al progresso economico del continente”, così come l’incoraggiamento a implementare politiche che affrontano le sfide del capitale umano, lo sviluppo delle infrastrutture e la tecnologia.

La Santa Sede sottolinea che il rapporto è comunque un “richiamo all’azione per la comunità internazionale”, considerando che è evidente che “c’è ancora bisogno di sforzi significativi”, e per questo non può che destare preoccupazione il fatto che l’UNCTAD ha sottolineato che il suo contributo per i progetti in Africa è continuato a scendere dal 44 per cento del 216 al 32 per cento del 2022.

La Santa Sede a Ginevra, l’assistenza al popolo palestinese

Il 21 novembre, l’UNCTAD ha discusso un rapporto sulla sua assistenza prestata al popolo palestinese. L’arcivescovo Balestrero ha notato, in un intervento, che “ora più che mai, l’UNCTAD gioca un ruolo chiave nel supportare il popolo palestinese attraverso strategie economiche, ricerche orientate a stabilire policies, progetti che mirano a implementare le possibilità del settore pubblico e privato e cooperazione tecnica”.

La Santa Sede, da parte sua, resta “pienamente impegnata a promuovere pace e giustizia in Israele e Palestina”, e in questo contesto e in vista del tragico spargimento di sangue nella regione, il nunzio ha fatto una serie di osservazioni.

La prima: la Santa Sede ha “inequivocabilmente e irrevocabilmente condannato l’inumano attacco terroristico perpetrato da Hamas il 7 ottobre contro innocenti civili in Israele”, che ha portato all’omicidio brutale e al ferimento di “migliaia di persone”, nonché alla presa di “centinaia di ostaggi, inclusi bambini ed anziani”.

La Santa Sede ribadisce la richiesta avanzata da Papa Francesco di un immediato rilascio di tutti gli ostaggi a Gaza, e sottolinea che “il terrorismo e l’estremismo alimento odio, violenza e vendetta, e causano mutua sofferenza”.

Seconda osservazione: la Santa Sede riafferma il diritto all’autodifesa, ma “tutte le parti devono sempre rispettare la legge umanitaria internazionale, incluso il principio di proporzionalità”, e sottolinea “profonda preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria nella striscia di Gaza, che ha provocato “la morte di migliaia di innocenti vite palestinese, inclusi più di 5 mila bambini innocenti”.

Questa sofferenza indiscriminata della popolazione è inaccettabile”, afferma con forza l’arcivescovo Balestrero. La Santa Sede “chiede la protezione efficace di ogni civile” e dunque che “l’accesso umanitario sia garantito”, e ricorda gli oltre 100 membri dello staff dell’UNRWA (l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione) che sono stati uccisi a Gaza nelle scorse settimane.

La delegazione della Santa Sede infine chiede alle autorità di Israele e Palestina “di rinnovare con forza il loro impegno per la pace basata sulla giustizia e il rispetto per le legittime aspirazioni di entrambe le parti”, e sottolinea che “sebbene la strada del dialogo sembri al momento limitata, si tratta dell’unica soluzione pratica per una fine a lungo termine della attuale violenza che colpisce cristiani, ebrei e musulmani nella regione”, considerando che “una soluzione di due Stati resta una opzione possibile per raggiungere questa pace”.

La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati Americani, il tema del cambiamento climatico

Lo scorso 21 novembre, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha tenuto una sessione straordinaria del suo consiglio permanente sul cambiamento climatico. Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, Osservatore Permanente della Santa Sede all’OSA, ha tenuto un intervento ricordando come “la Santa Sede segue da vicino quello che si sta realizzando a livello internazionale per incrementare la coscienza e stabilire meccanismi appropriati di risposta al cambiamento climatico, che è ogni volta meno indiscutibile e che si evidenzia nei sempre più frequenti disastri naturali e i loro effetti devastanti nelle vite umane, le infrastrutture e l’economia in tutto il mondo”.

Monsignor Cruz Serrano ha ricordato la recente pubblicazione dell’esortazione Laudate Deum di Papa Francesco, aggiornamento della Laudato Si, documento in cui il Papa “lancia una voce di allarme e una chiamata alla corresponsabilità per prendersi cura della casa comune prima che sia troppo tardi”.

È una esortazione che guarda in particolare alla COP28 che si celebrerà a Dubai in qualche giorno, cui parteciperà lo stesso Papa Francesco, il quale insiste sulla necessità di una “azione urgente” per affrontare la crisi climatica e invertire l’attuale tendenza”.

Ci vuole, sottolinea monsignor Cruz Serrano, un cambiamento generale dello stile di vita legato al modello occidentale. La Santa Sede, aggiunge l’osservatore, è “impegnata in molte iniziative a livello locale in differenti Paesi che compongono questo foro regionale”, e mette in luce in particolare la Piattaforma di Azione Laudato Si del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, “uno spazio dove istituzioni e comunità di tutto il mondo possano apprendere e crescere insieme per promuovere lo sviluppo e l’ecologia integrale”.

Monsignor Cruz Serrano cita anche “Economy of Francesco”, che è “un movimento internazionale di giovani economisti, imprenditori e agenti di cambio che si stanno impegnando per una nuova economia ispirata ai valori e la visione di Papa Francesco”.

Il movimento ha l’obiettivo di “cambiare i modelli economici attuali e creare un futuro più inclusivo e giusto”.

La Santa Sede ha sottolineato la responsabilità della comunità internazionale nel dare impulso e appoggiare il lavoro degli agenti nazionali e locali, potendo aiutare, attraverso la comprensione dei diritti umani e dello sviluppo integrale, a evitare che le élite prendano in mano la situazione e invece promuovere un multilateralismo dal basso.

La Santa Sede all’UNESCO

Il 13 novembre si è tenuta la 42esima sessione ordinaria della Conferenza generale dell’UNESCO. Osservatore della Santa Sede presso l’agenzia culturale dell’ONU è monsignor Éric Soviguidi.

Nel suo intervento, monsignor Soviguidi ha rinnovato, a nome della Santa Sede, l’appello affinché la comunità internazionale “si mobiliti a favore della pace”, una convinzione che si trova anche nel preambolo costitutivo dell’UNESCO.

L’Osservatore ha notato che “costruire la pace è un lavoro a lungo termine. A questo proposito, la Santa Sede resta convinta che l’unica opzione per porre fine alla spirale della vendetta e della violenza resta la promozione dell’educazione alla benevolenza e al rispetto per l’altro, nella cultura dell’incontro e del dialogo paziente e coraggioso”.

Secondo monsignor Soviguidi “il testo riveduto della Raccomandazione del 1974 rappresenta uno strumento importante a tal fine”. Nel paragrafo 26 della raccomandazione si legge gli Stati membri sono invitati  a promuovere un'educazione che mira a "incoraggiare la comprensione e l'apprezzamento dei diversi stili di vita, visioni del mondo, religioni, credenze e filosofie di vita, e potrebbe contribuire a ridurre i conflitti basati sull'incomprensione".

“La Santa Sede – afferma Soviguidi - ritiene che tale educazione, nella misura in cui aspira ad essere olistica, cioè integrale, trarrebbe beneficio dall’inclusione dell’educazione religiosa e dell’insegnamento dei valori civici e morali”.

In particolare, “l’educazione religiosa, anche se non impedisce in alcun modo a ciascuno di formarsi liberamente una posizione personale” non perde in nessun caso “la sua qualità di risorsa e di substrato positivo, per acquisire il significato e la capacità di vivere la cittadinanza in termini responsabili e rispettosi dell'altro”.

La Raccomandazione rivista, tuttavia, non soddisfa pienamente la Santa Sede. Vi sono stati inseriti, denuncia monsignor Soviguidi, “alcuni concetti polarizzanti e controversi, che sono anche incompatibili con i valori che la Chiesa cattolica si sforza di trasmettere alle generazioni più giovani attraverso le sue istituzioni educative, riconosciuti per l'istruzione solida e di qualità che offrono in quasi tutti i paesi del mondo”.

È un punto di vista che la Santa Sede condivide con altre delegazioni. Inoltre, monsignor Soviguidi ha notato che “la prima parte del paragrafo 50 sottolinea giustamente l’importanza di adattare l’educazione sessuale al contesto culturale e all’età degli studenti”, e rimarcato che “la Santa Sede, inoltre, invita l'UNESCO a vigilare affinché questo orientamento non venga mai utilizzato per promuovere quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come colonizzazione ideologica attraverso l'imposizione di modelli e stili di vita anomali, estranei all'identità dei popoli e, in ultima analisi, irresponsabile”.

L’Osservatore affronta anche la questione dei progressi nei campi dell’intelligenza artificiale, della biotecnologia, delle nanotecnologie e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, progressi che stanno avendo un sempre maggiore impatto e che possono avere “effetti molto positivi per l’assistenza sanitaria, la protezione dell’ambiente, la riduzione della povertà e l’avvicinamento delle persone”.

Tuttavia – nota monsignor Soviguidi – “queste nuove tecnologie hanno anche un potenziale dirompente e possono avere effetti ambivalenti. È importante, quindi, restare vigili e adoperarsi affinché, nel loro sviluppo e utilizzo, non si radichi una logica di violenza e discriminazione a scapito delle persone più vulnerabili ed escluse”.

La Santa Sede afferma che “l’urgenza di orientare la progettazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in modo responsabile richiede che la riflessione etica si estenda al campo dell’istruzione e del diritto. Inoltre, la tutela della dignità di ogni persona e la preoccupazione per la fraternità universale sono anche condizioni essenziali affinché lo sviluppo tecnologico contribuisca alla promozione della giustizia e della pace nel mondo”.