Città del Vaticano , sabato, 18. novembre, 2023 12:30 (ACI Stampa).
18 novembre, memoria della dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo. Così viene celebrato questo giorno nel Messale Romano: “Le due basiliche, trofei del martirio di Pietro e Paolo, furono erette sul sepolcro dei due apostoli. Meta di ininterrotto pellegrinaggio attraverso i secoli, sono segno dell'unità e della apostolicità della Chiesa di Roma”. Altra sintesi più esaustiva della memoria che si celebra oggi non si potrebbe trovare. E le due basiliche, così solenni e artisticamente ricche, sono la giusta metafora figurativa dei due Apostoli Pietro e Paolo, espressione della regalità della Chiesa di Roma. E l’aggetivo “regale” è proprio quello che viene subito in mente a qualsiasi fedele (o semplice turista) nel vedere la Basilica di San Pietro, con la sua ampia piazza di fronte, con il famoso colonnato, opera di Gian Lorenzo Bernini. Appena si entra nella piazza antistante la basilica si è avvolti da un abbraccio, tenero e austero, delicato, amorevole e magniloquente: è l’abbraccio del Padre e della Madre Chiesa per ogni figlio. Tutto il complesso architettonico, tutte le opere presenti all’interno della nota basilica romana fanno capo a quella che in latino viene definita con un nome altisonante: Reverenda Fabrica Sancti Petri, il grande “laboratorio” che diede vita alla sublime bellezza di San Pietro.
Monumentale è la basilica, monumentale la storia della Fabbrica, telaio di molteplici esperienze che si vanno ad intrecciare nell’immenso arazzo del perpetuarsi della grandezza della Chiesa, del perpetuarsi dei successori di San Pietro. Circa trentuno pontefici si contano nell’arco dei lavori della Reverenda Fabrica Sancti Petri: da Papa Niccolò V ad Alessandro VII Chigi; e poi ancora, da Clemente VII a Sisto V per passare a Clemente VIII fino ad arrivare ai giorni più vicini al nostro presente (Pio IX). Ognuno dei Romani Pontefici ha apportato la propria personalità, il proprio carettare all’interno della magnifica Opera della Fabbrica.
Era il 18 aprile 1506 quando Papa Giulio II inaugurava i lavori della nuova basilica di San Pietro che doveva sorgere in sostituzione di quella costantiniana. Viene scelto l’architetto Donato Bramante per sovrintendere ai lavori: è lui il primo architetto della neonata Fabbrica. Il Bramante aveva un’idea precisa - seppur rielaborata in diversi rimaneggiamenti - dell’assetto che avrebbe dovuto avere la nuova basilica: una pianta quadrata che a sua volta ne avrebbe contenuta un’altra a croce greca, immaginando così quattro absidi sporgenti con al centro un quadrato sovrastato da una cupola emisferica. Bramante rimarrà l’architetto della Fabbrica fino al 1514, anno della sua morte e di quella di Papa Giulio II. Dopo Bramante, ci sarà Raffaello Sanzio che proporrà un progetto diverso: pianta tradizionale “a T”; una navata a cinque campate; una facciata con un portico a due piani; e per la cupola pensava di conservare il progetto del Bramante. A Raffaello, succederà Antonio da Sangallo il Giovane: l’architetto fiorentino immagina un prolungamento in avanti della basilica con la costruzione di un grande portico d'ingresso sul quale edificare due campanili. Sangallo morirà nel 1546: il progetto non sarà mai compiuto. Il nome fondamentale per tutta l’Opera della Fabbrica rimane quello di Michelangelo Buonarroti al quale verrà conferito l’incarico di architetto della Fabbrica nel gennaio del 1547. Il progetto del Buonarroti prevedeva una pianta della basilica che si rifaceva ai progetti del Bramante e di Raffaello; sopra la monumentale facciata (che sarà poi portata a termine dal Maderno nel 1614), immaginava la grande cupola che sarà terminata nel 1590 dal suo allievo Giacomo Della Porta. Deceduto Michelangelo, la Fabbrica sarà affidata a Giacomo della Porta, assistito da Domenico Fontana, per poi definitivamente essere consegnata al genio del Maderno. E’ proprio a lui che si deve la definitiva immagine della basilica che si presenta al fedele di oggi.
Ma un tesoro d’arte è nascosto all’interno della basilica: passare in rassegna tutte le opere contenute in San Pietro è impresa assai ardua, difficile nasconderlo. Ma lo sguardo di chi vi entra, perso sicuramente in un così ricco panorama di ori e di grandezza, d’arte e fede, non può che essere catturato soprattutto da un’opera che rappresenta forse la sintesi più evidente dell’intero interno della basilica romana: è il famoso Baldacchino del Bernini, opera monumentale che campeggia in fondo alla navata centrale.
A riguardo, ormai nota è l’espressione che la tradizione attribuisce al “satiro romano” Pasquino: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, ossia “Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini”. L’episodio che si cela dietro a questa frase è abbastanza noto: si narra che la costruzione del Baldacchino sia legata alla espoliazione del Pantheon, l’unico tempio romano che si era mantenuto quasi perfettamente integro all’epoca di Papa Urbano VIII. Ed è da questo tempio romano che vennero asportate gran parte delle decorazioni bronzee per la costruzione del Baldacchino berniniano. In realtà sembra che il Bernini non conoscendo la lega usata dai romani si fosse poi rifiutato di utilizzare quel bronzo. Non conosciamo, dunque, se sia vera o meno questa simpatica vicenda: ciò che sappiamo di certo è che quest’opera berninania rappresenta il fulcro dell’interno della basilica.