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Vogliamo gridare al mondo che vogliamo la pace, la voce dei cristiani in Medio Oriente

Un colloquio con Michele Zanzucchi, docente di comunicazione all’Istituto Universitario ‘Sophia’ di Loppiano

Gerusalemme |  | Movimento dei Focolari
Gerusalemme | Movimento dei Focolari
Michele Zanzucchi |  | Movimento dei Focolari
Michele Zanzucchi | Movimento dei Focolari

Vogliamo gridare al mondo che vogliamo la pace, che la violenza genera violenza e che la nostra fiducia in Dio è grande. Ma se Dio ci chiamasse a sé, siate certi che dal Cielo continueremo a pregare con voi e a supplicarlo con maggiore forza di avere compassione del suo popolo e di voi. Pace, sicurezza, unità e fratellanza universale, questo è ciò che desideriamo e questa è la volontà di Dio e anche la nostra. Come in cielo così in terra”.

A scrivere questo messaggio è stata una cristiana della comunità di Gaza, legata al Movimento dei Focolari, in cui ringrazia coloro che nei giorni immediatamente successivi all’attacco terroristico di Hamas e la controffensiva armata di Israele: “Non voglio parlare della guerra e della sofferenza che stiamo vivendo. Voglio dire che, alla luce di questi avvenimenti, nutriamo speranza per il fatto che ci sono persone come voi. I vostri messaggi, le vostre chiamate ci hanno dato molta gioia. Mi avete dato la forza di non arrendermi al male, di non dubitare della misericordia di Dio e di credere che il bene esiste. In mezzo ad ogni oscurità c’è una luce nascosta. Non possiamo pregare, pregate voi, noi offriamo e il nostro operare insieme è completo”.

Partendo da tale messaggio abbiamo contatto lo scrittore e giornalista Michele Zanzucchi, docente di comunicazione all’Istituto Universitario ‘Sophia’ di Loppiano, per comprendere se l’inasprimento del conflitto in Terra Santa vuol dire che la ‘polveriera’ del mondo è esplosa: “Si possono usare tante espressioni per raccontare quel che è successo tra Israele e Hamas in questi giorni drammatici. Certamente la furia con cui Hamas ha attaccato Israele ed i suoi abitanti e la risposta violentissima dell’esercito israeliano che in queste ore sta prendendo piede contro quella prigione a cielo aperto che è Gaza hanno tutti i segni di una ‘santabarbara’ che esplode. Da troppo tempo la questione israelo-palestinese non ha avuto quell’attenzione della comunità internazionale che sarebbe stata necessaria”.

Quanto ha ‘pesato’ l’invasione in Ucraina nella destabilizzazione del Medio Oriente?

“Non credo che vi siano rapporti particolari di causa ed effetto. Certamente il conflitto che in Ucraina sta vedendo la Nato da una parte e la Russia con i suoi alleati dall’altra è una replica di quanto da decenni sta avvenendo in Medio Oriente, in Iraq, in Siria, in Libano… Certamente gli uni e gli altri stanno cercando di trarre profitto (è triste dirlo) dalla crisi attuale in Medio Oriente. In particolare, a proposito del conflitto del Donbass, ci si chiede se gli Usa possano continuare a rifornire gli ucraini di armi in misura corrispondente a quanto richiesto da Kiev. Le prossime settimane ce lo diranno”.

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Nell’appello alla comunità internazionale, i patriarchi libanesi hanno chiesto di trovare una ‘soluzione giusta’ per la pace in Medio Oriente: c’è qualche possibilità?

“Non ci può essere pace senza giustizia, come ripetono la Scrittura e la Dottrina sociale della Chiesa cattolica, così come il pensiero che viene dal mondo religioso, cristiano ma non solo. Se siamo giunti a questo punto, ciò è dovuto anche alla gravissima mancanza di giustizia che colpisce troppi popoli del Medio Oriente. Pensiamo ai curdi, agli yemeniti, oltre che ai palestinesi, ma anche gli stessi israeliani, al loro diritto a una vita sicura. Ma oltre alla giustizia, oggi serve anche la volontà di accettazione reciproca e se possibile di cooperazione. Siamo ancora lontani dal traguardo. La comunità degli Stati, invece di frantumarsi e delegittimare le istituzioni internazionali, dovrebbe chinarsi sulle situazioni di conflitto e operare perché la politica possa esprimersi nei suoi valori pacifici. Ma sembra che gli Stati siano paralizzati da veti incrociati e dalla real-politik che impedisce di introdurre l’elemento valoriale nelle relazioni internazionali. Il primo valore da considerare è comunque quello della giustizia”.

Insomma, siamo nella Terza guerra mondiale ‘a pezzi’, come ha detto il Papa?

“Non da ieri, ma dall’altro ieri, forse già dalla fine degli anni ‘90, quando i Balcani sono stati attraversati dall’odio profondo di popolazioni incapaci di vivere assieme. In quel caso, con gli ‘Accordi di Dayton’, si riuscì a tamponare le falle, seppur in modo provvisorio, come testimoniano in questi mesi le tensioni in Kosovo. Ma ci furono anche, in quello scorcio finale del millennio, il genocidio in Rwanda, le interminabili guerre nel Nord-Kivu, i conflitti tribali in tanti Paesi asiatici. Ora la Guerra è mondiale, chiaramente, perché si oppongono le opposte visioni di buona parte del mondo occidentale da una parte e il tandem Russia-Cina dall’altra. Anche se siamo ancora lontani dallo scontro diretto (giustamente il presidente russo ha ricordato che non ci può essere scontro diretto, perché si tratta di potenze nucleari), l’accendersi di tanti focolai di guerra può provocare situazioni incontrollabili e, Dio non lo voglia, apocalittici”.

La presidente del Movimento dei Focolari, Margaret Karram, alcune settimane fa, ha confidato il dolore e l’angoscia che vive per il suo popolo, per ambo le parti: ‘Mi sono chiesta che cosa ci faccio qui? In questo momento non dovrei fare altro per promuovere la pace? Poi però mi sono detta: anche qui posso unirmi all’invito di papa Francesco e alla preghiera di tutti. Con questi fratelli e sorelle provenienti da ogni parte del mondo, possiamo chiedere a Dio il dono della pace. Credo nella potenza della preghiera’. A quali azioni sono chiamati i cristiani?

“Gli appelli che salgono da tante parti per far tacere le armi non sortiscono effetto, o quasi. Il linguaggio politico e anche quello religioso sembrano avere le armi spuntate per portare la comunità internazionale a operare fattivamente per la pace. Credo che le dichiarazioni per la pace debbano ormai far appello a quello che unisce l’umanità, quello che la rende ancora fondamentalmente una, pur se Caino continua ad ammazzare Abele e se ognuno di noi ha in sé qualcosa di Caino e qualcosa di Abele. Tutti noi, tuttavia, abbiamo in cuore sentimenti ancestrali come la maternità e la paternità, prima ancora della fratellanza. Forse la pace verrà dal risveglio di questi sentimenti primordiali. I cristiani hanno sì da fare dichiarazioni, debbono sì operare concretamente per il disarmo e per la riconciliazione (nel micro e nel macro), ma soprattutto hanno da far appello a questi sentimenti che ci uniscono su un pianeta slabbrato”.

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