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"Non possiamo sovvertire la Tradizione della Chiesa per compiacere il mondo"

Il cardinale Agostino Marchetto ad ACI Digital

Cardinale Agostino Marchetto |  | Daniel Ibanez / ACI group Cardinale Agostino Marchetto | | Daniel Ibanez / ACI group

Le pressioni per l'ordinazione delle donne, la fine del celibato sacerdotale e un cambiamento nella morale sessuale cattolica per accettare l'omosessualità sono venute alla luce all'inizio della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi che per la prima volta riunisce non solo i vescovi, ma anche i laici con diritto di voto.

"Non possiamo certo ignorare il mondo, e quindi è sbagliato trincerarsi nel passato, ma non dobbiamo mai dimenticare che siamo nel mondo e non siamo del mondo", ha detto il cardinale Agostino Marchetto in un'intervista ad ACI Digital. "Non possiamo sovvertire la Tradizione dottrinale e morale della Chiesa per compiacere il mondo. Guardiamo alla Croce di Cristo, gloriosa sì, ma pur sempre la Croce".

Marchetto, creato cardinale da papa Francesco il 30 settembre, è, secondo lo stesso papa, "il miglior interprete del Concilio Vaticano II". "È necessario rafforzare il dialogo interno nella Chiesa tra le diverse posizioni, tra coloro che esaltano l'esclusiva fedeltà alla Tradizione e coloro che, al contrario, vogliono adattarsi al mondo".

Alcuni vedono il Sinodo sulla sinodalità come un'opportunità per applicare finalmente le decisioni del Concilio Vaticano II, in particolare sulla collegialità nella Chiesa, che sarebbero state sospese durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Cardinale Marchetto: Il giudizio sulla sospensione dell'esercizio del ministero collegiale nella Chiesa è facilmente squalificabile se si pensa a tutti i sinodi dei vescovi celebrati durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nel famoso discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, Papa Benedetto XVI disse che in realtà il Concilio Vaticano II rappresentava la continuità, ma non una rottura con la tradizione cattolica. E tutti i papi conciliari e post-conciliari gli fanno eco. Sui due poli della continuità e della discontinuità, preferisco cominciare oltre, rilevando che la prima alternativa, proposta da Papa Benedetto XVI, è la rottura, nella discontinuità, o riforma-rinnovamento, nella continuità della Chiesa come soggetto unico. È proprio in questa combinazione di continuità e discontinuità, ma non di rottura, a diversi livelli, che consiste la vera natura di un'autentica riforma. Continuità si riferisce quindi alla Tradizione con la lettera maiuscola che, insieme alla Sacra Scrittura e al Magistero, forma il "genio" del cattolicesimo, come diceva [il teologo Oscar] Cullmann, protestante. La fedeltà, in questo senso, è la sorgente di una fecondità che si rinnova, tenendo presenti i segni dei tempi, l'oggi di Dio, il tempo in cui viviamo, il "Sitz im Leben", che non è una nuova rivelazione. Vedo quindi il Sinodo in corso in questa prospettiva.

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Importanti personalità della Chiesa che hanno partecipato al sinodo hanno difeso l'idea di una morale meno legata alle leggi e alla verità e più pastorale, con accompagnamento e discernimento di ogni caso particolare. È anche comune sentire l'idea che le scienze umane abbiano un contributo più importante da dare alla comprensione della sessualità umana rispetto, ad esempio, alla teologia classica, o semplicemente alla teologia. Queste idee riecheggiano un'interpretazione del Vaticano II secondo la quale è stata superata l'egemonia della "teologia", intesa come isolamento dalla dimensione della dottrina e della sua concettualità astratta, nonché da quella del "giuridicismo" nella morale. Questa posizione è forte tra i partecipanti al sinodo?

Credo che chi mi legge sia convinto dell'importanza e del valore dottrinale, spirituale e pastorale del Concilio Vaticano II, tanto da poter dire che esso è una "icona" della stessa Chiesa cattolica, cioè di ciò che soprattutto il cattolicesimo è costituzionalmente: la comunione. Anche con il passato, con le origini, l'identità in evoluzione, la fedeltà nel rinnovamento. Quella che era una posizione estrema al Concilio Vaticano II, nella sua cosiddetta "maggioranza" sempre più desiderosa di imporre il proprio punto di vista, sorda ai "richiami" e all'opera di "cucitura" di Paolo VI, riuscì, dopo il Concilio, a monopolizzare, almeno per un certo tempo, l'interpretazione dell'"evento", rifiutando ogni diversa interpretazione come anticonciliare. Ma per rispondere correttamente, torniamo al pensiero iniziale, quello che considera la Chiesa, come ogni organismo vivente, in continua crescita, internamente ed esteriormente, rimanendo se stessa. Ora, un tale sviluppo comporta certamente molti problemi, che riguardano la dottrina, il culto, la morale, la disciplina e l'apostolato. Generalmente, come sappiamo, la sua soluzione è fornita dal magistero ordinario (insegnamento) dei Pastori, coadiuvati da teologi uniti a tutto il Popolo di Dio, in comunione con esso. Talvolta, però, la complessità dell'argomento o la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari. Tra questi vi sono i Concili, che, nella fedeltà alla tradizione, promuovono lo sviluppo dottrinale, le riforme liturgiche e disciplinari, le scelte apostoliche, tenendo conto anche delle esigenze dei tempi (i famosi "segni dei tempi", che non costituiscono una nuova Rivelazione). In questa prospettiva, i Sinodi appaiono come pietre miliari nel cammino della Chiesa nella storia. Ebbene, ora sorge l'idea che la sinodalità non sia solo l'espressione di un evento episodico nella vita della Chiesa, ma la permei tutta, trasformandola in sinodalità, chiedendo al Popolo di Dio di "camminare insieme", nel consenso sinodale, come espressione del "cattolico", per noi "incarnazione" del binomio Tradizione e rinnovamento come è stato nel Grande Sinodo Vaticano.
L'anima della verità, l'attualità e l'importanza del consenso continuano ad essere il modo giusto di procedere conciliare e sinodale. La loro assenza o deficienza è, infatti, qualcosa che si paga a caro prezzo, come insegna la storia. In effetti, l'esempio di molti concili importanti - da quello di Calcedonia al Vaticano II, passando per il Concilio di Trento - che hanno lavorato faticosamente per raggiungere il consenso, è una testimonianza della loro grande importanza e del loro segnavia, soprattutto nel senso che la verità non si decide con il voto, ma si attesta con il consenso. Non credo che ci siano molti in questo sinodo che aderiscano consapevolmente a una visione così distorta del Grande Sinodo, come ho sempre chiamato il Concilio Vaticano II, o di questo in corso. Se lo Spirito Santo parla, sono rassicurato, anche perché è Papa Francesco, il successore di Pietro, a tenere le chiavi.

E qual è la strada per raggiungere il consenso cattolico?

Marchetto: Conoscendo la ricchezza e le contraddizioni della cultura moderna, le aspirazioni, le speranze, le gioie e i dolori, le delusioni e le difficoltà dell'uomo contemporaneo, Paolo VI, seguendo lo slancio interiore della carità, ha cercato di immergersi in esse. Fu un assiduo evangelista e promotore del dialogo con tutti gli uomini di buona volontà: con i cristiani separati, con i non cristiani, con i non credenti. "La Chiesa deve dialogare con il mondo in cui vive; la Chiesa diventa parola; la Chiesa diventa messaggio; la Chiesa diventa una conversazione", ha testimoniato. Ha poi affermato espressamente: "Spetta soprattutto a noi, Pastori della Chiesa, cercare con audacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più appropriati ed efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo". Questo è il dialogo della salvezza, che trova la sua origine trascendente nell'intenzione stessa di Dio ed è caratterizzato da chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza. "Nel dialogo, condotto in questo modo, si realizza l'unione della verità con la carità, dell'intelligenza con l'amore". Paolo VI affermò con forza che il dialogo deve rimanere immune dal relativismo, che mina l'immutabile dottrina della fede e della morale: «La sollecitudine di farsi prossimi ai fratelli non deve tradursi in un indebolimento, in una diminuzione della verità»; "il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno per la nostra fede"; "Non possiamo scendere a compromessi con i principi teorici e pratici della nostra professione cristiana". Chi ci legge percepisce tutti i legami che qui esistono, parlando di sinodalità, con il Vaticano II, con il suo progresso, con il primato, con la collegialità, con la ricerca del dialogo all'interno della Chiesa cattolica, con la quale fornisce un consenso costante e fervente, con il desiderio continuamente rinnovato e concretizzato che il rinnovamento e la Tradizione dialoghino tra loro e che ci sia un legame tra l'antico e il nuovo. tra sinodalità, azione congiunta, collegialità e primato [del Papa]. Il Vaticano II si è visto sancire lo sviluppo teologico che si era verificato, traducendolo in azione pastorale, in risposta alle esigenze del tempo, in continuità con la dottrina. E ora questo impegno sinodale, che ho cercato di presentare nel suo contesto.

Cosa possiamo aspettarci dal Sinodo sulla "via del consenso e del dialogo per coniugare tradizione e rinnovamento", come l'ha già definita il Concilio Vaticano II?

Il Concilio non è stato una rottura nella storia, ma un rinnovamento nella continuità dell'unica Chiesa cattolica. Tutti i papi hanno accettato questa interpretazione. Noi cattolici, invece, come spesso sembra, siamo facilmente schierati gli uni contro gli altri sotto questo aspetto, e questo non è giusto, non è cristiano. Al contrario, è necessario rafforzare il dialogo interno nella Chiesa tra le diverse posizioni, tra coloro che esaltano la fedeltà esclusiva alla Tradizione e coloro che, al contrario, desiderano adattarsi al mondo. Non possiamo certo ignorare il mondo – e quindi è sbagliato trincerarsi nel passato – ma non dobbiamo mai dimenticare che siamo nel mondo e non siamo del mondo. Non possiamo certo sovvertire la Tradizione dottrinale e morale della Chiesa per piacere al mondo. Guardiamo alla Croce di Cristo, gloriosa sì, ma pur sempre una Croce.

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