Un anniversario che si prepara del tutto speciale quello del Concilio di Nicea, Il primo evento ecumenico della storia della cristianità. Si tenne nel 325 d.C e fece nascere una professione di fede condivisa che da 1700 anni rappresenta per i cristiani un elemento in cui identificarsi e trovare unità.

La Facoltà teologica del Triveneto ha deciso di parlarne nel suo convegno annuale, dal titolo "Nicea andata e ritorno. Traiettorie di un Concilio", che si è recentemente tenuto a Treviso, nella sede dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giovanni Paolo I”.

Emanuela Prinzivalli ha proposto un approfondimento storico-teologico delle questioni. "Sul lungo periodo indubbiamente il concilio di Nicea è stato vincente perché ha dato la possibilità ai cristiani di riconoscersi tutti in un simbolo di fede comune. Sul breve periodo però non bisogna scordare che il concilio è nato da una fortissima conflittualità, che interpellava soprattutto i vescovi; ed è nato in realtà perché una parte prevalesse sull’altra, non per uno spirito di conciliazione. Potremmo quindi dire che è un lascito paradossale quello di Nicea: ci dice che, a volte, dalle situazioni paradossali nascono sulla lunga distanza anche cose buone.  Non scordiamo inoltre che il concilio è stato voluto da un imperatore, Costantino, quindi apre e interpella sul fronte dei rapporti fra la chiesa e il potere politico".

Altre relazioni hanno ricordato che la chiesa di Aquileia, madre delle chiese del Nord-Est, ebbe un ruolo importante nella vicenda: polmone tra Roma e l’Oriente, fu un territorio sul quale visioni di chiese diverse trovarono tensioni e scontri, ma fu anche ponte di dialogo nella catena di trasmissione della fede. "Aquileia non ha avuto un ruolo principale a Nicea ma certamente è stata centrale per lo sviluppo del dialogo fra Oriente e Occidente nella ricezione di quella professione di fede che fu formulata in Oriente ma fu poi recepita anche in Occidente. Sant’Atanasio, il grande difensore della fede di Nicea, celebrò la Pasqua proprio ad Aquileia – ha sottolineato Maurizio Girolami, vicepreside della Facoltà –. Dopo 1700 anni l’evento di Nicea va ricordato perché fu il primo momento in cui la chiesa prese coscienza di essere nella società, nell’impero romano, una presenza forte che aveva bisogno di dire la sua fede con parole nuove. Anche in questa istanza c’è il motivo per cui vale la pena ricordare Nicea oggi, mentre la chiesa sta vivendo il suo cammino sinodale. In fondo, la domanda che ci portiamo dentro è proprio questa: come dire Gesù Cristo, il Signore, quali sono le parole più adatte per professare la fede in lui e perché possiamo sentirci, come cristiani, corpo di Cristo qui nella storia. Ricordare Nicea significa perciò anche rilanciare la sfida che ogni generazione cristiana ha di formulare e di dire con parole proprie la fede nel Signore Gesù".