Quindi, si vuole dare più spazio al discernimento per quella che deve essere la “road map” della fase successiva del processo sinodale in vista della seconda sessione.
Si è deciso inoltre di pubblicare alla fine di questa sessione del Sinodo una Lettera al Popolo di Dio. Quest’ultima non si tratta di una novità assoluta, e forse è una novità solo se si considera il fatto che la lettera non viene inviata al termine del Sinodo, ma al termine di una prima tappa di due.
Per questo, il pomeriggio del 23 ottobre e l’intero 24 ottobre i lavori vengono interrotti dopo che ci sarà una discussione della Lettera dell’Assemblea al Popolo di Dio, discusa prima nei circoli minori e poi in un momento comune.
Lo schema di relazione di sintesi sarà presentato il 25 ottobre dal relatore generale, e poi sarà letto personalmente, in congregazione generale e nei circoli minori, discusso nel pomeriggio del 25 ottobre e nella mattinata del 26 ottobre. Il pomeriggio del 26 ottobre si raccoglieranno proposte su metodi e tappe per i mesi tra la prima e la seconda sessione del Sinodo. Il 27 ottobre, invece, sarà libero, ma tutti i partecipanti all’assemblea saranno invitati a partecipare alla preghiera per la pace nella Basilica di San Pietro in quel giorno.
La metodologia sinodale
Questo nuovo calendario cambia i piani dei padri sinodali, e allo stesso tempo dimostra che la sinodalità come metodo prevede anche un ascolto costante. In pratica, niente può essere considerato definitivo, e tutto resta in fase di discussione. È la trasposizione della tesi delle “riforme fatte durante il cammino” di Papa Francesco. Nel caso delle riforme, alla fine Papa Francesco ha preso decisioni personali, a volte senza nemmeno tener conto delle discussioni. Non c’è il rischio che anche l’assemblea sinodale diventi solo una discussione costante, un micro-parlamento che però non ha potere decisionale?
È una delle questioni più dibattute dai padri sinodali. I quali lasciano trasparire alcune perplessità in maniera anonima, molto spaventati dal rompere la richiesta di riservatezza. Per esempio, c’è perplessità sulla metodologia che prevede che, all’inizio di ogni nuovo modulo, ai partecipanti venga assegnato un nuovo tavolo e un nuovo sottotema, da discutere con gruppi differenti. In pratica, tutti discutono di alcuni temi particolari, ma in pochi riescono ad avere una visione realmente globale del Sinodo.
Il risultato è che anche le indiscrezioni sono riportate sulla base dei sentimenti che si vivono in questi tavoli, a volte omogenei e altre volte troppo eterogenei per non creare delle divisioni e anche dei pregiudizi su chi partecipa al dibattito. Inoltre, le relazioni non possono durare più di quattro minuti, e questo rende difficile articolare un pensiero.
Alcuni padri sinodali hanno lamentato che l’impostazione appare troppo “occidentale-centrica” perlomeno su temi come la sessualità e il gender. Sarà comunque difficile comprendere se il testo di sintesi sarà rappresentativo di tutti i punti di vista, perché, al di là del fatto che ogni relazione viene votata e così anche il testo finale, ci saranno molte sfumature perdute. L’idea generale è quella di evitare una democratizzazione del Sinodo, la verità è che poi una democratizzazione è inevitabile con questo metodo. Il primato dell’ascolto, infatti, è anche primato della emotività piuttosto che della riflessione, così come è primato della trasparenza rispetto alla scelta. Ogni tema dovrà entrare nel testo finale, e significa che non ci saranno vere conclusioni.
Il cardinale Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat, ha sottolineato che nelle discussioni ci sono “divergenze, ma mai scontri”. L’arcivescovo Zbignevs Stankevics di Riga ha difeso comunque la dottrina sulla pastorale degli omosessuali, chiedendo anche la continenza sessuale. Mentre l’arcivescovo Gintaras Grušas di Vilnius, presidente dei vescovi europei, ha centrato il tema ammonendo nell’omelia del 18 ottobre: “La sinodalità (comprese le sue strutture e le sue riunioni) deve essere al servizio della missione di evangelizzazione della Chiesa e non diventare fine a sé stessa”.
La questione LGBT
La questione del dibattito sull’inclusione LGBT è stata minimizzata da Ruffini, il quale ha sottolineato che “la benedizione delle coppie omosessuali non è il tema del Sinodo”. Vero, perché il Sinodo parla di partecipazione, comunione e missione.
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Tuttavia, il 17 ottobre suor Jeannine Gramick, cofondatrice di New Ways Ministry, si è incontrata con Papa Francesco insieme ad altri tre membri dello staff dell’associazione che sostiene gli LGBTQ+ cattolici. La notizia è stata data anche dai media vaticani.
Con Suor Gramick c’erano il direttore esecutivo di New Way Ministry Francis DeBerardo e il direttore associato Robert Myers, a Roma per coprire il sinodo, e Matthew Myers, un membro dello staff.
L’incontro è durato cinquanta minuti, e la sua pubblicizzazione è stato letto come un appoggio del Papa all’approccio di New Ways Ministry, ed arriva al culmine di una corrispondenza che Suor Gramick ha da circa due anni con Papa Francesco. Tra l’altro, la lettera di Papa Francesco per i suoi cinquanta anni di ministero LGBT è stata ampiamente pubblicizzata in polemica con alcune proteste che avevano chiesto di eliminare dal sito del Sinodo un video di New Ways Ministry che invitava le persone LGBT a partecipare all’assemblea. Dopo la rimozione del video, il communcation manager del Sinodo si era scusato, e le scuse erano state accettate dall’organizzazione. La presenza in un incontro con il Papa in qualche modo cerca di legittimare il lavoro.
I temi in gioco
Difficile, dunque, che non si senta una pressione e una influenza sulle questioni della pastorale per gli omosessuali. Ma non solo. Si è parlato anche diaconato femminile, si è pensato che le donne possano anche tenere delle omelie (cosa tra l’altro che già succede in alcune realtà, per esempio nella Svizzera tedesca, dove il sacerdote è trattato quasi come un mero officiale della consacrazione), e si è arrivati a parlare anche della “questione del sacerdozio femminile”.
Altri temi discussi nella settimana: il ruolo delle parrocchie, quello dei sacerdoti, quello dei vescovi. La comunicazione, però, cerca di evitare polarizzazioni, sottolineando che il sinodo non è solo “una tavola rotonda o un talk show”, ma una “conversazione dello spirito”. Resta comunque da vedere quale sarà il frutto di queste conversazioni dello spirito, la cui metodologia è spiegata con dovizia di particolari nel processo sinodale, ma della quale si devono ancora comprendere i risultati pratici.