Roma , giovedì, 19. ottobre, 2023 9:00 (ACI Stampa).
Due nomi che si congiungono in uno solo: Paolo di Tarso, Apostolo delle genti e la Croce, simbolo di redenzione per ogni cristiano. Paolo, l’Apostolo “letterato”, così si potrebbe definire; il fine scrittore de Le Lettere, in cui ogni parola trova il suo peso specifico. E poi c’è la Croce, il simbolo di morte che diviene, grazie al Cristo Crocifisso, un segno di luce e speranza. Nel fondatore della congregazione dei Passionisti, San Paolo della Croce, vivono in perfetto equilibrio ed armonia queste due anime: quella di chi, grazie alle parole scritte, riesce a trasmettere il Vangelo, ideali di vita cristiana e importanti meditazioni spirituali; al contempo, in lui, l’altra anima arde di un fuoco inestingubile: quello votato completamente alla Passioni di Cristo, con il desiderio di poterla rivivere nel suo corpo.
Ci sono tre scritti, fondamentali, per comprendere appieno la figura di questo grande santo del ‘700: prima di tutto il suo Diario, redatto nel periodo del suo ritiro a Castellazzo Bormidadi, dal 22 Novembre 1720 al 1° Gennaio del 1721. Del manoscritto originale del Diario di quei quaranta giorni di preghiere e meditazioni presso la celletta presso la sacrestia della chiesa dei santi Carlo e Anna, detta comunemente di san Carlo, possediamo solo l'originale della trascrizione fatta dal cugino, il sacerdote e canonico della Cattedrale di Alessandria, Paolo Sardi. Quel periodo di quaranta giorni, passati dal santo passionista nella celletta, fanno chiaramente riferimento al tempo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica: forte e profonda imitazione del Signore, la sua volontà di vivere il Vangelo. Sono pagine dense di spiritualità. Un esempio, fra tutti: “So che feci anche dei colloqui sopra la dolorosissima Passione del mio caro Gesù; quando gli parlo dei suoi tormenti (verbi gratia) gli dico: Ah mio Bene, quando foste flagellato come stava il vostro ss. Cuore? Caro mio Sposo, quanto v’affliggeva la vista dei miei gran peccati e delle mie ingratitudini, ah mio amore, perché non muoio per voi! perché non vengo tutto spasimi!”. La pagina è datata 26 novembre 1720. E, in un’altra che reca la data del 28 novembre: “Nell’orazione fui arido e qualche poco distratto, nella ss. Comunione fui raccolto; dopo ciò, e nel ringraziamento e preghiera, fui con molta tenerezza di lacrime, massime pregando il sommo Bene per l’esito felice della ss. ispirazione, che per sua infinita bontà m’ha dato e continuamente mi dà; mi ricordo che pregavo la Beatissima Vergine con tutti gli angeli e santi, e massime i santi fondatori, e in un subito mi è parso in spirito di vederli prostrati avanti l’altissima maestà di Dio pregare per questo”.
La seconda parte dei suoi scritti più importanti è costituita dalle Lettere: sono di vario genere, e diversi sono i destinatari. Oltre a quelle indirizzate a i confratelli Passionisti, troviamo - ad esempio - ben 567 missive per i laici. Di esempi se ne potrebbero annoverare tanti, tantissimi. In una epistola, indirizzata a Lucia Burlini, datata 9 agosto 1749, il santo passionista ispirandosi alle celebri parole dell’Apostolo delle genti - “Noi non dobbiamo gloriarci in altro che neIla Croce del nostro Salvatore Gesù Cristo” - propone a questa sua figlia spirituale particolarmente provata, il kerygma della Croce. Scrive: “Voi siete felice, e non lo sapete”; e ancora: “Dio ora perfeziona l’opera che ha incominciata in voi”; e ancora “Per mezzo del vostro patire si purifca l’imperfetto, che non conoscete”. Tramite il patire diventerà così compenetrata dalla “luce del Sole Divino”, da restare “tutta trasformata per amore, e per carità”. Per dare il suo contributo per glorificare la Croce e partecipare alla sua grazia deve solo soffrire bene e volentieri, vale a dire “patire, tacere” e in più “cantare in spirito”.
Ma c’è anche spazio a questioni più pragmatiche: in una lettera del 17 febbraio 1749 indirizzata a Fabrizio Colonna, Gran Contestabile, chiederà “dieci alberi di castagno selvatico”, sufficienti per terminare la costruzione del Ritiro (così il santo chiamava i conventi passionisti) di Ceccano, situato, “nei felicissimi Stati di Vostra Eccellenza”.
Ma lo scritto più importante è da trovarsi nel suo testamento spirituale, vero e proprio capolavoro di spiritualità. E’ breve, le parole incisive, forti e dolci al contempo. Il testamento è composto di poche righe: l’essenziale della persona di San Paolo della Croce, l’essenziale del carisma dei Passionisti: “Prima di ogni altra cosa vi raccomando assai la carità fraterna... Ecco, fratelli miei dilettissimi, quello che io desidero con tutto l'affetto del povero mio cuore da voi che vi trovate qui presenti come da tutti gli altri che già portano quest'abito di penitenza e lutto in memoria della Passione e morte di Gesù Cristo nostro amabilissimo Redentore, e da tutti quelli che saranno chiamati da Dio a questa povera Congregazione e piccolo gregge di Gesù Cristo”. Le righe del testamento hanno data 29 agosto 1775. Un mese e mezzo circa dopo, il 18 ottobre 1775, moriva a Roma e il Paradiso accoglieva un altro santo.