La difesa, inoltre, ha notato che nel momento in cui l’AIF è stato chiamato a svolgere le sue funzioni, la decisione del Papa di evitare l’approccio del “contenzioso legale subito” in favore dell’approccio “prendiamo controllo dell’immobile prima” era stata già presa e comunicata dal Santo Padre al Sostituto.
L’autonomia dell’AIF
All’AIF viene contestata una sorta di “omessa denuncia”. La tesi dell’accusa è che l’AIF abbia voluto nascondere i fatti, non avvisando l’ufficio del promotore di Giustizia, e venendo così a tradire la sua autonomia e indipendenza in favore della Segreteria di Stato. Ma tutti i regolamenti internazionali di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo sostengono che le unità di intelligence devono segnalare una transazione dopo aver svolto le proprie indagini, valutando se il sospetto di transazione illecito fosse concreto o meno. Il promotore di Giustizia non era chiamato ad intervenire.
Inoltre, l’AIF non vigila sulla Segreteria di Stato, ma solo sullo IOR. Alla Segreteria di Stato si limita infatti a consigliare in che modo portare avanti l’operazione di recupero dell’immobile, non decide mai al posto della Segreteria di Stato. Questa consulenza mina l’autonomia o la terzietà dell’AIF? No, non potrebbe mai. Rientra, piuttosto, nel principio della collaborazione verso il bene superiore della Santa Sede cui tutti gli enti vaticani sono tenuti.
La questione del prestito dello IOR
Lo IOR - che ha poi segnalato (con un timing "assai curioso" secondo una delle difese) la situazione lamentando irregolarità e dando il via alle indagini da cui scaturisce questo processo - ha detto a più riprese di non aver concesso il prestito alla Segreteria di Stato principalmente per due ragioni: perché non poteva costitutivamente fare prestiti; e perché vedeva dei lati “oscuri” o “vaghi” dell’operazione finanziaria. Tuttavia, hanno notato le difese, non è stato mai fornito contenuto o significato giuridico a questi termini.
Nonostante tutto lo IOR aveva inizialmente aperto al prestito, rispondendo che si poteva fare. L’arcivescovo Pena Parra aveva deciso di rivolgersi allo IOR proprio per risolvere la questione tra "le mura domestiche" andando a chiudere un mutuo oneroso (un milione di euro al mese di interessi da pagare) e aprendo invece un credito con quella che possiamo definire impropriamente la “banca di casa”. Il credito avrebbe aiutato la Santa Sede a liberarsi da una operazione inutilmente costosa e lo IOR avrebbe comunque avuto un vantaggio dalla concessione di credito.
Alla fine, il comportamento dello IOR appare non dare seguito al principio di collaborazione degli enti vaticani, perché non solo rifiuta il prestito alla Segreteria di Stato, ma denuncia lo stesso organo di governo. Eppure, l’AIF aveva prima di tutto fatto sapere che lo IOR era autorizzato a concedere credito.
Dato che lo IOR non è una banca, non può fare attività di concessione di credito regolare. Tuttavia, può concedere credito ad alcune condizioni, autorizzazione concessa già nel novembre 2015. Si possono fare prestiti al personale dello IOR, al personale della Santa Sede e ad altre autorità pubbliche in corrispondenza di un deposito vincolato.
Il prestito dello IOR rientrava in questo terzo caso. Era un prestito eccezionale, e l'eccezionalità non era legata all’importo, ma piuttosto al fatto che non è una attività che poteva svolgere in modo sistematico.
Lo IOR poteva tuttavia svolgere quell’operazione, prima di tutto perché era una operazione sostenibile. Ai fini dell’analisi prudenziale, il patrimonio minimo di vigilanza non deve essere inferiore all’8 per cento del patrimonio di rischio. Il dato da guardare nei bilanci è il TIER 1, cioè la componente primaria del capitale di una banca. Guardando il rapporto IOR del 2019, ai tempi in cui la Segreteria di Stato chiese e si vide rifiutato una anticipazione per l’acquisto del famoso palazzo di Londra, il TIER 1 era dell’82,40 per cento. Il patrimonio, insomma c’era.
Oltre la sostenibilità, l’AIF doveva valutare se l’operazione aveva un vantaggio economico. Il fattore di rischio dell’operazione era 0, ma gli interessi – lo rivela lo stesso Pena Parra – sarebbero stati concessi, e quindi si trattava di una operazione economicamente vantaggiosa per lo IOR.
Infine, serviva una garanzia, e la garanzia era data dall’immobile stesso: da qui, la necessità di riprenderne il controllo.
Di fronte a queste rassicurazioni, lo IOR arriva il 24 maggio a decidere che sì, il prestito si può concedere. Salvo fare marcia indietro subito dopo, chiedendo ulteriori garanzie e dettagli, che la Segreteria di Stato fornisce. Ma il punto è che lo IOR non è tenuto a sapere come la Segreteria di Stato gestisca i soldi. È tenuto solo a decidere se concedere un prestito o meno, dopo aver avuto l’autorizzazione a farlo. Come all’AIF non compete valutare l’operazione della Segreteria di Stato, ma solo di consigliare quale sia il percorso migliore.
Il comportamento dilatorio dello IOR, hanno notato le difese, è costato tra l’altro caro alla Santa Sede, che continuava a pagare un milione di euro al mese del finanziamento precedente. Il prestito IOR serviva, come detto, proprio a estinguere il precedente finanziamento.
Non solo, dunque, lo IOR è venuto meno al principio di collaborazione, ma è anche andato oltre le sue competenze. Tra l’altro, la Commissione Cardinalizia dello IOR non sembra essere stata messa a piena conoscenza della situazione dai vertici laici dell'Istituto, né della richiesta di prestito, né poi della decisione dello IOR di denunciare. In che cosa, dunque, la Commissione dovrebbe “vigilare sulla fedeltà alle norme statutarie” se poi non viene coinvolta quando si tratta di prendere decisioni di aiuto alla Santa Sede?
Le arringhe difensive
Fin qui la ricostruzione dei fatti, fornita dagli avvocati con date e documenti. L’avvocato Filippo Dinacci, che rappresenta René Bruelhart insieme ad Ugo Dinacci, ha sottolineato che l’accusa è “una ipotesi, e come tale va verificata. E devo dire che, nel caso di specie, l’accusa si presenta abbastanza inconclusa in fatto e inconcludente in diritto”.
Lo stesso Dinacci ha ricordato che le istituzioni in Vaticano “hanno un obbligo funzionale ad agire con una unità di intenti; quindi, abbiamo anche una forma di paradosso dell’accusa che contesta un abuso d’ufficio sul presupposto che i pubblici ufficiali accusati avrebbero osservato quel dovere di unità operativa che è imposta dalla legge fondamentale dello Stato”.
Roberto Borgogno e Angela Valente, legali di Di Ruzza, hanno ripercorso punto per punto tutta la vicenda di Londra e del coinvolgimento dell’AIF. Valente, in particolare, ha notato come gli incontri avvenissero sempre ai vertici, e messo in luce come non ci sia un documento scritto dello IOR che mette in luce le perplessità dell’operazione. Semplicemente, a un certo punto finiscono le comunicazioni.
Lo IOR non fa nemmeno sapere di aver fatto una denuncia. Il direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì, durante l’interrogatorio, ha detto che aveva ricevuto una valutazione negativa all’operazione. Gli è stato fatto notare che il parere tecnico che aveva ricevuto presentava riserve ma non era negativa. Voi potete dire che quel parere tecnico è positivo, ma per me è negativo”, è stata la risposta, secca, di Mammì, ricordata dall’avvocato Valente.
Borgogno ha notato che la omessa denuncia, tra l’altro nemmeno contestata tra i capi di imputazione, alla fine non è stata nemmeno contestata alla Segreteria di Stato.
Resta poi il profilo dei due imputati, perché un abuso di ufficio, ha notato Borgogno, prevede anche un vantaggio personale. Bruelhart, prima di entrare a lavorare in Vaticano, era vicepresidente dell’Egmont Group, che riunisce le Unità di Informazione Finanziaria del mondo, e aveva una credibilità internazionale sul ramo antiriclaggio di altissimo profilo. Di Ruzza, ha notato Borgogno, ha dedicato tutta la sua vita alla Santa Sede.
E c’è da dire che fu proprio Di Ruzza l’architetto principale dell’attuale legge antiriciclaggio vaticana, che tuttora protegge la Santa Sede. Come va notato che la Santa Sede perde credibilità internazionale proprio a ragione delle indagini e delle persecuzioni effettuate negli uffici dell’AIF, che portano al sequestro di documenti appartenenti alle UIF. Lì fu violata l’autonomia dell’autorità, tanto è vero che l’Egmont Group sganciò l’AIF dal sistema sicuro di scambio di informazioni, e solo un protocollo di intesa tra Promotore di Giustizia e la nuova Autorità permise di rientrare nel circuito.
I rischi per la Santa Sede
Questa ricostruzione mette in luce che a livello internazionale non sono in discussione la reputazione di Bruelhart e Di Ruzza, ma piuttosto la reputazione internazionale della Santa Sede. Come si sa, la Santa Sede si è sottoposta al sistema di mutua valutazione di aderenza agli standard internazionali antiriciclaggio del comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa. Il rapporto di MONEYVAL che ha fatto seguito all’inizio delle indagini segnalava già diverse criticità, ed era un rapporto con luci ed ombre, certamente più negativo degli altri rapporti sui progressi cui si è sottoposta la Santa Sede nel corso degli anni. Questo segnala un passo indietro da non sottovalutare, perché testimonia che il sistema costruito ora ha una debolezza. Tra l'altro, anche l’ultimo rapporto di MONEYVAL del 2021 segnala i risultati modesti della giustizia vaticana a seguito dei rapporti dell’AIF, mentre il Rapporto AIF del 2020, pubblicato dalla nuova dirigenza dell’AIF, andava persino a notare che nel 2019 l’AIF ha intensificato la propria azione in tutti gli ambiti di attività, e confermando il trend di crescita nella proporzione tra Rapporti inviati e segnalazioni ricevute.”
Una debolezza dimostrata dal processo stesso. In una situazione di normalità, AIF, Promotore di Giustizia, organi dello Stato, Gendarmeria collaborano normalmente, mantenendo ognuno la propria autonomia e competenza. Questo non è accaduto, e la cosa non può che creare al limite perplessità in ambito internazionale. Si pensi solo al fatto che un ente vigilato, lo IOR, che pretende denunciare l’ente vigilante, l’AIF, causando un “raid” della Gendarmeria negli uffici dell’AIF che interferiva con la sua independenza e autonomia. Basta questo dettaglio a mostrare la “stranezza” della situazione che si è creata in Vaticano.
Poi ci sono i rischi connessi al processo stesso. Il Papa vi è intervenuto con quattro rescritti, cambiando in qualche modo le regole del gioco. Ma lo stesso Papa aveva autorizzato le operazioni, tutto era stato deciso per volontà sovrana. Questi rescritti, dunque, che estendono la possibilità delle indagini non possono apparire piuttosto una alterazione del processo stesso da parte del sovrano?
Sono domande che bruciano, mentre ora c’è la possibilità di guardare i fatti da un’altra prospettiva. Il tema non è la gestione dei fondi, né l’eventuale scandalo. Il tema è piuttosto se il Promotore di Giustizia ha perseguito una valanga di ipotesi di reato, mai provate, e, così facendo è, alla fine, riuscito a mettere sotto accusa un sistema funzionante e riconosciuto a livello internazionale.