Non ci sarà un documento finale, e infatti il regolamento non prevede una commissione del documento finale, ma una per la relazione di sintesi, che dovrebbe essere poco più di un riassunto dei temi che sono stati sollevati durante le discussioni. I circoli minori sono chiamati a votare le relazioni a maggioranza assoluta, mentre la relazione di sintesi dovrà avere i due terzi dei consensi. Non è chiarito se si voterà paragrafo per paragrafo, ma è presumibile di no. Non è chiarito cosa succede in caso la relazione finale non raccolga i consensi necessari per la pubblicazione.
È comunque un nuovo modo di concepire il Sinodo, con i tavoli rotondi di 11 persone che dovrebbero favorire lo scambio, secondo l’idea che siamo tutti uguali al cospetto di Dio sebbene poi la gerarchia conti e sia necessaria, e con le schede e i temi definiti e i questionari di aiuto alla discussione, e gli esperti che sono anche facilitatori e servono ad aiutare alla discussione.
È la sinodalità come metodo, prima di tutto. Ma è difficile comprendere dove questo metodo possa portare. La caratteristica di Papa Francesco è quella di non chiudere pregiudizialmente alcuna porta, di avere tutte le possibilità allineate e visibili. Ci sono, però, le controindicazioni. Il metodo potrebbe portare a risultati inaspettati e imprevedibili.
Anche questa imprevedibilità fa parte delle paure del processo sinodale. Già a gennaio, di fronte alle preoccupazione dei vescovi, i cardinali Grech e Hollerich avevano scritto una lettera ai vescovi di tutto il mondo, sottolineando che il compito del vescovo era ancora fondamentale.
All’apertura del Sinodo, il Cardinale Grech è sembrato voler spegnere gli entusiasmi dei cambiamenti. “Oggi – ha detto - la Chiesa si trova ad un bivio e la sfida urgente strettamente parlando non è di natura teologica o ecclesiologica, ma come in questo momento della storia la Chiesa possa diventare segno e strumento dell’amore di Dio per ogni uomo e donna”.
Sono parole che sembrano puntare ad abbassare le attese, a sgusciare al di fuori delle aspettative delineate da gruppi di pressione, sia interni che esterni alla Chiesa.
Il Cardinale Hollerich si è concentrato sul metodo, ha detto che “siamo tutti chiamati ad imparare la grammatica della sinodalità. Così come la grammatica dei nostri linguaggi cambia mentre si sviluppano, allo stesso modo fa la grammatica della sinodalità: cambia con il tempo. Perciò, leggere i segni dei tempi ci dovrebbe aiutare a scoprire una grammatica della sinodalità per il nostro tempo. Nella grammatica, ci sono alcune regole di base: quelle non cambiano mai”.
E Papa Francesco, nella Messa di apertura del 4 ottobre, ma anche in varie altre occasioni, ha voluto affermare che il Sinodo non è un Parlamento, non ci sono decisioni da prendere o da votare, ma c’è soprattutto da ascoltare.
In sintesi, sembra esserci quasi il timore che l’opinione pubblica possa influenzare il processo sinodale, che le informazioni diffuse possano avere un impatto anche sugli interventi dei padri sinodali, che lo stesso processo sinodale di discernimento sia messo a rischio dalle pressioni.
Non è probabilmente per caso che il ritiro spirituale dei partecipanti al Sinodo (tenutosi dal 1 al 4 ottobre) è cominciato con una meditazione di padre Timothy Radcliffe che diceva: “Durante il nostro percorso sinodale, possiamo preoccuparci se stiamo raggiungendo qualcosa. I media decideranno probabilmente che è stata una perdita di tempo, solo parole. Cercheranno di vedere se saranno prese decisioni forti su circa quattro o cinque argomenti principali”.
Era il timore presente durante e dopo il Concilio Vaticano II. Benedetto XVI, parlando con i vescovi svizzeri il 9 novembre 2007, raccontò che “quando negli anni ottanta-novanta andavo in Germania, mi si chiedevano delle interviste, e sempre sapevo già in anticipo le domande. Si trattava dell'ordinazione delle donne, della contraccezione, dell'aborto e di altri problemi come questi che ritornano in continuazione.”.
E aggiungeva: “Se noi ci lasciamo tirare dentro queste discussioni, allora si identifica la Chiesa con alcuni comandamenti o divieti e noi facciamo la figura di moralisti con alcune convinzioni un po' fuori moda, e la vera grandezza della fede non appare minimamente”.
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In questo momento, i padri sinodali stanno cercando un equilibrio, al di là delle varie agende che si possono incrociare al Sinodo. Il Cardinale Hollerich già guarda al futuro, punta ad una “road map” per il prossimo anno, che “dovrebbe indicare dove sentiamo che si è raggiunto un consenso tra noi e soprattutto tra il popolo di Dio, delineando possibili passi successivi come una risposta alla voce dello Spirito. Ma si dovrebbe anche dire dove è necessaria una riflessione più profonda e cosa può aiutare quel processo di riflessione”.
Nessuno, ovviamente, parla di un indirizzo. “Il Sinodo non è un Parlamento”, ha tuonato il Papa. Eppure, questa assemblea sinodale si collega idealmente alle risposte ai dubia di alcuni cardinali da parte del Dicastero della Dottrina della Fede, approvate dal Papa. Di fronte a richieste riguardanti un eventuale cambiamento della dottrina della Chiesa, reinterpretazioni della stessa dottrina, disciplina sacramentale per i divorziati e risposati, il Dicastero per la Dottrina della Fede non ha risposto “sì” o “no”, ma ha piuttosto voluto dare risposte argomentate, lunghe e aperte ad una casistica specifica di situazioni. L’impressione è che si voglia cambiare la percezione della dottrina per poi cambiare la dottrina stessa.
È una preoccupazione diffusa, tanto che il Cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha mandato una lunga lettera a tutti i partecipanti del Sinodo, mostrando preoccupazione e affermando addirittura che “la Segreteria generale del Sinodo è molto efficiente nell’arte della manipolazione”.
Il Cardinale Zen contesta il metodo stesso del Sinodo, sottolinea che iniziare con i Circoli minori è problematico perché è nell’assemblea generale che vengono fuori le controversie più importanti che andranno risolte.
I dubia e la lettera del Cardinale Zen sono fattori che alla fine diventano parte della stessa vita del Sinodo. Trasformato da evento a processo sotto Papa Francesco, il Sinodo si trova ora a dover comprendere quale sarà la sua strada. E i vescovi dovranno comprendere se parlare o meno dei loro interventi in aula. Alcuni lo faranno, liberamente, dando uno squarcio di luce ad un processo che resta comunque oscuro. Altri preferiranno tenere il più assoluto riserbo, rendendo impossibile comprendere gli umori dell’assemblea sinodale.