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Letture, una abazia, un gatto e tanta devozione mariana

La Abazia di Praglia raccontanta come un fiaba

La copertina del libro |  | Bottega Errante Edizioni La copertina del libro | | Bottega Errante Edizioni

Ai piedi di un piccolo monte, tutto verdeggiante, si snoda la complessa struttura dell’abbazia di Santa Maria Assunta di Praglia, dalla storia millenaria e dalla bellezza quasi intatta, nonostante travagli, violenze, sussulti della storia. E’ questo uno dei luoghi più noti e amati dei Colli Euganei, una zona che si estende alle spalle della città di Padova e sfiora la provincia di Vicenza, dove poi si sono formati i Colli Berici, altro luogo ricco di storia e di leggende.

Un microcosmo tutto da riscoprire e a cui attribuire il giusto valore. Una novità per molti, ma in realtà amato e scelto da tanti altri, sin dalla antichità, e basterebbe citare un nome fra tutti, quello di Francesco Petrarca, che qui ha voluto costruire una sua dimora, l’ultima, su questa terra. Qui infatti, nel piccolo borgo di Arquà, il grande poeta ha trascorso gli ultimi anni di vita e si è spento, il 18 luglio 1374. Lo ha amato davvero, questo angolo di terra che per lui assume, di giorno in giorno, le sembianze di un angolo di paradiso, in cui ritrovare le atmosfere e i colori dei ricordi più belli e dei luoghi più amati, dalla Toscana in cui era nato e la Provenza, nel tempo dell’adolescenza e della scoperta dell’amore, dove aveva incontrato per la prima volta la donna del destino, Laura.  Un amore ricambiato, perché, dalla morte del poeta, il borgo si chiamerà Arquà Petrarca.

E questo paesaggio è punteggiato da chiese, monasteri, cappelle, abbazie, una “geografia” della fede e della preghiera che accoglie e apre le sue “porte” anche oggi a tutti coloro che sono in cerca di silenzio, pace, desiderio di entrare in un’altra dimensione. Al cui centro, appunto, si erge l’abbazia di Praglia. Per affrontare un viaggio dentro questo mondo “parallelo” ci si può affidare ora ad un libro scritto da Laura Pisanello, giornalista e scrittrice, in un gustoso libro dal titolo intrigante 'Il gatto rosso dell’abbazia', edito da Bottega Errante Edizioni, in cui  si affollano tante creature magiche e curiose, insieme a santi e monaci, pittori di madonne e semplici contadini che pregano davanti ad un capitello in mezzo ai campi. Il libro si trasforma in una guida che illumina con un itinerario inedito i magnifici Colli, mescolando fantasia e realtà quotidiana, invenzione e storia. Si tratta in realtà di un testo che torna in libreria dopo due edizioni con Santi Quaranta con il titolo Fiabe e leggende dei Colli Euganei, con questa nuova edizione con quattro storie inedite e la prefazione di Eugenio Borgna.

Commovente, per esempio, la rievocazione di Roberto Ferruzzi, con il suo legame molto intenso con questa terra. Artista di grande finezza e sensibilità reso famoso in tutto il mondo soprattutto grazie ad un dipinto universalmente noto, la Madonnina. Riconoscibile ovunque, e in particolare in Veneto: a capoletto nelle camere da letto delle nonne, in mille riproduzioni, persino in tante sequenze di numerosi film. La Madre di Dio assume le fattezze di una giovane popolana che tiene in braccio, appoggiato al petto, un bimbo addormentato. La giovane indossa uno scialle che la avvolge interamente e un fazzoletto sulla testa. In origine il dipinto doveva essere intitolato Maternità e invece a furor di popolo divenne la Madonnina.

Ma certo il centro che irradia la sua forza spirituale è sempre l’abbazia di Praglia e l’autrice la racconta in diversi brevi “ritratti” e storie, tra le quali la più curiosa e divertente in cui un gatto rosso diventa una sorta di guida alla scoperta della storia e della vita dell’abbazia, con i suoi tesori e la sua antica tradizione di cura, conservazione e restauro di testi, concretamente testimoniata anche nella straordinaria biblioteca.   L’abbazia  è stata costruita tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII, alle pendici settentrionali dei Colli, lungo l’antica strada Montanara che da Padova conduceva ad Este. Il nome deriva dal toponimo Pratàlia o Pratàlea (località tenuta a prati) con cui è abitualmente menzionata nei documenti medievali. Una fondazione patrocinata dalla potente famiglia vicentina dei conti Maltraversi di Montebello.

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L’abbazia diventò un punto di riferimento per il territorio, la sua “anima” spirituale ma anche sociale, economico, scuola e parrocchia, rifugio e sostegno nei momenti critici della storia, e nonostante le molte traversie. Le varie soppressioni, come quella napoleonica del 1810. Nel 1834, grazie all’appoggio del governo austriaco, i monaci rientrano al monastero. La ripresa della vita benedettina a Praglia ha  breve durata poiché il 4 giugno 1867 viene varata in Veneto la legge che sopprime nuovamente tutte le corporazioni religiose. La comunità viene così sciolta una seconda volta. La maggior parte di essa trova rifugio nel monastero di Daila (Istria), allora in territorio austriaco, e a Praglia rimangono solo due o tre monaci, come custodi del monastero. Il 26 aprile 1904 i primi due monaci fanno  ritorno al monastero e il 23 ottobre seguente la vita dell’abbazia ha potuto  riprendere regolarmente, fino ai nostri giorni. E si spera ancora molto a lungo.

Laura Pisanello, Il gatto rosso dell’abbazia, Bottega Errante Edizioni, pp.159, euro 17