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Processo Palazzo di Londra: a che punto siamo rimasti

Riprendono il 27 settembre le udienze del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Chiesti 7 anni per il Cardinale Becciu. Parola alle parti civili e poi alle difese

Processo Palazzo di Londra | Una passata udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group Processo Palazzo di Londra | Una passata udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group

Un cardinale sotto processo. Un presunto scandalo immobiliare. Degli officiali infedeli. Veleni e attacchi personali. Ma anche una accusa tutta da decifrare. Un Papa presente sin dalle prime decisioni. Un organo di Stato che rifiuta inaspettatamente la richiesta dell’organo di governo dello Stato. Sono tutti temi che si incrociano nel processo sulla gestione di fondi della Segreteria di Stato, che riprende il prossimo 27 settembre in Vaticano.

Nelle prossime udienze, Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, Istituto per le Opere di Religione (che parlerà anche a nome dell’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria) e difesa di monsignor Alberto Perlasca spiegheranno perché, come parti civili, ritengono che questo processo li riguardi e perché da questo processo ritengono di dover essere risarciti.

Poi, sarà la volta delle difese, chiamate a smontare pezzo per pezzo la requisitoria in cinque udienze (più una per le richieste di condanna) del promotore di Giustizia vaticano Alessandro Diddi. Una requisitoria che, in fondo, nel tentativo di giustificare i capi di accusa sembrava essersi cristallizzata a due anni fa, quando non erano ancora state ascoltati né gli imputati né i testimoni. Niente ha scalfito l’impianto accusatorio, neppure quando l’impianto accusatorio di monsignor Perlasca è stato smontato da due testimonianze che mettevano in luce come il monsignore potesse anche essere stato vittima di manipolazione. Improvvisamente, monsignor Perlasca non era più il “supertestimone”, come veniva definito e considerato, e di lui si è parlato molto poco nelle fasi successive del processo.

Un processo, tre processi

Ma cosa riguarda il processo che si sta celebrando ormai da più di cinquanta udienze in Vaticano? Ci sono tre filoni, diversi eppure, secondo il promotore di giustizia collegati tra loro.

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Il primo: l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone: il contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

Le richieste di condanna

Secondo il promotore di giustizia Alessandro Diddi, il filo conduttore di questi tre filoni è sempre e solo il Cardinale Angelo Becciu. Poco importa che Becciu rientri nell’operazione del Palazzo di Londra solo all’inizio, perché è sotto di lui come sostenuto che si avvia l’operazione. Addirittura, nella ricostruzione del promotore, Becciu prevedeva addirittura gli sviluppi, aveva posto le basi per ottenere il massimo guadagno. E, offesa ancora più grande, il Cardinale si è sempre difeso in questi mesi di processo, partecipando ogni volta che poteva alle udienze, rendendo dichiarazioni spontanee, ribattendo punto per punto ad accuse e ricostruzioni.

Proprio perché il cardinale non ha mai mostrato segni di rincrescimento, per lui è stato chiesto il massimo possibile: 7 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione dai pubblici uffici, una multa di 10329 euro e una richiesta di confisca di 14 milioni.

Per René Bruelhart, già presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria, sono stati chiesti 3 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione temporanea dai pubblici uffici, il pagamento di 10329 euro di multa.

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Per monsignor Mauro Carlino, che era segretario del sostituto al tempo dell’operazione, vengono chiesti 5 anni e 4 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, 8 mila euro di multa.

Enrico Crasso, che era il gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Credit Suisse, dovrebbe scontare, secondo l’accusa 9 anni e 9 mesi di reclusione, pagare 18 mila euro di multa ed essere perpetuamente interdetto dai pubblici uffici.

Per Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, sono stati chiesti 4 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e 9600 euro di multa. Su Cecilia Marogna, 4 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e 10329 euro di multa. Per il broker Raffaele Mincione sono chiesti 11 anni e 5 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 15450 euro di multa.

La pena più alta richiesta è stata per l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi: 13 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, 18750 euro di multa. Per l’avvocato Nicola Squillace, che reclamava di aver agito per conto della Segreteria di Stato, 6 anni di reclusione, la sospensione dall’esercizio della professione e 12500 euro di multa. Per il broker Gianluigi Torzi, 7 anni e 6 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 9 mila euro di multa.

A processo ci sono anche diverse società. La Logsic di Cecilia Marogna dovrebbe, secondo le richieste dell’accusa, essere sanzionata di 150 mila euro, ricevere tre anni di divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, essere confiscata di 174210 euro.

Quindi, le tre società riconducibili ad Enrico Crasso: la sanzione per la Prestige Family Office di 150 mila euro, con confisca di 902,585,51 franchi svizzeri; lo stesso per la Sogenel Capital Investment, cui però dovrebbero essere confiscati 308.547 euro; e lo stesso per HP Finance. Per tutte è richiesta l’interdizione dai pubblici uffici.

I nodi da sciogliere

Di cosa parleranno le parti civili? La Segreteria di Stato e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che ne ha ereditato la gestione delle finanze, dovranno dimostrare di avere subito un danno nella gestione del palazzo di Londra. Saranno chiamate a dimostrare come non avessero saputo delle condizioni economiche del palazzo di Londra dal primo broker Mincione (e in particolare di un mutuo che gravava sul palazzo) e di come il secondo broker che ha gestito il palazzo, Gianluigi Torzi, non avesse chiarito che le mille azioni che si riservava per lui gli dessero controllo totale sulla gestione dell’immobile, perché le uniche con diritto di voto.

Lo IOR deve dimostrare che è stato procurato un danno all’istituzione, e nel farlo potrebbe andare a cozzare con la Segreteria di Stato vaticana. La Segreteria di Stato, organo di governo, aveva infatti chiesto il prestito allo IOR, organo di Stato, e questo glielo aveva rifiutato, in una prassi tutta da definire.

Poi c’è monsignor Perlasca che si sente danneggiato da alcuni atteggiamenti del Cardinale Becciu, e l’ASIF che si sente danneggiato da alcune decisioni dei suoi vertici.

Restano però molti nodi da sciogliere. Il primo riguarda il coinvolgimento del Papa, fotografato tra l’altro nella stanza delle trattative, quando la Segreteria di Stato stava cercando di rilevare le sue quote da Torzi. Anche l’arcivescovo Pena Parra ha detto che il Papa sapeva.

Il secondo è la responsabilità di alcuni personaggi che non sono stati toccati dall’inchiesta giudiziaria, come Giuseppe Milanese, che compare all’inizio della trattativa con Torzi su richiesta del Papa e sul quale anche il promotore di Giustizia ha fatto calare un’ombra notando che questi aveva comunque interesse di procurarsi affari con lo stesso Torzi, e come monsignor Alberto Perlasca, non più considerato super testimone, ma comunque protagonista di un cambiamento di atteggiamento negli interrogatori tutto da verificare.

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Il terzo riguarda il processo stesso, e il modo in cui verrà compreso a livello internazionale. Il Papa è intervenuto nelle procedure con quattro rescritti, una decisione di un giudice a Londra, Baumgartner, ha messo in luce persino alcune incongruenze nelle indagini che potrebbero persino renderle invalide (accuse profondamente respinte dal promotore di Giustizia), e la Segreteria di Stato è a processo a Londra citata dal broker Raffaele Mincione, in un procedimento i cui esiti appaiono incerti. Quanto questo processo mette a rischio la credibilità internazionale della Santa Sede?

Sono tre questioni che includono tante altre microquestioni – dalla validità delle ricostruzioni del promotore al ruolo dello IOR in contrapposizione alla Segreteria di Stato fino alla legittimità di alcuni comportamenti – e che sono centrali non tanto per le sentenze che si raggiungeranno, ma per il futuro del sistema giudiziario della Santa Sede.