La pandemia – ha aggiunto il “ministro degli Esteri vaticano” – ha mostrato “molta buona volontà e dedizione” a tutti i livelli governativi e delle sfere della società, come si è dimostrato anche gli sforzi di sviluppare e distribuire cure e vaccini. Tuttavia, la Santa Sede nota che c’è il solito divario tra poveri e ricchi, e che le nazioni a basso reddito che hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino di COVID 19 sono la metà di quelle delle Nazioni sviluppate.
Si è creata, durante la pandemia, una disparità nell’accesso alle risorse, che “la sola generosità non può superare”, e per questo, nelle pandemie che verranno, la Santa Sede propone un approccio di sviluppo che rifletta “i profondi legami tra la povertà e la salute dei poveri”, e che richiede la capacità di promuovere nelle nazioni in via di sviluppo “ricerca, innovazione, produzione e distribuzione”, perché più che un “rapido aggiustamento”, si deve assicurare una risposta equa.
L’arcivescovo Gallagher nota che non c’è tempo da perdere, perché le soluzioni durature necessitano di tempo, e che tutti i modelli di risposta devono comunque “rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, inclusa la libertà di opinione e di espressione, la libertà di coscienza e la libertà di religione o credo”. Non è una chiosa da poco, considerando che più volte la Santa Sede, dopo l’emergenza pandemica, ha messo in luce come alcune delle misure mettevano profondamente a rischio la libertà religiosa.
La Santa Sede chiede anche meccanismi di solidarietà che “puntino ad aiutare le nazioni a fornire medicine e adeguata cura sanitaria alle loro popolazioni, rispettando allo stesso tempo la loro sensibilità culturale e la loro sovranità”.
L’arcivescovo Gallagher affronta anche il tema della condivisione della informazione scientifica e del know-how necessario, e chiama in causa le organizzazioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità perché “incoraggino e facilitino il coordinamento e la cooperazione”, ma chiede anche di costruire fiducia con e tra le nazioni.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, la pace in Ucraina
Il 20 settembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha avuto un Dibattito Aperto su “Sostenere gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite attraverso un effettivo multilateralismo: mantenimento della pace e la sicurezza in Ucraina”.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha notato che la sessione avviene nel contesto della “crudele e insensata guerra contro l’Ucraina, la quale, con grande sacrificio, sta difendendo la sua sovranità e l’inviolabilità dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”.
La domanda, però, è “contro chi si sta combattendo questa guerra”, perché “è sotto gli occhi di tutti che quanti stanno pagando il prezzo più alto sono i civili, le persone semplice e, soprattutto, bambini, giovani e anziani”.
La Santa Sede sottolinea che “è innegabile che l’attacco russo all’Ucraina ha messo a rischio l’intero ordine globale”, e che le sue conseguenze negative “possono già essere notate nelle sfere umanitarie, demografiche, cibo, socio-politica, legale, economica, ecologica, militare, nucleare, energetica, sanitaria, educativa, religiosa e migratoria”.
Sono tutti temi che toccano “elementi fondamentali dell’architettura della sicurezza globale”, perché “il male è incapace di generare il bene” e “l’aggressione può solo generare nuova aggressione”. Per questo, “se questa guerra non si ferma e la pace non si cerca in ogni angolo, tutto il mondo rischia di entrare in una crisi ancora più profonda”.
L'arcivescovo Gallagher sottolinea che “la soluzione alla guerra in Ucraina non è solo questione dell’Ucraina stessa”, perché oggi “l’intera comunità internazionale, più che mai, non si può arrendere a lasciare che la questione passi in silenzio”. La Santa Sede chiede dunque ai membri delle Nazioni Unite, e specialmente ai membri del Consiglio di Sicurezza, di “unire gli sforzi nella ricerca di una pace giusta e durevole per l’Ucraina, come un elemento importante della pace globale di cui ha sente il mondo”.
La Santa Sede afferma che è vicina all’Ucraina e sostiene la sua integrità territoriale e soprattutto che “continua a impegnarsi in iniziative umanitarie con la volontà di alleviare la sofferenza della popolazione ucraina, specialmente i più deboli e vulnerabili”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite, per la copertura sanitaria universale
Il 21 settembre, si è tenuto alle Nazioni Unite un Incontro di Alto Livello sulla Copertura Sanitaria Universale.
L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha notato che “gli effetti della povertà, così come la fame, la malnutrizione, le abitazioni inadeguate e le condizioni di lavoro insalubri accrescono la vulnerabilità alle malattie”, e rendono allo stesso tempo “più difficile per i poveri di raggiungere la necessaria cura di cui hanno bisogno”, tanto più che i costi della copertura sanitaria “hanno portato mezzo miliardo di persone a sperimentare la povertà o a diventare ancora più poveri”.
La Santa Sede sostiene la necessità di “assicurare un accesso sostenibile e universale a cure sanitarie di qualità”, cosa che non può essere separata “da più ampi sforzi di sviluppo, in particolare di protezione sociale, educazione e lavoro adeguato”.
L’arcivescovo Gallagher ricorda che “la fede ha ispirato molti sforzi per prendersi cura dei poveri e dei vulnerabili nel mondo”, e che in alcuni posti “le organizzazioni religiose sono le sole agenzie sanitarie”. In particolare, circa un quarto delle strutture sanitarie nel mondo sono cattoliche, e nel 2021 il Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale ha lanciato una iniziativa chiamata WASH (Acronimo inglese che sta per acqua, sanitizzazione e igiene) nelle strutture sanitarie cattoliche, progetto tuttora in corso.
L’arcivescovo Gallagher sottolinea anche che “le strutture sanitarie religiose sono la testimonianza della dignità inalienabile della persona umana, che deve essere al centro degli sforzi che portano al raggiungimento della copertura sanitaria universale, focalizzandosi sulla guarigione e accompagnando ogni persona nella propria totalità”.
Per questo, la Santa Sede mette in luce il rischio di un approccio “sempre più consumistico, dove i dottori agiscono semplicemente come fornitori di servizi a clienti facoltosi, soddisfacendo e traendo profitto dai loro desideri individuali”. Sono tendenza che “possono creare un certo disprezzo per il povero, il malato, il non nato, il disabile e l’anziano”, dimenticandosi che “gli esseri umani sono fragili, dipendenti e limitati nella loro corporeità”.
La Santa Sede a New York, contro i test nucleari
Cinque anni dopo aver partecipato attivamente all’approvazione del Trattato di Bando Generale dei Test Nucleari, la Santa Sede chiede agli Stati di ratificare il trattato in modo che entri in vigore. È successo il 22 settembre, durante la 33esima conferenza sulla facilitazione dell’entrata in vigore del Trattato.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “dopo quattro decenni di sforzi concertati, la comunità internazionale ha raggiunto un accordo su questo bando”, e però 27 anni dopo il trattato sia stato licenziato dall’Assemblea, i suoi scopi sono “solo parzialmente raggiunti”.
Il “ministro degli Esteri” vaticano nota che oggi “ci sono minacce di usi nucleari”, nonché “continui sforzi di modernizzare le armi nucleare”, e questo rende ancora più vitale l’entrata in vigore del trattato, e per questo la Santa Sede chiede a tutti gli Stati che ancora non hanno ratificato il trattato di farlo come “massima priorità”, e allo stesso tempo esorta tutti gli Stati di aderire alla moratoria sui test nucleari.
La Santa Sede chiede anche a tutti alla commissione preparatoria dell’organizzazione del trattato di collaborare con gli Stati parte del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari per universalizzare, verificare e compilare dati storici su test del passato, incluso il costo umano di quei test.
Adottato dall’assemblea generale delle Nazioni nel 2017 ed entrato in vigore nel 2021, il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari segnò anche una svolta per la Santa Sede. La Santa Sede aveva infatti votato l’approvazione del Trattato, ed è la prima volta che la Santa Sede, che alle Nazioni Unite ha lo status di Osservatore Permanente, accettando di comportarsi da membro ONU a tutti gli effetti in una negoziazione. In passato, la Santa Sede aveva partecipato alle negoziazioni dei trattati, ma non come membri con la possibilità di voto.
La Santa Sede a New York, consultazione ministeriale su accordi di finanziamento
Il 22 settembre, si è tenuta alle Nazioni Unite una Consultazione Ministeriale sulla raccolta di fondi per rispondere a danni e perdite, organizzata dalle presidenze del COP27, che aveva stabilito nuovi accordi per assistere le nazioni in via di sviluppo vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, e del COP 28.
La perdita e il danno è una nozione “inerentemente correlata con la giustizia” per questo il fondo “dovrebbe diventare operativo sotto i principi di solidarietà e sussidiarietà” e il processo di decisione dovrebbe “coinvolgere comunità locali e assicurare una risposta appropriata ai bisogno della comunità”.
Si deve, per la Santa Sede, adottare la prospettiva delle persone, mentre si raccomanda che il Fondo sia “governato da principi di eguaglianza e di responsabilità comune ma differenziata”, usando le risorse per iniziative che “rispettano la dignità umana, sono centrati sulla persona, e sviluppano un vero sviluppo umano integrale”, che consideri “l’intera persona umana, inclusi i suoi bisogni materiali, sociali e spirituali”.
La Santa Sede è anche interessata al fatto che il Fondo prenda in considerazione aspetti materiali e immateriali di Perdita e Danno, anche perché “la terra persa a causa dei livelli del mare in crescita o resa inabitabile dalla crisi climatica ha conseguenze non solo economiche”, e “le persone che sono costrette a lasciare la loro terra perdono più della loro capacità di vita economica”, perché “perdono anche la casa, le identità culturali e le connessioni sociali”, senza considerare la loro “eredità culturale e naturale”.
Infine, la Santa Sede chiede che il Fondo sia globale, che supporti sia le perdite e i danni economici che quelli non economici, che includa iniziative per supportare la preservazione culturale, garantisca una migrazione sicura, ordinata e degna e promuova educazione e consapevolezza globale, anche su temi come l’ambiente.
Secondo la Santa Sede, il Fondo deve essere accessibile alle comunità, disponibile in caso di disastri, essere accessibile direttamente alle piccole comunità, magari con lo stabilimento di “micro-borse” che permettano risposte locali. Il fondo, infine, deve permettere di restaurare la perdita e il danno, usando risorse “nuove e supplementari”.
La Santa Sede a New York, la questione della tubercolosi
Il 22 settembre, c’è stato un incontro di Alto Livello alle Nazioni Unite sulla Tubercolosi, malattia che oggi è una delle cause di morte più comuni, soprattutto nelle Nazioni in Via di Sviluppo.
L’arcivescovo Gallagher ricorda che passi avanti sono stati fatti a partire dal primo incontro di Alto Livello sul tema nel 2018 e addirittura si è andati oltre l’obiettivo di dare a 6 milioni di persone affette da HIV un trattamento anti-tubercolatico precoce – sono 10,3 milioni le persone raggiunte tra il 2018 e il 2022 dalla campagna vaccinale.
La Santa Sede nota che ci sono comunque dei gap significativi, esacerbati dalla pandemia di COVID 19, mentre l’unico vaccino “può solo essere somministrato a bambini, ma resta inefficace sulla tubercolosi dei polmoni”, e questo significa che “milioni di persone non ricevono trattamento, mentre sono a rischio particolare le persone resistenti a molte medicine anti-tubercolosi.
I nuovi casi, spiega la Santa Sede, si collegano direttamente in buona parte alla povertà, mentre il costo del trattamento rende dura la vita per i pazienti, e questi sono temi che andrebbero affrontati.
Gallagher ha messo in luce I lavori della Santa Sede, con una seria di Dialoghi di Roma sull’HIV pediatrico la tubercolosi. “C’è ancora molto lavoro da fare – ha detto l’arcivescovo Gallagher – nel prevenire, diagnosticare e trattare la tubercolosi”.
La Santa Sede a Ginevra, il rapporto sul diritto allo sviluppo
Il 20 settembre, la 54esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra ha ospitato in dialogo con il Relatore Speciale al Diritto allo Sviluppo.
L’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, ha sottolineato che, nel definire il diritto allo sviluppo, è “importante adottare una comprensione olistica di questo del diritto”, anche perché “la comprensione convenzionale dello sviluppo basato solo su termini economici è insufficiente, perché pone la crescita materiale al centro”.
Questo, ha aggiunto il nunzio, rischia di “portare a un modello societario che sfrutta la persona umana e l’ambiente in una frenetica ricerca di profitto”. L’essere umano “non deve essere considerato bene di consumo che può essere scartato”. Piuttosto, la Santa Sede ribadisce che “l’inerente e inviolabile dignità di ogni persona umana non può mai essere dimenticata, e deve sempre essere il punto di partenza per portare avanti un modello di sviluppo che non è solo sostenibile, ma anche integrale, mentre tiene in conto di tutte le dimensioni della persona umana”.
La Santa Sede nota che “in una società realmente sviluppata, tutti devono avere accesso ai beni di base, inclusi una abitazione consona, un impiego degno, una nutrizione adeguata e acqua potabile”, ma allo stesso tempo devono essere garantiti “i diritti umani fondamentali, così come la libertà a partire dalla libertà religiosa”, perché tutto questo è idealmente parte dello sviluppo umano integrale, che “non deve essere l’eccezione, ma piuttosto la regola”.
L’arcivescovo Balestrero nota che per arrivare all’autentico sviluppo umano e alla protezione dei diritti umani richiede “una solidarietà che viene dalla comune umanità che tutte le persone condividono”, cosa che non può “essere la sola prerogativa di alcuni gruppi di persone e popoli”, né la solidarietà “può essere usata per imporre alcuna forma di colonizzazione ideologica”.
FOCUS UCRAINA
Ucraina, l’apertura alla mediazione del Papa
Dmytro Lubinets, Commissario per i Diritti Umani del Parlamento Ucraino, incontrato dal Cardinale Matteo Zuppi durante la sua missione in Ucraina, ha detto di ritenere che “il Papa possa essere un mediatore in questa situazione, e credo che nella guerra di aggressione della Federazione Russa la Santa Sede possa avere un ruolo di mediatore”.
Lubinets ha parlato alla stampa a Roma, dove si trova per una serie di incontri. Ha sottolineato che “la missione di pace della Santa Sede è per noi molto importante. Apprezziamo molto il lavoro dell’inviato speciale di Papa Francesco per la pace in Ucraina”.
Lubinets ha fatto anche sapere che crede che “il Cardinale Zuppi sia la persona che riuscirà a creare un ponte tra le famiglie ucraine e i bambini deportati, e grazie a questa missione potremo riunire le famiglie ucraine con i loro bambini deportati nei territori russi”.
Il riferimento è allo scopo principale della missione del Cardinale, che è appunto quello del ricongiungimento familiare di bambini che sarebbero stati portati in Russia dopo che hanno perso le loro famiglie, secondo la parte ucraina, o che sarebbero rimasti in Russia in attesa di trovare la famiglia, secondo la parte russa.
Un meccanismo per almeno scambiare informazioni e cominciare e risolvere la questione sarebbe stato trovato durante il viaggio del Cardinale Zuppi in Russia.
Il Cardinale Zuppi parla della sua missione
Parlando in un seminario alla tre giorni del clero della diocesi bolognese, il Cardinale Zuppi ha descritto la sua missione come inviato del Papa come “oggettivamente difficile”, anche se ha sottolineato che il dialogo “anche con poco spazio di manovra rimane l’unica strada percorribile di fronte ad una escalation militare che non può non preoccupare”.
Il cardinale Zuppi ha sottolineato che questa escalation militare “può portare anche a qualche scintilla nucleare, e questo dovrebbe farci inorridire, perché non si scherza con il fuoco. Se si vede qualche piccolo spazio di incontro, quella è l'unica strada se si vuole cercare una soluzione che non sia solo avere vincitori e sconfitti”.
Il cardinale Zuppi è atteso di nuovo in Russia, dopo la missione di Pechino. Di questa missione, si sa solo che ha incontrato Li Hui, l’inviato speciale di Pechino per gli Affari Euroasiatici, ma non c’è stata notizia di un incontro con il viceministro degli Esteri Deng Li, come era stato ventilato.
Secondo alcune fonti, l’incontro con Deng Li avrebbe comunque avuto luogo, anche se in occasione di una cena più informale. Deng Li avrebbe messo sul tavolo anche la questione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Santa Sede, aprendo così una sorta di canale parallelo a quello già in corso con la Segreteria di Stato.
Vale la pena ricordare che l’accordo per la nomina dei vescovi tra Cina e Santa Sede non tocca le relazioni diplomatiche. Tra l’altro, per l’apertura di relazioni diplomatiche, la Santa Sede dovrebbe abbandonare le relazioni con Taipei come conditio sine qua non da parte di Pechino, che considera Taiwan come una provincia ribelle.
La Segreteria di Stato, però, ha piuttosto lavorato per un accordo sulla nomina dei vescovi, mentre ora sta puntando alla possibilità di avere un rappresentante residente a Pechino, che possa aiutare a livellare le incomprensioni. Non ci sono conferme sulla mossa della Cina con il Cardinale Zuppi, né si sa come il Papa abbia preso l’eventuale apertura fatta al di fuori dei normali canali diplomatici. Di certo, la missione in Cina ha comunque stabilito delle relazioni, perché Pechino ha avuto un importante accreditamento vaticano come player globale nella ricerca della pace.
L’ambasciatore ucraino Yurash da Papa Francesco
Il 22 settembre, prima della partenza del Papa per Marsiglia, Andryi Yurash, ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede, è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco, con il quale ha avuto un colloquio di un’ora aiutato nella traduzione di un francescano ucraino.
Yurash ha portato a Papa Francesco i ringraziamenti del presidente Volodymir Zelensky e del ministro degli Affari Esteri Dmytro Kuleba. Insieme alle affermazioni di Lubinets, questi ringraziamenti testimoniano una diversa apertura ucraina al lavoro della Santa Sede – Zelensky in visita dal Papa aveva detto che non aveva bisogno della mediazione pontificia – cosa che può essere sia una reazione all’improvvisa apertura di Mosca, sia la volontà di riprendere il centro della scena dopo che la “diplomazia dell’inviato” del Cardinale Zuppi aveva aperto scenari paralleli con Cina e Russia.
Durante l’incontro con il Papa, l’ambasciatore Yurash ha affrontato anche la missione del Cardinale Zuppi, nonché la situazione della guerra e la proposta di pace dell’Ucraina. Il colloquio ha anche toccato l’attacco a un magazzino di Leopoli che ha mandato in fumo circa 300 tonnellate di aiuti umanitari. L’ambasciatore ha anche ricordato che a novembre ricorrerà il 90esimo anniversario della tragedia dell’Holodomor, il “genocidio” ucraino portato avanti per fame su ordine di Stalin.
L’ambasciatore Yurash ha portato al Papa come dono un orso di peluche proveniente dalla casa distrutta da un razzo russo lo scorso 14 gennaio a Dnipro. Il razzo colpì un intero edificio, uccidendo 46 persone, tra cui 3 bambini, e ferendone 75, tra cui 13 minori. L’orso di peluche era stato trovato quasi integro tra le macerie, ed è stato inviato a Yurash perché lo consegnasse al Papa così come era.
Ucraina, attacco ad un magazzino di Caritas-Spes
Da parte vaticana, è stato solo il Cardinale Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero della Carità, a fare una dichiarazione ufficiale riguardo l’attacco russo ad un magazzino a Lviv di Caritas-Spes, il braccio caritativo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. L’attacco, però, avvenuto lo scorso 19 settembre, mette in luce come la guerra non sempre colpisca solo obiettivi militari. Dopo la distruzione del magazzino sono andati distrutti 300 tonnellate di aiuti tra pacchi alimentari, kit igienici, vestiti e generatori.
Un comunicato di Caritas – Spes ha informato che non ci sono stati danni ai dipendenti della missione, e sono salvi anche i veicoli di trasporto, mentre tutto il resto è stato raso al suolo dall’attacco del drone.
Il direttore Vyacheslav Grynevych spiega in una nota: "Saremo in grado di calcolare i dettagli finali delle perdite più tardi, poiché i servizi speciali stanno attualmente lavorando sulla scena. Sappiamo già che sono andati distrutti 33 pallet di pacchi alimentari, 10 pallet di kit igienici e cibo in scatola, 10 pallet di generatori e vestiti".
Si trattava di aiuti specialmente destinati alla stagione invernale, particolarmente dura in Ucraina, specialmente da quando c’è la guerra.
Non è la prima volta che la Federazione Russa attacca i magazzini umanitari in Ucraina. È difficile contare tutti gli attacchi ai magazzini umanitari a causa della riservatezza delle informazioni, ma secondo i media, nel maggio di quest'anno sono stati distrutti i magazzini di due organizzazioni umanitarie a Odesa e Ternopil.
Il segretario generale della Nato apprezza gli sforzi vaticani per la pace in Ucraina
In una intervista alla RAI, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha rassicurato su una eventuale minaccia nucleare imminente, ha detto che il “rischio sarebbe permettere a Putin di vincere”, ha rimarcato che l’Ucraina ha lanciato una controffensiva e ha sottolineato di apprezzare gli sforzi di pace della Santa Sede.
“Cogliamo con favore – ha detto - tutti gli sforzi di trovare una soluzione pacifica, il Vaticano ha offerto un forte sostegno alla soluzione pacifica, ma dobbiamo renderci conto che esiste una differenza netta tra sconfitta e pace”.
Secondo il numero uno dell’Alleanza Atlantica, quella tra Russia e Ucraina non è una guerra tra pari, perché “l’Ucraina non è mai stata una minaccia per la Russia, mentre Putin ha invaso una Nazione sovrana, indipendente e democratica in Europa. Se il presidente Putin smetterà di combattere avremo la pace, se smettono gli ucraini, l’Ucraina cesserà di esistere come Nazione sovrana e indipendente”.
FOCUS AMBASCIATE
Il nuovo ambasciatore russo presso la Santa Sede presenta le credenziali
Lo scorso 18 settembre, Ivan Soltanovsky, nuovo ambasciatore russo presso la Santa Sede, ha presentato a Papa Francesco le lettere credenziali.
Il profilo di Soltanovsky è quello di un diplomatico di fiducia del Cremlino e vicinissimo al Patriarca di Mosca Kirill, che ebbe una serie di incontri al Consiglio d’Europa nel marzo 2019 proprio grazie all’allora rappresentante russo a Strasburgo Soltanovsky.
A novembre, la Russia ha formalizzato l’uscita dal Consiglio d’Europa, e così Soltanovsky si è trovato senza incarico. Quella del Cremlino non era, comunque, una mossa inaspettata, perché era già stata annunciata pochi giorni dopo l’inizio dell’aggressione.
Il nuovo ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede ha 68 anni, e si è laureato all’Istituto Statale di Mosca per le relazioni Internazionali, la fucina dei diplomatici russi. Soltanovsky è entrato nel servizio diplomatico dell’Unione Sovietica nel 1977, ed è stato assegnato negli anni ad ambasciate e consolati in Pakistan e India. Dal 1993 al 1996, Soltanovsky è stato consigliere presso il Dipartimento di Affari di Sicurezza e disarmo, e dal 1996 al 2000 è stato consigliere presso la missione all’OSCE di Vienna. Tornato come capo unità al Dipartimento affari di sicurezza e disarmo, dal 2003 al 2009 Soltanovsky viene nominato vice-rappresentante permanente alla NATO, dal 2009 al 2011 lavora come vicedirettore del Dipartimento della Cooperazione Europea, di cui nel 2011 viene nominato direttore. Dal 2015 al 2022 ha rappresentato mosca al Consiglio d’Europa.
In una nota diffusa dall’ambasciata russa presso la Santa Sede dopo la presentazione delle credenziali, “il Pontefice ha ribadito il suo rispetto della Russia, il suo popolo, cultura e storia.
Le Parti tra l'altro hanno affrontato la missione dell’inviato speciale di Papa Francesco, il cardinale Zuppi, mirata a risolvere alcuni problemi umanitari nel quadro del conflitto Ucraino e si sono espressi in favore di essa. É stata ribadita la volontà di proseguire il dialogo franco e aperto tra Russia e Santa Sede che è sempre caratterizzato di rispetto reciproco”.
FOCUS EUROPA
Papa Francesco a Marsiglia, le aspettative del Cardinale Parolin
Come ormai consuetudine, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha concesso una intervista a Vatican News alla vigilia della visita di Papa Francesco a Marsiglia per la sessione conclusiva degli Incontri del Mediterraneo. Gli Incontri, nati da una idea della Conferenza Episcopale Italiana, si sono tenuti finora a Bari nel 2020 e a Firenze nel 2022.
Nell’intervista, il Cardinale Parolin ha ricordato che “nel Mediterraneo il dibattito prevalente al momento è legato alla questione migratoria, dove emerge, al di là delle difficoltà, proprio la necessità di affrontare i problemi insieme e con visioni lungimiranti, non solo come emergenze del momento che ognuno tenta di approcciare seguendo i propri interessi particolari”.
Il cardinale ha aggiunto che “quando pensiamo al dramma dei migranti, occorre invece partire dalla priorità della dignità umana rispetto a ogni altra pur legittima considerazione, eludendo quel pensiero ideologico, contro il quale mette in guardia il Papa, che antepone le teorie, spesso propagandiste, alla realtà dei fatti”.
Il Segretario di Stato vaticano ha anche notato che “sebbene siano guerre, povertà e violenza a determinare la decisione di lasciare il proprio Paese, non possiamo dimenticare che esse sono causate da chi commette atti di violenza, da chi scatena i conflitti, da chi prende decisioni politiche che non hanno di mira il bene comune”.
Per il cardinale, il primo passo è dunque di “assumerci la responsabilità delle decisioni che prendiamo ogni giorno nelle nostre case, nelle nostre famiglie, fra amici, al lavoro, a scuola, nelle nostre società e nei nostri Governi”, poiché “le crisi, dunque, non sono casuali, ma questioni di scelte personali e collettive”.
Parlando anche dei nuovi sbarchi a Lampedusa, il Cardinale Parolin ha sottolineato che “coloro che si impegnano nel prendersi cura dei migranti e dei rifugiati, non possono essere lasciati soli ad affrontare queste situazioni senza il sostegno dei Governi. Hanno bisogno della solidarietà a livello nazionale e internazionale. Attualmente è in discussione più di un piano d’azione a livello politico. Non solo in Italia, ma anche in Europa. Mi vengono in mente sia i diversi progetti di sviluppo in Africa, sia il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo. È necessario che sul Patto si trovi un consenso il più presto possibile. Tutti i Paesi europei devono assumersi la responsabilità della situazione nel Mediterraneo insieme”.
Svizzera, le conseguenze diplomatiche dello scandalo degli abusi
È scoppiato la scorsa settimana lo scandalo degli abusi in Svizzera, a seguito di una ricerca indipendente degli archivi commissionata dai vescovi e portata avanti da storici dell’Università di Zurigo. Si parla di oltre mille casi di abuso negli ultimi anni, e alcune esperienze di insabbiamento. Al di là della crisi mediatica che ha fatto seguito ai risultati dell’inchiesta, vale la pena notare che la questione ha avuto anche ricadute diplomatiche.
L’arcivescovo Martin Krebs, nunzio in Svizzera, ha infatti fatto sapere che non potrà fornire accesso agli archivi della nunziatura a Berna, facendo riferimento alla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, valida in tutto il mondo, secondo la quale gli archivi delle ambasciate sono “inviolabili in ogni momento, ovunque si trovino”. si trovano." Krebs rifiuta anche l'accesso selettivo ai file che riguardano solo abusi.
Gli storici dell'Università di Zurigo hanno presentato la scorsa uno studio pilota sugli abusi sessuali nel contesto della Chiesa cattolica in Svizzera. Dalla metà del XX secolo sono stati identificati 1.002 casi, 510 imputati e 921 persone colpite. Tuttavia, alla luce delle precedenti ricerche nel campo oscuro, i due responsabili dello studio presumono che questa sia solo “la punta dell’iceberg”.
Il progetto pilota, commissionato tra l'altro dalla Conferenza episcopale svizzera, è stato il primo tentativo sistematico di documentare scientificamente gli abusi sessuali nella Chiesa cattolica in Svizzera. Entro tre anni seguirà uno studio completo.
A questo scopo sono da valutare numerosi altri archivi, tra cui gli archivi delle comunità religiose, i documenti dei comitati diocesani e gli archivi delle scuole, collegi e case cattoliche nonché gli archivi di Stato. Anche la nunziatura bernese ha chiesto l'accesso agli atti.
FOCUS ASIA
Armenia, la crisi in Nagorno Karabakh
Papa Francesco ha lanciato un appello al termine dell’udienza generale del 20 settembre, perché si trovasse una soluzione pacifica al conflitto in Nagorno Karabakh che era di nuovo scoppiato. L’Azerbaijan, infatti, appoggiato dalla Turchia, aveva lanciato una operazione anti-terrorismo nel territorio che ha l’antico nome armeno di Artsakh, lì dove da mesi l’unico passaggio che collega lo Stato non internazionalmente riconosciuto con la capitale armena Yerevan, il corridoio di Lachin, era stato bloccato.
Per l’Azerbaijan, quel corridoio non serviva solo al passaggio di vettovaglie, ma anche di armi e apparecchiature per favorire il terrorismo. L’operazione militare dell’Azerbaijan, che ha avuto luogo poco dopo che l’Armenia aveva cominciato ad approcciarsi alla NATO, nasce infatti ufficialmente come “operazione anti terrorismo”, e come risposta ad una presunta provocazione in una regione dell’Azerbaijan, dove una esplosione ha causato la morte di alcuni soldati azerbaijani ed è stata attribuita proprio a separatisti armeni.
L’Armenia ha deciso di trattare subito, e al momento ci sono circa 7 mila persone di origine armena che stanno lasciando il territorio, mentre si paventa il rischio che la straordinaria eredità cristiana della regione, già messa a dura prova, possa scomparire per sempre, in quello che gli armeni chiamano “genocidio culturale”.
Prima dell’appello di Papa Francesco, va segnalato l’appello del Catholicos Karekin II, che aveva subito dichiarato, attraverso il sito ufficiale di Etchmiadzin, espresso la sua “profonda preoccupazione” per le operazioni militari su larga scala contro l’Artsakh. “Con il falso pretesto di operazione antiterrorismo – aveva scritto – bombardano gli insediamenti pacifici dell’Artsakh, prendendo di mira la capitale Stepanakert”.
Karekin II aveva poi “condannato fermamente questa azione ostile dell’Azerbaijan e invitiamo tutte le strutture internazionali a frenare le autorità dell’Azerbaijan e rispondere adeguatamente alle sue azioni genocide”.
Il 19 settembre, una delegazione del Consiglio Mondiale delle Chiese, guidato dal segretario generale Jerry Pillay, è stata fino al ponte che connette il corridoio di Lachin al Nagorno Karabakh.
In un video messaggio, Pillay ha detto che “fino a poche ore fa, ci sono state delle sparatorie, e ci hanno detto che alcuni soldati sono stati effettivamente uccisi, e così non possiamo andare avanti.”
Pillay ha detto di aver deciso di non proseguire per evitare rischi, ma che poteva “chiaramente vedere che le strade non erano aperte né libere, e che non c’è passaggio per trasportare beni senza permesso”.
La delegazione del Consiglio Mondiale delle Chiese visitava l’Armenia per esprimere la sua solidarietà, studiare la situazione, definire i fatti e considerare con i leader locali e il popolo cosa l’organismo ecumenico può fare per affrontare la situazione.
Pillay ha detto che “c’è totale restrizione in termini di movimento, e questo ovviamente descrive la situazione delle persone. Siamo piuttosto sicuri che non molti beni hanno raggiunto la popolazione, e dunque è negato loro accesso a support umanitario a meno che questo non sia permesso. Siamo preoccupati, e vogliamo condividere la situazione con tutti”.
Il corridoio di Lachin è rimasto bloccato per nove mesi q, mettendo seriamente a rischio le condizioni di vita di 120 mila persone che vivono in Artsakh, inclusi i bambini.
La delegazione del Consiglio Mondiale delle Chiese includeva anche l’arcivescovo Vicken Aykazian, vicemoderatore; Rita Famos, presidente della Chiesa Protestante di Svizzera; Carla Khijovan, direttore esecutivo dei programmi per il Medio Oriente del Consiglio; il direttore della Commissione del Consiglio sugli affari internazionali Peter Prove; e Ani Ghazaran Drissi, direttore esecutivo dei programmi della Commissione Fede e Ordine.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il Gruppo dei Cinque in Vaticano
C’è stato un incontro in Vaticano tra il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e gli ambasciatori dei Paesi del Gruppo dei Cinque (Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Egitto, Qatar) che ha anticipato l’incontro che il gruppo avrà a New York, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il Cardinale ha discusso con loro il dossier presidenziale libanese e trovare soluzioni pratiche per risolvere la crisi, secondo Mtv Lebanon. Il cardinale Parolin è stato inviato speciale del Papa in Libano nel settembre 2020, quando il Papa, dopo l’esplosione al porto di Beirut dell’agosto di quell’anno che capitava nel mezzo di una grandissima crisi politica, aveva deciso di stabilire una giornata di preghiera per la pace in Libano. Papa Francesco aveva anche programmato un viaggio in Libano nel giugno 2022, da cui poi sarebbe passato a Gerusalemme per un incontro con il Patriarca di Mosca Kirill. Quel viaggio, e quell’incontro, non hanno mai avuto luogo.
La Santa Sede segue da tempo con attenzione la situazione in Libano. È possibile che la questione Libano sia sta nell’agenda dell’incontro tra Papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron. La Francia ha un inviato speciale in Libano, Jean-Yves Le Drian.
A Beirut, il Qatar ha messo in atto una iniziativa per sbloccare l’impasse presidenziale – perché il Libano è senza presidente dall’ottobre scorso.
L'Egitto, il Qatar, la Francia, l'Arabia Saudita e gli Stati Uniti formano il cosiddetto "Gruppo dei cinque" e lavorano dall’estate del 2022 per trovare una via d’uscita dalla crisi in Libano.
Il Cardinale Rai prende ancora la parola sulla crisi in Libano
Ancora una volta, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, ha preso la parola sulla crisi politica che imperversa in Libano, nazione senza presidente ormai dal 2020. Lo scorso sabato, il patriarca ha dichiarato che il problema del Libano risiede soprattutto nella mancanza di fiducia dei funzionari e del popolo nei confronti del proprio Paese, e che questa mancanza fiducia è dovuta soprattutto al fatto che i leader perseguano interessi egoistici.
Il Patriarca Rai, che si trova in visita in Australia, ha parlato nel corso di una cena nella parrocchia di Nostra Signora del Libano.
Il cardinale ha deplorato i funzionari che “non vogliono sedersi al tavolo per trovare una soluzione ai problemi del Libano. Nessuno di loro vuole perdere”. Quindi, ha ricordato che “resta l'elemento fondamentale menzionato nel preambolo della Costituzione, che stabilisce che il Libano è la patria ultima di tutti i suoi figli, ma purtroppo non tutti i suoi figli considerano il Libano come tale, e questo è una vergogna".
Secondo il Patriarca Maronita, la Chiesa ha il compito di ripristinare la fiducia perduta. “Come Chiesa, più che mai, abbiamo fiducia nel Libano e in tutto il popolo libanese. Stiamo lavorando diligentemente per ripristinare la fiducia tra tutto il popolo libanese”, ha detto.
FOCUS AMERICA LATINA
Il vescovo nicaraguense Álvarez ricorre al comitato diritti umani
Il vescovo Rolando Álvarez di Matagalpa, Nicaragua, arrestato ad agosto 2022 e condannato al carcere per aver minacciato l’integrità nazionale in un processo che è apparso molto irregolare ha fatto ricorso alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani con l’aiuto del gruppo internazionale di difesa della libertà religiosa Alliance for Defending Freedom (ADF).
Inizialmente, al vescovo era stato proibito di celebrare la Messa. Quindi è stato arrestato e incarcerato senza spiegazione, e infine condannato a 26 anni di prigione. Prima della sentenza, ha avuto l’opportunità di lasciare il Paese insieme ad altri esiliati politici.
Kristina Hjelrem, responsabile legale di ADF International in America Latina, ha sottolineato che “quanti si preoccupano per i diritti umani dovrebbero essere indignati per la crisi che soffrono le persone di fede in Nicaragua”.
A inizio del mese, un sacerdote che aveva pregato per il vescovo Álvarez è stato arrestato. Àlvarez ha stato privato dei suoi diritti di nazionalità e cittadinanza in virtù di una legge problematica, ed è stato condannato a 26 anni di prigione e una multa di quasi cinquemila dollari. Al momento, ha scontato sette mesi di prigione, senza alcun contatto con la sua famiglia e i suoi rappresentanti legali.
La Commissione Interamericana dei Diritti Umani e la Corte Interamericana dei Diritti Umani hanno già ordinato al Nicaragua di liberare il vescovo, ma i loro appelli sono rimasti nel vuoto. La Chiesa è sotto attacco del governo da quando sono cominciati i moti di protesta a seguito di una riforma delle pensioni nel 2018. Il regime di Ortega ha prima cercato di coinvolgere la Chiesa nel dialogo nazionale, e poi ha invece autorizzato ogni tipo di attacchi.