FOCUS PAROLIN
Parolin in Slovacchia, il discorso al Corpo Diplomatico e il programma finora
Il cardinale Parolin è in Slovacchia per una visita di tre giorni iniziata il 14 settembre con una serie di incontri nella capitale Bratislava e la benedizione di una statua che commemora l’evangelizzazione del Paese ad opera dei Santi Cirillo e Metodio, nel cortile del Castello.
Sempre il 14 settembre, il Cardinale ha avuto un incontro a porte chiuse con il corpo diplomatico.
Nel suo discorso, il Cardinale ha ricordato che si celebra il 30esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Slovacchia, ristabilite nel gennaio 1993, ma anche che Santa Sede e Slovacchia hanno relazioni di lunghissima data, marcate “dalla presenza secolare della cristianità nella regione, in particolare con l’arrivo dei Santi Cirillo e Metodio nel IX secolo”, e rafforzate dai tre viaggi di Giovanni Paolo II (1990, 1995 e 2003) e dal viaggio di Papa Francesco nel 2021.
Il Cardinale si è poi soffermato sulla guerra in Ucraina, cosa che non può far rimanere indifferenti, e che portato a un moto di solidarietà, anche da parte della Santa Sede, che lavora, sotto la leadership di Papa Francesco, per “promuovere percorsi di dialogo e pace”.
Oggi, ha detto il Cardinale, ci sono “molte guerre in molte altre aree del mondo e disastri naturali dovuti al cambiamento climatico”. Per questo, l’attuale stato degli affari globali “richiede una forte collaborazione della diplomazia bilaterale e multilaterale, per proteggere e preservare la nostra casa comune per le future generazioni”.
In una intervista con Vatican News concessa prima del viaggio, il Cardinale Parolin ha ricordato che la visita in Slovacchia era in programma da tre anni, rimandata per vari motivi, che però coincide oggi con tre anniversari: il ventesimo della beatificazione del Vescovo Vasil' Hopko e di Suor Zdenka Schelingova; il 30esimo anniversario anniversario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica Slovacca; e il 1160.mo anniversario dell'arrivo nella Grande Moravia dei Santi fratelli Cirillo e Metodio.
A questo si aggiunge il secondo anniversario del viaggio di Papa Francesco nel Paese, avvenuto tra il 12 e il 15 settembre, cosa che ha portato a scegliere questa data, nonostante sia a ridosso delle elezioni nazionali in Slovacchia, in programma il 30 settembre.
Il Cardinale Parolin ha detto anche che le dimensioni ridotte della Slovacchia “non le impediscono di apportare al mondo e alla sua trasformazione un contributo particolarmente significativo, legato alla sua ricca storia, alla sua cultura, all’eredità cristiana che la contraddistingue, al suo impegno in favore dei valori spirituali e della promozione del rispetto reciproco e della coesistenza civile e religiosa”.
Il Cardinale Parolin si è poi soffermato sulla testimonianza dei Santi Cirilli e Metodio, in particolare sul loro sforzo “di tradurre in linguaggio accessibile ai nostri contemporanei e, soprattutto, alle giovani generazioni, i contenuti della nostra fede. Tutto ciò esige una grande capacità di ascolto reciproco, che è la strada della sinodalità nella quale ci ha incamminati a Papa Francesco”.
Il 15 settembre, il Cardinale Parolin ha celebrato la Messa nel santuario Sastin, nel giorno del pellegrinaggio nazionale. Davanti a circa 30 mila persone, il Cardiale ha chiesto di “rendere grazie alla Madre di Dio e pregare per la pace nella vicina ucraina, per la rapida fine di questa guerra che causa distruzione e provoca migliaia di vittime innocenti”.
Il cardinale ha anche detto che la Santa Sede, a partire da Papa Francesco, apprezza molto il lavoro di accoglienza dei profughi ucraini. “Molte famiglie slovacche – ha detto – hanno aperto le loro case per dare rifugio ai loro fratelli e sorelle ucraini bisognosi e hanno dimostrato solidarietà esemplare”.
Il Cardinale ha anche invocato la Madonna dei Sette Dolori venerata a Sastin perché “ispiri nei cuori di tutti il senso di unità e il rispetto per le culture e le opinioni diversi”.
Arrivando a Košice, il Cardinale ha benedetto un Centro di Accoglienza per i profughi ucraini, accompagnato dall’arcivescovo Cyril Vasil. Il Segretario di Stato vaticano ha notato che “attraverso la carità, la Chiesa cattolica di rito latino e la Chiesa greco-cattolica hanno messo a disposizione personale e spazi per ricevere con amore fraterno chi ha attraversato il confine vicino, specialmente chi ne aveva bisogno”.
E – ha aggiunto – “è profondamente cristiano aiutare e servire chi ha bisogno. Tutti voi vi rendete conto di una cultura dell'incontro disinteressato e dell'accettazione fraterna in questo centro".
In serata, pregando i Vespri nella cattedrale di Santa Elisabetta, il Cardinale Parolin ha chiesto di affidare alla Madonna “i nostri bisogni, paure e speranze” e anche “le sofferenze di migliaia di nostri fratelli e sorelle profughi dall'Ucraina”.
Il Cardinale ha anche sostato in preghiera davanti la tomba del Cardinale Jozef Tomko, deceduto l’8 agosto 2022 e tumulato proprio nella cattedrale di Santa Elisabetta. È stato accompagnato dall’arcivescovo Bernard Bober di Košice, presidente della Conferenza Episcopale Slovacca, e dall’eparca Cyril Vasil.
Nella mattinata dal 16 settembre, il Cardinale è arrivato a Klokočov, sede di un santuario di venerazione mariana. La giornata è iniziata con un fuori programma, l’incontro con una coppia proveniente dall’Ucraina che è insieme da 53 anni e gli ha regalato un dipinto che raffigura Gesù nella preghiera del Giardino del Getsemani. Lo rende noto Martin Mráz, portavoce dell'eparchia di Košice.
Il Cardinale Parolin ad Andorra
Lo scorso 8 settembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato nel Principato di Andorra per celebrare il 150esimo anniversario della proclamazione di Nostra Signora di Meritxell a patrona del Paese.
Il cardinale ha celebrato Messa nel santuario di Nostra Signora di Meritxell, e nell’omelia ha indicato la forza dello sguardo di Maria che deve essere anche quello di una comunità “in grado di vedere quel che la malvagità non vuole far vedere” e di indicare ed accogliere gli scartati, gli umiliati, i poveri”, ma anche “fare spazio alla novità e il cambiamento.
È lo stesso sguardo dell’immagine di Meritxell, e per questo – dice il Cardinale – “non è casuale che il popolo abbia trovato in lei un punto di riferimento”.
Durante la visita, il Cardinale ha anche avuto una serie di incontri bilaterali. Andorra è un co-principato, retto da due principi, di cui uno è il vescovo di Urgell. Secondo la stampa andorrana, questa struttura non vacilla, e ci sarà un successore per il vescovo di Urgell Joan-Enric Vives quando questi lascerà.
Il cardinale lo ha sottolineato in una conferenza stampa congiunta con il capo del governo Xavier Espot, con la “liturgia” di una conferenza stampa di un vertice tra due Stati.
"Vogliamo che le cose continuino come sono state fino ad ora", ha detto Parolin, dopo sette secoli dalla creazione del co-principato, a trent'anni da quando il popolo andorrano ha adottato questo modello nella propria costituzione con il vescovo di Urgell e il Presidente della Francia come capi di Stato, e a quindici anni dagli accordi siglati tra la Santa Sede e Andorra. L'intervento del Capo del Governo si è mosso negli stessi parametri e nella volontà di mostrare piena collaborazione con il Vaticano.
Il Cardinale ha sottolineato che “da parte della Santa Sede sosteniamo pienamente il fatto che un vescovo sia il co-principe; vale a dire che condivida la funzione di capo dello Stato”. E ha aggiunto che “non c'è alcuna intenzione di cambiare l'ordinamento costituzionale del co-principato”.
In conferenza stampa, si è parlato anche della depenalizzazione dell’aborto in Andorra.
Parolin ha ricordato “come fondamentale” il principio del diritto alla vita e ha riconosciuto l'effetto che questo argomento può avere sulla stabilità istituzionale. Per questo l'ha definita “una questione molto delicata che va affrontata con discrezione e intelligenza”. E ha inquadrato questo problema in un processo in cui si sta “lavorando e approfondendo, in un dialogo che richiede tempo”.
Facendo bella mostra di ciò che si dice sull'alto livello della diplomazia vaticana, il cardinale Parolin ha affrontato anche la questione della successione dell'arcivescovo Joan-Enric Vives che dovrà dimettersi l'anno prossimo al compimento dei 75 anni.
Da un lato, Parolin ha spiegato che attualmente "il Papa di solito lascia il vescovo in diocesi ancora qualche anno" se non ci sono motivi che ne suggeriscano la sostituzione. Così ha considerato normale che la successione di Vives possa finire per essere prorogata. Ma ha anche assicurato che la formula del vescovo coadiutore, che sarà nominato presto ma non subentrerà finché il papa non accetterà le dimissioni di Vives, "mi sembra che sia una buona formula e penso che si seguirà questa strada".
In definitiva, il Segretario di Stato ritiene opportuna la nomina di un coadiutore, ma, se non dovesse accadere, nessuno si deve innervosire.
Nel suo saluto iniziale alla Messa, l’arcivescovo Vives ha fatto riferimento esplicito anche alla questione del co-principato. Ha ricordato che la Chiesa "è stata fondamentale per la sopravvivenza del sistema istituzionale che ha permesso ad Andorra di vivere per sette secoli come un Paese indipendente e neutrale".
FOCUS CINA
Il viaggio del Cardinale Matteo Zuppi in Cina
Durante il suo viaggio in Cina, il cardinale Matteo Zuppi ha potuto incontrare Li Hui, l’inviato speciale di Pechino per gli Affari Euroasiatici, mentre non sembra abbia avuto luogo l’incontro con il viceministro degli Esteri Deng Li, che era stato ventilato da fonti cinesi. Alla vigilia della partenza, avvenuta il 13 settembre, si parlava anche di un incontro tra il Cardinale Zuppi e il premier cinese Li Qiang, favorito anche dai buoni auspici del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Nemmeno questo incontro è avvenuto.
L’incontro avrebbe rappresentato una “prima volta”, perché mai un cardinale aveva potuto incontrare un primo ministro cinese. Sin dagli anni Ottanta, dal primo viaggio del Cardinale Roger Etchegaray, ci sono state visite di alti officiali vaticani in Cina, in un tentativo di dialogo costante. Di fatto, secondo alcune fonti, la Santa Sede ha anche fatto un tentativo, in passato, di avere un incontro tra il Segretario di Stato e il Primo Ministro, che non era andato a buon fine.
Il Primo Ministro cinese, infatti, non si occupa di affari religiosi né delle questioni umanitarie, che sono poi quelle sulle quali si concentra la missione di pace del Cardinale Zuppi.
Parlando da Berlino l’11 settembre, a margine dell’incontro internazionale delle Religioni per la Pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, il Cardinale Zuppi aveva sottolineato che “i tempi della Santa Sede e i tempi della Cina sono notoriamente molto lunghi”, ma aveva anche aggiunto che i percorsi di pace a volte sono “imprevedibili e hanno bisogno dell’impegno e del coinvolgimento di tutti e di una grande alleanza per la pace per spingere nella stessa direzione”.
Il cardinale aveva aggiunto che la pace “non è mai qualcosa che può essere imposta da qualcuno, deve essere la pace scelta dagli ucraini con le garanzie, l’impegno e lo sforzo di tutti”.
Dopo un intervento al Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, intervistato da Avvenire, il Cardinale Zuppi aveva anche sottolineato che “la pace è sempre possibile ma richiede uno sforzo incessante per sconfiggere le logiche, gli interessi e le ‘ragioni’ della guerra. La pace è una sorta di rammendo, un’opera di tessitura che ha necessità di molta conoscenza, intelligenza, libertà di interessi. Per questo c’è bisogno del concorso di tanti e qualche volta purtroppo anche di tempo per ricucire ciò che gli scontri, la polarizzazione, le semplificazioni pericolose e ignoranti, l’odio, la propaganda hanno lacerato”.
Il viaggio del Cardinale Zuppi avviene dopo le frizioni che c’erano state sull’interpretazione dell’accordo sulla nomina dei vescovi tra Santa Sede e Cina – Pechino per due volte ne aveva forzato lo spirito, nominando un ausiliare di una diocesi non riconosciuta e trasferendo unilateralmente un vescovo – e dopo la mano tesa di Papa Francesco a Pechino durante il suo viaggio in Mongolia.
Appena terminato il viaggio del Cardinale Zuppi, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha fatto sapere che la parte russa è pronta ad incontrare il Cardinale Zuppi e annunciato che questi tornerà presto.
“Il Vaticano – ha detto Lavrov – sta continuando i suoi sforzi. L’inviato papale tornerà presto in Russia. Siamo pronti ad incontrare tutti, siamo pronti a parlare con tutti”.
Lavrov ha anche ricordato che la Russia ha fatto incontri sull’Ucraina con rappresentanti turchi, che hanno anche idee differenti, e che la Russia apprezza anche gli sforzi non pubblici degli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita”, svoltisi soprattutto nello scambio di prigionieri di guerra.
Il Cardinale Zuppi, in una intervista a TV2000, ha detto che “l’apertura del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a parlare e incontrare l’inviato del Papa per la pace in Ucraina è importante perché la pace si fa dialogando e trovando gli spazi possibili e necessari. È sicuramente una dichiarazione positiva e va nella direzione auspicata da Papa Francesco”.
FOCUS MULTILATERALE
Nazioni Unite a Ginevra, l’arcivescovo Balestrero presenta la lettere credenziali
Il 12 settembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero, nominato lo scorso 21 giugno osservatore permanente della Santa Sede alla sede delle Nazioni Unite di Ginevra, ha presentato le sue lettere credenziali al direttore generale dell’ufficio ONU di Ginevra Tatiana Valovaya.
L’arcivescovo Balestrero era stato capo missione dal 2018 al 2019, e poi nunzio in Repubblica Democratica del Congo dal 2019 a quest’anno. Dal 2013 al 2018 era stato nunzio apostolico in Colombia. Ha ricevuto due viaggi di Papa Francesco, in Colombia e in Repubblica Democratica del Congo.
Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel luglio 1996, l’arcivescovo Balestrero ha prestato servizio, in particolare, presso le Rappresentanze Pontificie nella Repubblica di Corea e Mongolia (1996-1998) e nei Paesi Bassi (1998-2001), nonché presso la Sezione per le Relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede (2001-2009). È stato nominato Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati presso la Segreteria di Stato della Santa Sede nell'agosto 2009, dopodiché, nel febbraio 2013, è stato nominato Nunzio Apostolico in Colombia.
Santa Sede a Ginevra, contro le munizioni a grappolo
L’11 settembre, si è tenuto l’11esimo incontro degli Stati Parte sulla Convenzione sulle Munizioni a grappolo. La Santa Sede, che fu tra i principali negoziatori e tra i primi firmatari della convezione, ha apprezzato che la Nigeria ha finalmente ratificato la convenzione, mentre il Sud Sudan ha cominciato la procedura di adesione, sottolineando che ogni nuovo “Stato parte” della convenzione “rappresenta un rinnovato impulso a raggiungerne l’universalità, assicurandoci ulteriormente che ci saranno meno vittime in futuro e che quelle che sono stati tragicamente colpiti siano propriamente assistiti”.
C’è da ricordare che la Santa Sede, nel negoziare la convenzione nel 2008, fece introdurre appunto un diritto all’assistenza che era particolarmente innovativo nelle convenzioni internazionali, e che superava ogni tipo di barriera etnica o nazionale.
La Santa Sede, dunque, fa appello a tutti gli Stati di aderire alla convenzione, perché “fin quando le munizioni a grappolo continueranno ad essere usate, è particolarmente importante richiamare e tenere fermamente a mente i principi fondamentali della convenzione”, e questo significa “una inequivocabile riaffermazione del valore preminente ed inerente della dignità umana e la centralità della persona umana”.
La Santa Sede sottolinea che l’universalizzazione della convenzione “non è solo un componente opzionale, ma un obbligo legale”, perché “l’universalizzazione ha implicazioni dirette e conseguenze a lungo termine, in particolare in relazione all’assistenza delle vittime”, cosa che è “una delle principali ragioni per cui questa convenzione è stata stipulata”.
Da qui, anche l’appello della Santa Sede a tutte le parti del conflitto in Ucraina di “porre immediatamente fine all’uso delle munizioni a grappolo”, con la convinzione che “i semi di pace si trovano nel dialogo sincero e nell’applicazione della legge internazionale, inclusa la legge umanitaria internazionale”.
Insomma, sottolinea la Santa Sede, “l’eredità mortale delle munizioni a grappolo rappresenta una pungente sconfitta del popolo innocente che soffre dalla crudeltà del conflitto, ma anche per gli obiettivi dello sviluppo umano integrale e la conservazione della stabilità e della pace”.
La Santa Sede ha anche sottolineato che “l’assistenza delle vittime diventa una responsabilità condivisa” e per questo “il ritardo o il fallimento di uno Stato parte è il fallimento di tutti”, che va poi misurato in termini di “vite umane perse a causa di una ritardata assistenza alle vittime”.
Allo stesso modo, il successo di uno è il successo di tutti, e per quello la Santa Sede si congratula con quanti stanno procedendo alla distruzione dei loro arsenali. La Santa Sede apprezza anche “l’impegno e generosità” di alcuni Stati parte “nell’assistere le vittime delle munizioni a grappolo attraverso la cooperazione internazionale e l’assistenza”.
In vista – si legge nel discorso – “dell’allarmante crescita del numero di vittime, è sincera speranza della Santa Sede che possiamo continuare con più grande vigore nel nobile percorso della difesa della dignità e della vita umana”.
Santa Sede a Ginevra, come sviluppare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Appena dopo aver presentato le sue credenziali, il 13 settembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero è intervenuto alla 54esima Sessione del Consiglio dei Diritti Umani, ricordando che quest’anno si celebrerà il 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, una pietra angolare del sistema multilaterale sistema fondata sulla convinzione che “tutti gli esseri umani sono liberi ed eguali in dignità. Sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fratellenza”.
Il rappresentante della Santa Sede nota che “è triste” che questa convinzione sia state inclusa nella dichiarazione dopo la devastazione e la perdita di milioni di vite nella Seconda Guerra Mondiale, così come è “ancora più tragico” che ancora oggi, dopo 75 anni, c’è ancora chi soffre per la guerra, il conflitto, la carestia, il pregiudizio e la discriminazione.
Insomma, il principio di fraternità viene messo da parte, e chi è debole viene marginalizzato.
Per questo, la Santa Sede sottolinea che il 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione dei Diritti Umani offre una “importante opportunità di riflettere in questi principi fondamentali” alla base della protezione dei diritti umani, perché la Dichiarazione è “prima di tutto universale”, e questo significa non solo che “ogni persona debba essere rispettata”, ma implica anche che “ogni persona sia valutata per il contributo unico che portano nella società”.
L’arcivescovo Balestrero nota che la “sono spesso i più poveri ad essere marginalizzati”, come migranti e rifugiati, anziani, malati non nati e poveri, e per questo c’è bisogno di adottare “una opzione preferenziale per i poveri e i marginalizzati, per sostenere i loro diritti universali e aiutarli a fiorire e contribuire al bene comune”.
La Santa Sede nota anche che i diritti della dichiarazione pre-esistono ogni documento, e dunque “i valori della Dichiarazione devono essere rispettati per tutti i popoli in ogni tempo”, perché “rappresentano quei valori oggettivi e senza tempo che sono essenziali per il fiorire della persona umana”:
Questo dato significa anche che “i cosiddetti nuovi diritti non acquisiscono legittimità semplicemente perché una maggioranza di individui o di Stati li asserisce”, come succede ad esempio con il diritto all’aborto, che ha portato a terminare circa “73 milioni di vite umane innocenti”.
La Santa Sede critica l’approccio positivista che potrebbe definire i diritti umani come “un set di libertà accordate ad ogni individuo, e perciò con un corrispondente set di limiti imposti ad altri per il rispetto dei diritti”, perché questo “riduce l’interazione umana ad una forma di individualismo”.
Invece, i diritti umani vanno radicati “nella nostra comune dignità umana”, cosicché i diritti siano “una espressione della fraternità umana”, e la loro promozione sia “fonte di unità, piuttosto che un decadente predatore di individualismo egoista e divisione”.
La Santa Sede a Ginevra, la questione dell’acqua potabile
Il 14 settembre, la Commissione per i Diritti Umani di Ginevra ha ospitato un “dialogo interattivo” con il Relatore Speciale dei Diritti Umani ad acqua potabile sicura e la sanificazione.
L’arcivescovo Balestrero, Osservatore Permanete della Santa Sede a Ginevra, ha condiviso la preoccupazione del relatore sul fatto che circa 2 miliardi di persone nel mondo non hanno regolare accesso ad acqua potabile, e notato che è ancora più sconfortante “il fatto che la maggioranza di queste persone mancano di accesso all’acqua e alla sanificazione a causa di situazioni umane, come per esempio “pratiche minatorie tossiche, irrigazione non sostenibile o sovrasfruttamento di falde acquifere”.
Ma, nota la Santa Sede, l’accesso ad acqua potabile sicura è “un diritto umano universale”, perché essenziale alla sopravvivenza umana. Eppure, troppo frequentemente, la gestione dell’acqua “non è basata sull’assicurare rispetto per questo diritto per tuti, ma piuttosto guidato da interessi economici di pochi”.
La Santa Sede sottolinea che “solo attraverso gli sforzi concertati di tutti gli stakeholders, in uno spirito di solidarietà internazionale, la comunità internazionale potrà assicurare la disponibilità, accessibilità e sostenibilità di acqua potabile e impianti di sanificazione per tutti”.
L’arcivescovo Balestrero nota anche che “ogni Stato deve implementare, anche attraverso strumenti giuridici, le risoluzioni approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sin dal 2010 riguardo il diritto umano di una fornitura sicura di acqua potabile”.
FOCUS EUROPA
90 anni di Reichskonkordat
Il 10 settembre ha compiuto 90 anni il Reichskonkordat, l’accordo tra l’allora Germania nazista e la Santa Sede. L’accordo fu siglato il 20 luglio 1933, ed entrò in vigore il 10 settembre 1933. L’accordo fu firmato dal vice cancelliere tedesco Franz von Papen, che sarà poi un aiuto importantissimo del legato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli in Turchia durante la guerra nelle operazioni di salvataggio degli ebrei, e il Cardinale Eugenio Pacelli, già nunzio in Germania e Segretario di Stato vaticano al tempo, che sarebbe poi diventato Papa Pio XII.
Pacelli aveva anche seguito i Patti Lateranensi tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, lavorando come principale negoziatore per il Vaticano con il governo di Mussolini durante le trattative.
Il Concordato con il regime nazista che stabiliva il suo controllo sul Paese era necessario, per la Santa Sede, allo scopo di avere “un pezzo di carta” per difendere i cattolici sul territorio. Non è un caso che la libertà religiosa è tra i punti chiave del Reichskonkordat, garantendo questo diritto ai cattolici tedeschi, i quali potevano anche praticare liberamente la loro fede, mantenendo le istituzioni cattoliche come le scuole cattoliche e le organizzazioni ecclesiastiche.
Il concordato ribadiva anche l’indipendenza della Chiesa Cattolica in Germania, sottolineava che il governo non poteva interferire nelle questioni ecclesiastiche, esentava dalle tasse le istituzioni cattoliche tedesche, come le scuole e gli ospedali.
L’accordo riconosce anche i diritti dei vescovi, e la loro autorità su questioni di fede e morale nella Chiesa, nonché la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici sulla Chiesa Cattolica in questioni di fede e morale e la protezione dei sacerdoti cattolici e vietava il loro arresto o detenzione arbitrari da parte delle autorità statali.
Il Concordato rispondeva a situazioni difficili, a partire dal Kulturkampf di Otto von Bismarck a fine XIX secolo, laddove nei lander più protestanti i cattolici si sentivano sottoposti a forme di discriminazione. Il concordato serviva anche a prevenire Hitler dal promulgare leggi restrittive contro la Chiesa Cattolica.
Tuttavia, molti critici ritennero che la Chiesa avesse accettato compromessi con il regime nazista, evitando di affrontare direttamente le violazioni dei diritti umani e le politiche antisemite che erano già attive a partire dal 1933.
L’accordo, in realtà, non riguardava quelle situazioni. Era un accordo tra Santa Sede e Stato tedesco, riguardava il ruolo e la difesa dei cattolici. Studi del diacono Dominiek Oversteyns hanno piuttosto mostrato le centinaia di riferimenti critici e persino opposizioni al nazismo del Cardinale Pacelli e di Pio XII, che dimostrano piuttosto una corretta valutazione del problema e denotano anche un certo coraggio nel denunciare le problematiche.
La COMECE prende una posizione contro il regolamento SOHO
In un comunicato congiunto, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) e il Katholisches Büro di Berlino hanno lanciato l’allarme riguardo il “Regolamento sulle norme di qualità e sicurezza per le sostanze di origine umana destinate all’uso umano”, noto anche come Regolamento SoHO.
Le due organizzazioni esprimono “preoccupazione” per quelle che possono essere le potenziali conseguenze dell’ampia definizione di ‘sostanza umana’ delineata nella bozza, che potrebbe includere embrioni e feti umani”.
I due organismi notano che il progetto potrebbe tracciare una nuova strada alla futura discussione sulla vita umana prenatale nel diritto europeo sui trapianti e sul settore farmaceutico, e questo potrebbe sollevare “numerose questioni di conflitto etico e costituzionale negli Stati membri dell’UE”.
Comece e Katholisches Büro sottolineano di essere “convinti, insieme a molti altri e per molteplici ragioni, che la vita umana fin dalle origini, compresa la vita non ancora nata, possiede una dignità propria, un diritto e un diritto autonomo di protezione…”.
Padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della COMECE, ha sottolineato in un comunicato che il pericolo “sta nella possibilità che una tale definizione possa sminuire la dignità e il valore della vita umana, creando un’equivalenza inaccettabile tra embrioni e feti e semplici cellule della pelle o plasma sanguigno”.
Gli interrogativi riguardano in particolare l’articolo 58 del progetto, che – se approvato – “consentirebbe e imporrebbe test genetici preliminari su embrioni e feti, aprendo potenzialmente la strada alla selezione della vita e sollevando preoccupazioni sulla compatibilità con il diritto all’autodeterminazione sia dei donatori che dei riceventi”.
Comece e Katholisches Büro di Berlino chiedono che gli Stati membri dell’Unione Europea mantengano il diritto di “regolamentare questo ambito altamente etico”, dando la possibilità a ciascuno Stato membro di rifiutare l’autorizzazione di un preparato SoHo e il suo riconoscimento”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il blitz di Kildani a Roma per la photo opportunity con il Papa
Alla fine, è arrivato un chiarimento della Sala Stampa della Santa Sede, con una dichiarazione del direttore, che diceva che no, il Papa non aveva concesso udienza ad Al Kildani, il promotore delle Brigate Babilonia, e considerato dal Cardinale Rafael Sako, il promotore del ritiro del decreto presidenziale che avrebbe tolto una personalità giuridica alla Chiesa caldea in Iraq. Sako, per protesta contro il ritiro del decreto, ha spostato il patriarcato ad Erbil, in Kurdistan, mentre il presidente iracheno, di fronte alle varie proteste, ha comunque sottolineato che il diritto di proprietà dei beni della Chiesa è garantito dalla Costituzione dell’Iraq.
Una situazione difficile e controversa, resa ancora più difficile dalla presenza di al Kildani all’udienza generale di Papa Francesco lo scorso 6 settembre.
Dopo che l’incontro con il Papa era stato utilizzato in maniera strumentale, la Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso una dichiarazione del direttore Matteo Bruni, in cui si legge che: “Durante l’Udienza Generale in Piazza San Pietro del 6 settembre scorso, Sua Santità Francesco ha salutato alcune persone presenti, come avviene di consueto. Tra di esse vi era anche un gruppo di iracheni con il Sig. Rayan Al-Kildani, con il quale c’è stato un breve saluto di circostanza”.
Nessun appoggio, insomma, alla politica di al Kildani, e nessuna presa di posizione della Santa Sede riguardo quella che resta comunque una questione interna dello Stato iracheno.
Il blocco in Nagorno Karabakh, gli appelli per la fine del blocco
Sono mesi, ormai, che l’unica via di accesso per il Nagorno Karabakh dalla capitale armena Yerevan è bloccato da un gruppo di attivisti ecologici. Non possono, dunque, arrivare vettovaglie e medicinali alla popolazione della zona contesta tra Armenia e Azerbaijan, e oggetto di un continuo conflitto che ha portato ad una guerra due anni fa risoltasi con una pace dolorosa per l’Armenia.
L’Azerbaijan rivendica il territorio come suo, ne fa risalire la storia ad una presenza della etnia “albaniana” già secoli fa, lamenta che l’Armenia ha distrutto l’eredità azerbaijana del territorio da quando ne ha preso il controllo. Dopo aver vinto la guerra, gli azerbaijani hanno sottolineato di voler trattare gli armeni come cittadini alla pari, sottolineano l’opera di ricostruzione messa in atto nei territori occupati, lamentano invece l’attivismo anti-azerbaijano.
Nel 2020, l'Azerbaigian ha conquistato parti significative della regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Armenia e Azerbaigian. Dal dicembre 2022, l’Azerbaigian ha bloccato l’unico collegamento stradale (corridoio Lachin) tra l’Armenia e la restante parte del Nagorno-Karabakh controllata dagli armeni, e da metà giugno 2023 non è stata consentita alcuna consegna di aiuti. Nel Nagorno-Karabakh resistono ancora circa 120.000 persone, tra cui circa 30.000 bambini. Secondo i media, i primi residenti sono già morti di fame e di malattie secondarie. Il 95% della popolazione muore di fame, l’assistenza medica è al collasso e non c’è elettricità, benzina o diesel. Anche l’acqua è scarsa.
Il blocco del corridoio di Lachin è parte di questo conflitto. Secondo gli azerbaijani, gli armeni facevano passare anche armi attraverso i trasporti delle vettovaglie, e dunque era necessario bloccare il corridoio. La comunità internazionale, però, ha fatto continui appelli perché l’Azerbaijan ripristinasse la normale viabilità del corridoio, che per ora viene percorso solo dagli aiuti umanitari della Croce Rossa.
Il 6 settembre, è stato il metropolita Isaac Barakat, capo dei credenti greco-ortodossi appartenenti al Patriarcato di Antiochia in Germania e Austria, a redigere un appello urgente al governo dell’Azerbaijan affinché aprà il corridoio di Lachin.
Il metropolita ha chiesto che l’accesso umanitario sia “immediatamente reso possibile”, perché la dignità fondamentale di “ogni essere umano, indipendentemente dalla sua origine e credo, richiede che lavoriamo per difendere i diritti umani e i valori umanitari”.
Nel suo appello, il metropolita ha invitato la comunità internazionale a lavorare per ripristinare l’accesso al corridoio di Lachin, facendo “tutto ciò che è in suo potere per alleviare la sofferenza delle persone”.
Solo pochi giorni fa Jasmin Dum-Tragut, esperto di Armenia salisburghese e consulente di “Pro Oriente”, aveva avvertito che le 120.000 persone intrappolate nell’enclave armena del Nagorno-Karabakh non devono diventare vittime o danni collaterali della guerra in Ucraina.
Lunedì anche il Consiglio d’Europa ha chiesto il libero accesso alla popolazione del Nagorno-Karabakh. L'Azerbaigian deve riaprire il corridoio Lachin, ha chiesto a Strasburgo la commissaria per i diritti umani Dunja Mijatovic, avvertendo anche della necessità che Armenia e Azerbaijan compiano sforzi per procedere verso la riconciliazione.
Nel 1991, la repubblica autonoma dell'Artsakh (Nagorno-Karabakh), popolata da armeni, situata all'interno dell'Azerbaigian, si è dichiarata indipendente. La prima guerra del Karabakh che seguì durò fino al 1994 e si concluse con un cessate il fuoco. Le milizie dell'Artsakh riuscirono a preservare la maggior parte della piccola repubblica con la storica capitale Stepanakert e, in collaborazione con l'esercito armeno, portarono sotto il loro controllo anche sette province azere tra il Nagorno-Karabakh e l'Armenia, chiudendo così il collegamento tra l'Artsakh e l'Armenia. Repubblica Armena per garantire. Tuttavia, la Repubblica dell’Artsakh non è mai stata riconosciuta a livello internazionale.
FOCUS AMERICA LATINA
I vescovi del Messico protestano contro la legge che depenalizza l’aborto
I vescovi del Messico hanno reagito duramente alla sentenza della Corte Costituzionale messicana che ha depenalizzato l’aborto in tutto il Paese. L’arcivescovo Rogelio Cabrera, presidente della Conferenza Episcopale del Messico, ha affidato ad una nota la sua indignazione, sottolineando che “ogni vita umana ha dignità dal concepimento alla morte naturale e indipendentemente dalle sue condizioni e contingenze”.
Inoltre, ha aggiunto, la depenalizzazione dell’aborto senza una previa attenta considerazione e discussione locale mina “le fondamenta di uno Stato costituzionale democratico”.
La sentenza della Prima Camera della Corte Suprema è arrivata due anni che la Corte aveva ordinato allo stato settentrionale di Coahuila di rimuovere le sanzioni per l'aborto dal suo codice penale, decisione che ha dato luogo a una serie di battaglie legali in molti stati. La decisione ha segnato una grande vittoria per il Gire, Grupo de Informaciòn en reproduccion elegida un'organizzazione per i diritto alla procreazione con sede a Città del Messico, che ha portato avanti il caso contro lo stato messicano.
Secondo i vescovi del Messico, la scelta della Corte non ha, di fatto, depenalizzato l’aborto nel Paese invalidando gli articoli che lo consideravano reato, cosa che significa che i Parlamenti locali non sarebbero obbligati a depenalizzare l’aborto nei rispettivi codici penali.
I vescovi messicani denunciano che i giudici della Camera Alta hanno dato "interpretazione forzata dei diritti umani senza tenere conto degli strumenti nazionali e internazionali che tutelano il diritto alla vita come diritto universale".
Si tratta, si legge ancora nella nota, di “un passo indietro giuridico e democratico” effettuato da parte di un organismo che dovrebbe “vigilare sulla giustizia, il diritto e la pace sociale”, e invece ha contribuito alla “polarizzazione della società”, provocando “ulteriori crepe nel tessuto sociale”.
I vescovi sottolineano che, con la depenalizzazione dell’aborto, si andrebbe a normalizzare la “cultura dello scarto”, mettendo a rischio responsabilità della cura e della protezione della vita umana, perché la protezione della vita “non è responsabilità solo della donna incinta, ma di tutta lo società”.
Per i vescovi, non serve riconoscere legalmente la pratica dell’aborto per riconoscere che ci sono delle circostanze attenuanti, anche perché “l’aborto indotto non sarà mai un’opzione morale o legittima”.
I vescovi si rammaricano anche della “violenza sistematica perpetrata contro le donne”, che deve essere esclusa “attraverso norme e leggi veramente giuste”, perché “violenza e discriminazione non possono essere combattute con altra violenza e discriminazione”, ma piuttosto con “aiuti migliori per le famiglie, le madri single, i bambini orfani o abbandonati”, e anche “un’educazione sessuale completa e sforzi per la genitorialità responsabile”.