Markowa , sabato, 9. settembre, 2023 17:00 (ACI Stampa).
Perché la famiglia Ulma è una famiglia martire? Perché “ha difeso la radice da cui Cristo è nato”. E questa radice è la custodia di due famiglie ebree, consapevoli che la pena per l’aver nascosto quelle persone, in quella zona della Polonia, era solo la morte. Uccisi in odio alla fede, dunque, anche se nessuno ha chiesto loro di abiurare. Uccisi in odio alla fede perché hanno dimostrato di essere davvero cristiani, come dimostrava la parabola del Buon Samaritano cerchiata in rosso nella loro consumata Bibbia casalinga, accompagnata da una parola: Sì.
Un passo indietro, per ricordare la storia. Jozef e Wiktoria Ulma, con i loro sei figli, e un settimo in arrivo, vivono a Markowa. È un villaggio di qualche migliaio di persone, con una parrocchia, dedicata a Santa Dorotea, e molta vita contadina. Si trova nell’arcidiocesi di Przemyśl. Quando i nazisti occupano il territorio, stabiliscono che chiunque nasconderà ebrei sarà punito con la morte.
Gli Ulma, però, fedeli alla loro vocazione evangelica, decidono di nascondere nella loro piccola casa due famiglie di ebrei.
Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, le SS, dopo una soffiata, circondano la loro casa. Uccidono le due famiglie di ebrei custoditi e poi, uno ad uno, tutti i membri della famiglia, dal più grande al più piccolo, inclusa Wiktoria, incinta in stato avanzato di gravidanza. Seppelliti in una fossa arrangiata, saranno poi posti in alcune bare, e sarà allora che si scoprirà che il bambino che Wiktoria portava in grembo aveva in qualche modo cercato di nascere, la sua testolina sporgeva. La loro causa di beatificazione, cominciata nel 2003, è la prima causa di beatificazione per martirio di una famiglia intera, e include il bambino che non era ancora nato, ma che si considera aver ricevuto il battesimo del sangue con il battesimo del sangue.
Inizialmente, spiega il Cardinale Semararo, il gruppo scelto per la beatificazione era di mamma, papà e sei figli, perché “il bambino non aveva ancora visto la luce”. Ma “lo studio della causa ha fatto notare che nelle testimonianze si diceva che chi ha veduto il corpo della mamma uccisa, ha visto che il bambino aveva già visto la luce anche se non ancora completamente. Ma noi non parliamo come dei medici, come degli specialisti, parliamo con un linguaggio umano. E dunque il bambino aveva visto la luce, veniva alla luce nel momento in cui la mamma era barbaramente uccisa”.