Papa Francesco va oltre, e chiede a tutti di parlare del proprio credo, perché “in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti”. Una puntualizzazione precisa, che risente anche di alcune difficoltà che hanno vissuto gli uomini di fede in uno Stato che ha ereditato anche settanta anni di socialismo reale e ateismo.
Papa Francesco conferma che la Chiesa cattolica crede “fermamente nel dialogo ecumenico, interreligioso e culturale” ed ha una fede fondata “sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo”, che offre “ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire”.
“Il dialogo, infatti – chiosa Papa Francesco - non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco”.
Conclude il Papa: “Abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina”. E allora siamo chiamati a far sì “che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non siano vani”.
L’omelia di Papa Francesco
Nell’omelia del pomeriggio, nella Steppe Arena, Papa Francesco si sofferma su due temi: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta.
La prima va riconosciuta. Il salmista “grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto”, e le sue parole “hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia e di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto”.
Papa Francesco sottolinea che molti “sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare”, e in effetti – aggiunge – “tutti siamo nomadi di Dio, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore”.
Il deserto è dunque “la nostra vita”, perché “siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci”.
Papa Francesco sottolinea che ci portiamo “dentro una sete inestinguibile di felicità”, alla ricerca di un significato, ma soprattutto “di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita”. E la fede cristiana “risponde a questa sete, la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati”.
Questa sete “apre al Dio vivente, al Dio amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra noi”.
Qui entra in gioco “l’amore che disseta”, ovvero “il contenuto della fede cristiana”, perché “Dio, che è amore, nel suo figlio Gesù si è fatto vicino a te, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità”.
E se è vero che “a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua”, è “altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità”.
Papa Francesco sottolinea che questa è l’acqua che ci offre Gesù, e richiama a Sant’Agostino, alla sua spiegazione del Signore che disseta nel deserto, parole che richiamano la storia della Mongolia, perché “nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza”.
La Parola – aggiunge il Papa – “sempre ci riporta all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente”. Papa Francesco ricorda che nel Vangelo del giorno, Pietro non accetta che Gesù dovrà attraversare la Passione e la croce, e prova convincere Gesù che si sbaglia, perché il Messia non può finire sconfitto. Gtesù però lo rimprovera perché pensa “secondo il mondo” e non secondo Dio. Chiosa Papa Francesco: “Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima”. La via indicata da Gesù è quella invece di rinnegare se stesso, perché “chi perdere la propria vita per causa mia, la troverà”.
Allora, dice il Papa, “la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente e straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene”.
Gesù, rimarca Papa Francesco, vuole svelare così alla terra di Mongolia che “non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici. Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia”. È la via indicata da Gesù a tutti noi, di diventare discepoli e non pensare secondo il mondo, perché così “potremo camminare sulla via dell’amore”, anche quando “amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità”.
Perché – conclude Papa Francesco - se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza, piena di amore e di gioia, per l’eternità.
Alla fine della Messa, il Papa ringrazia il popolo di Mongolia, dice di aver approcciato il viaggio con molte aspettative e con il desiderio di incontrare il popolo di Mongolia, e invita ad “andare avanti, gentilmente e senza paura, consapevoli della vicinanza e dell’incoraggiamento dell’intera Chiesa”.
Il Papa ha ringraziato anche i vescovi e le delegazioni governative e le altre confessioni religiose, auspicando che si possa continuare a crescere sempre più vicini in fraternità, come “semi di pace in un mondo tragicamente devastato da troppe guerre e conflitti”.
Ma prima dei ringraziamenti, dopo aver ricevuto i ringraziamenti e il dono del Cardinale Marengo, chiama a fianco a sé il vescovo Chow di Hong Kong e il Cardinale John Tong Hon, emerito. E ha detto: "Voglio approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo di cinese. A tutto il popolo auguro il meglio e andare avanti, progredire sempre. Ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini.
These two brothers bishop are the bishop emeritus of Hong Kong and the bishop of Hong Kong
I want to take advantace of their presence to send a warm greetings to the noble Chinese people. To all the people I wish the best and to go on, to always progress. I ask Chinese Catholics to be good Christians and good citizens