Roma , lunedì, 14. agosto, 2023 14:00 (ACI Stampa).
Il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunta, nel campo di concentramento di Auschwitz, al Blocco 11, con una iniezione di acido fenico, un uomo che aveva impresso sul petto il numero 16670 veniva ucciso. Quell’uomo si chiamava Massimiliano Kolbe. Era un frate conventuale francescano e diverrà santo. Il religioso polacco rappresenta una delle più belle figure di santità del secolo scorso. Visionario per diversi aspetti (importante la sua diffusione della devozione mariana grazie alla carta stampata e addirittura la radio); pioniere del Messaggio evangelico fino al Giappone, terra da lui amata e vissuta; martire perché donò la vita in quel campo di concentramento nazista, prendendo il posto di un padre di famiglia, Franciszek Gajowniczek che nel processo di canonizzazione, rilasciò una testimonianza nella quale vedeva il santo polacco dire a Hans Bock, capoblocco dell'infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l'iniezione mortale nel braccio: “Lei non ha capito nulla della vita. L'odio non serve a niente. Solo l'amore crea!”. Le ultime parole di San Massimiliano Kolbe, porgendo il braccio all’iniezione letale, furono: “Ave Maria”. Ma facciamo un passo indietro, cercando di comprendere da dove era venuto quel frate: quale le sue origini? che tipo di bambino era? come arrivò ad essere religioso francescano? E per rispondere a queste domande, AciStampa ha intervistato un testimone d’eccezione: è padre Raffaele Di Muro, Preside della Facoltà Teologica San Bonaventura-Seraphicum di Roma e direttore della cattedra kolbiana della stessa istituzione universitaria. Padre Di Muro è inoltre autore di innumerevoli saggi su Kolbe.
Padre Raffaele, partiamo proprio dai primi anni di vita di Massimiliano, o meglio di Raimondo, questo il nome prima di prendere i voti. Quali sono i primi passi di Raimondo? Da dove nasce questa sua spiritualità così ricca?
Raimondo Kolbe nasce a Zduńska Wola, un piccolo paesino non lontano dalla capitale della Polonia, Varsavia. E’ l’8 gennaio del 1894. Fin da picccolo Raimondo respira nella sua famiglia - i genitori sono Julius Kolbe e Maria Dąbrowska, di lavoro facevano i tessitori - una religiosità piena, molto ricca. La casa dove abita il piccolo Raimondo è molto modesta, di legno, come vuole la migliore tradizione polacca. E’ una casa a due piani e ancora oggi è possibile visitarla: al primo piano c’è il laboratorio tessile con i telai e tutti gli strumenti di lavoro; il secondo, invece, ha un’unica stanza da letto. I genitori erano terziari francescani e si narra che tutti e due, in giovane età, avessero pensato di sposare la vita religiosa. Poi, invece, le due rispettive famiglie d’origine decisero diversamente facendoli convolare a nozzde. Un desiderio, il loro che, in fondo, potremmo dire sarà quasi un’eredità spirituale per i loro tre figli (tre, almeno sono quelli che sopravviveranno): Francesco, il primo; il secondo, Raimondo, e poi viene Giuseppe. Tutti e tre saranno frati. Francesco e Raimondo entreranno in convento insieme. Poi saranno seguiti da Giuseppe. Tutto ciò riesce a darci l’idea di quanto fosse santa questa famiglia.
Nei primi anni di Raimondo, troviamo un episodio biografico che potremmo definire “un seme” di quella che sarà poi la sua santità. A dieci anni, infatti, Kolbe ha la visione dell’Immacolata: può raccontarci come andò quest’episodio così determinante nella vita del santo polacco?
Il racconto è della madre, Maria Dąbrowska, che depositò come testimone al processo di canonizzazione. San Massimiliano Kolbe non ci lascia nulla di scritto in merito a ciò. Quando avvenne l’episodio, Kolbe aveva all’incirca dieci anni. All’epoca, la famiglia si era trasferita in un altro piccolo paese della Polonia, Pabianice.Qui, vi era una chiesetta dedicata a San Matteo. La casa dei Kolbe non era molto lontana dalla piccola chiesetta. In questa parrocchia è presente un bellissimo altare dedicato all’Immacolata: un quadro bellissimo è posto sopra l’altare. Bisogna premettere un fatto: il piccolo Raimondo, dei tre figli, era il più vulcanico, il più irrequieto. Era così vispo tanto che la madre, un giorno, quasi esasperata dal suo comportamente gli disse: “Che ne sarà di te, piccolo Raimondo?”. Davanti a questa domanda, il piccolo rimase un po’ male. Lo prese, ovviamente, come un aspro rimprovero e così andò a piangere proprio in quella chiesetta vicino casa. E fu proprio qui che avvenne la visione dell’Immacolata recante due corone: Lei, la Vergine, offriva la possibilità di scegliere fra due corone che aveva in mano. Una rossa, il martirio; l’altra bianca, la purezza, la castità. Kolbe accolse entrambe: ovviamente non sapeva cosa stava facendo, cosa avesse scelto. L’episodio lo racconterà alla madre che aveva compreso quale sarebbe stata la vita del figlio: “custodì tutte queste cose nel suo cuore”, così come la Vergine con Cristo. Solamente nel momento del processo racconterà tutto.