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Papa Francesco, “Non c’è un amore astratto, l’amore è concreto, si sporca le mani"

È il giorno delle confessioni, è il giorno in cui Papa Francesco incontra le Caritas locali. Tre organizzazioni, tre linee guida

Papa Francesco, Lisbona | Papa Francesco al Centro Social Paroquial São Vicente de Paulo, Lisbona, 4 agosto 2023 | Daniel Ibanez / ACI Group Papa Francesco, Lisbona | Papa Francesco al Centro Social Paroquial São Vicente de Paulo, Lisbona, 4 agosto 2023 | Daniel Ibanez / ACI Group

Papa Francesco consegna alle associazioni caritatevoli della diocesi di Lisbona tre linee guida, tre indicazioni per portare avanti il loro lavoro: “Fare bene insieme”, “Agire concretamente”, “stare insieme ai più fragili”. Ma consegna il discorso dopo averlo letto a metà, in cui c’era anche la storia di San Giovanni di Dio come esempio, perché “i riflettori non funzionano”, e dunque non poteva più leggere. Il discorso, dunque, si dà per letto, mentre il Papa ha finito il discorso a braccio, parlando della concretezza.

“E adesso – ha detto Papa Francesco - voglio fermarmi un attimo nello spirito della concretezza. Non c’è un amore astratto, non esiste, l’amore platonico è in orbita, non è nella realtà, l’amore è concreto, è quello che si sporca le mani, e ognuno di noi può chiedersi: l’amore che io sento verso gli altri è concreto o astratto? Quando do una mano ad una persona che ho bisogno, a un malato un emarginato, la ritiro così non mi contagia, mi fa schifo la povertà degli altri?”

Continua il Papa: “Cerco sempre la vita distillata, quella che esiste nella mia fantasia ma non esiste nella realtà… quante vite distillate, inutili, che passano per la vita senza lasciare una traccia perché la loro una vita non ha un peso. E qui abbiamo una realtà che lascia una traccia, che lascia una traccia di tanti anni, che dà ispirazione agli altri”.

Conclude Papa Francesco: Non potrebbe esistere una Giornata Mondiale della Gioventù Senza dare conto di questa realtà. Voi generate vita nuova continuamente, con questa condotta, con questo impegno, con questo sporcarsi le mani, perché la realtà è la miseria degli altri, state generando vita e per questo vi ringrazio tanto. Continuate, andate avanti, non vi avvilite. E se vi avvilite, bevete un bicchiere d’acqua e continuate ad andare avanti”.

Dopo l’accoglienza di 500 mila giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù, Papa Francesco comincia la mattinata un incontro in nunziatura con una anziana malata e una donna di 106 nata lo stesso giorno delle apparizioni di Fatima e poi ascoltando le confessioni di tre giovani. Quindi si reca nella chiesa e il Centro Social Paroquial São Vicente de Paulo. Sono entrambi nel quartiere periferico di Serafina, con tutti i problemi della periferia. Il Centro impiega 170 persone e gestisce un asilo nido, una scuola dell’infanzia, una casa di riposo per gli anziani, attività per ragazzi. La parrocchia è stata istituita nel 1959, e affidata ai Missionari della Consolata – ed è, questo dettaglio, qualcosa che lega al prossimo viaggio di Papa Francesco, quello in Mongolia, dove ci sono, appunto, i Missionari della Consolata. La parrocchia è affidata alla protezione di San Vincenzo de’ Paoli, seguendo la sua ispirazione di “Amare Dio nei poveri”.

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Sono tre le organizzazioni caritative presenti all’incontro: il Centro Paroquial da Serafina, la Casa Famiglia Ajuda de Berço e Associazione Acreditar.

A loro, Papa Francesco ricorda che “la carità è l’origine e la meta del cammino cristiano, e la vostra presenza, realtà concreta di amore in azione, ci aiuta a non dimenticare la rotta”.

Papa Francesco, dunque, sottolinea tre aspetti delle testimonianze che sono state appena ascoltate.

Il primo è il fare bene insieme, in cui “insieme è la parola chiave”, sempre partendo dall’idea che non ci si debba “lasciare definire dalla malattia o dai problemi, perché non siamo una malattia o un problema: siamo, ciascuno di noi, un dono unico nei suoi limiti, un dono prezioso e sacro per Dio, per la comunità cristiana e per la comunità umana”.

Quindi, il secondo aspetto è quello di “agire concretamente”, con “attenzione al qui ed ora” perché “quando non si perde tempo a lamentarsi della realtà, ma ci si preoccupa di andare incontro ai bisogni concreti, con gioia e fiducia nella Provvidenza, accadono cose meravigliose”. E in effetti, aggiunge il Papa, la storia stessa del centro in cui ci si trova, nato dall’incontro con un anziano, lo dimostra.

Ed è qui che il Papa si ferma, non riesce più a leggere. Ma il discorso è consegnato, si dà per letto. E allora continuiamo a seguire le parole del Papa, anche se non pronunciato.

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Papa Francesco mette in luce l’importanza di stare vicini ai più fragili, perché “tutti siamo fragili e bisognosi, ma lo sguardo di compassione del Vangelo ci porta a vedere le necessità di chi ha più bisogno”.

Il Papa sottolinea che “per un cristiano, infatti, non ci sono preferenze di fronte a chi bussa bisognoso alla porta: connazionali o stranieri, appartenenti a un gruppo o ad un altro, giovani o anziani, simpatici o antipatici...”

Papa Francesco racconta infine la storia di un giovane portoghese, Giovanni Ciudad, che ebbe una vita avventurosa, poi conobbe Gesù, decise di chiamarsi “Giovanni di Dio” e cominciò a chiedere la carità, dicendo “a quelli che gliela facevano che, aiutando lui, in realtà aiutavano prima di tutto sé stessi! Spiegava, cioè, che i gesti d’amore sono un dono anzitutto per chi li fa, prima ancora che per chi li riceve; perché tutto quello che si accaparra per sé andrà perso, mentre quello che si dona per amore non andrà mai sprecato, ma sarà il nostro tesoro in cielo”.

Insomma, “l’amore non rende felici solo in cielo, bensì già qui in terra, perché dilata il cuore e permette di abbracciare il senso della vita”. Per questo – aggiunge Papa Francesco – “se vogliamo essere davvero felici, impariamo a trasformare tutto in amore, offrendo agli altri il nostro lavoro e il nostro tempo, dicendo parole e compiendo gesti buoni, anche con un sorriso, con un abbraccio, con l’ascolto, con lo sguardo”.

Giovanni di Dio, continua il Papa, non fu capito, fu chiuso in manicomio, ma lui non si demoralizzò e in manicomio comprese che i malati avevano bisogno di aiuto, e allora cominciò a prendersi cura di loro una volta uscito, fondando l’ordine religioso dei Fratelli Ospedalieri. Ma alcuni – racconta Papa Francesco – “cominciarono a chiamarli in un altro modo, proprio con le parole di quel giovane che diceva a tutti: ‘Fate-del-bene-fratelliì! A Roma noi li chiamiamo così: i ‘Fatebenefratelli’. Che bel nome, che insegnamento importante! Aiutare gli altri è un dono per sé e fa bene a tutti. Sì, amare è un dono per tutti!”