Eppure, l’arcivescovo Pena Parra aveva difeso l’operato dei suoi sottoposti in interrogatorio, confermando un memoriale clamoroso che metteva persino in luce quello che lui definiva un “metodo Perlasca”, il capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Ma Perlasca viene difeso a spada tratta da Diddi. Perché è vero che, nel caso dell’affare di Londra, Perlasca avrebbe firmato un contratto senza l’autorizzazione del sostituto. Ma è altrettanto vero che Perlasca ha avuto il coraggio di disubbidire, di parlare con i magistrati, aveva fatto pressioni per denunciare Torzi dopo che si era reso conto che il contratto era in perdita, aveva persino contestato il trasferimento di soldi alla Marogna per il presunto pagamento di un riscatto per liberare suor Cecilia Narvaez, rapita in Mali nel 2017. Insomma, Perlasca si è ribellato al sistema, ha mostrato di essere onesto.
E invece Carlino ha ubbidito, è stato leale, ma allo stesso modo – è la tesi di Diddi – era addirittura complice in quella che lui chiama una “estorsione” operata da Torzi ai danni della Segreteria di Stato per restituire le mille azioni con diritto di voto.
Nel farlo, nega che ci fosse un negoziato – e in effetti aveva anche commentato in maniera brusca le risultanze del giudice inglese Baumgartner, che faceva sapere che tutto lasciava pensare che si stesse negoziando – e addirittura accusa una manipolazione nel momento in cui si fa entrare il Papa nella stanza delle trattative. C’è, il 26 dicembre 2018, una foto che ritrae il Papa insieme a Gialuigi Torzi, ed è confermato dal Tribunale che lo scopo della presenza di Torzi fosse la trattativa. Prima si è negato che il Papa sapesse, poi che il Papa fosse stato bene informato, ora si dice che è stato persino manipolato. Tra l’altro, in quella stanza dei negoziati c’era anche GM., presidente delle OSA, chiamato dal Papa, di cui è amico, a mediare sulla vicenda con Torzi, e descritto da Diddi come impegnato anche a collocare i suoi crediti sanitari – tra l’altro 6 milioni di questi finiranno in pancia agli investimenti della Segreteria di Stato. Questi., tuttavia, non è mai stato indagato né perseguito per nessun reato.
Se Carlino, ubbidiente, è descritto un po’ come quello che perpetua un sistema quasi omertoso, il promotore di Giustizia ha una descrizione ancora più dura del Cardinale Becciu, che accusa senza mezzi termini di aver compiuto delle “porcherie”, di essere un “vile”, di aver fatto delle schifezze, persino di aver mantenuto “la ragazzina”, guardandosi bene però dal fare illazioni su una possibile violazione del celibato – lo specifica lui stesso – ma di fatto lasciando una scia di sospetto su quello che c’era.
Non solo. Il promotore di Giustizia arriva a configurare una sorta di influenza di tutta la famiglia Becciu sulla diocesi di Ozieri, basandosi sul fatto che il conto della Caritas era descritto come “presso SPES”, mettendo in luce come fosse la diocesi ad agire come il braccio della SPES e non viceversa – e lo fa riprendendo la testimonianza di monsignor Orru – e arrivando a descrivere una serie di pressioni sul vescovo di Ozieri Pintor perché lasci ai 75 anni, notando come le sue ultime nomine sono state annullate, e come ci sia stata pressione anche per cacciare delle suore di clausura che “non so che abbiano fatto, ma erano simpatiche a Pintor”.
Tutto, nella requisitoria di Diddi, viene letto come una grande manipolazione. Anche la firma di don Mario Curzu per l’apertura del conto presso SPES è considerata falsa, e così però c’è il rischio di non avere una lettura serena della vicenda.
Ma a Becciu, Diddi contesta soprattutto le lettere al Papa che gli chiedevano di dichiarare che sì, il Santo Padre era al corrente e aveva autorizzato le operazioni e che poi, alla risposta negativa del Papa, in una lettera infarcita di linguaggio giuridico, Becciu si sia permesso di obiettare che quella lettera sembrava aver preso solo le ipotesi accusatorie. Becciu poi telefonerà al Papa, registrandolo, e sarà questa registrazione, acquisita dalla procura di Sassari, ad essere definita la più grande “schifezza”, mentre la seconda è appunto data dalla presenza del Papa nella stanza delle trattative a Santa Marta.
E infine c’è la questione della fuga di notizie sull’accordo di Londra, comparse sull’Espresso. Il giornalista Emiliano Fittipaldi aveva negato fossero venute dall’Autorità di Informazione Finanziaria e dal direttore Tommaso Di Ruzza, anzi aveva detto che quando aveva fatto richieste non aveva mai ricevuto riscontri. E ha anzi prodotto le chat, mostrando che quell’accordo gli era stato mandato da Massinelli, un consulente di Mincione. Ma per Diddi questa non è una prova, non viene nemmeno menzionata, e addirittura si pone il dubbio che Massinelli possa aver avuto le carte.
Il sistema finanziario vaticano
Da una parte, l’accusa mostra di accogliere le riserve della Segreteria di Stato, che si è costituita parte civile e che lamenta che Mincione avrebbe dato le quote del Palazzo di Londra alla Segreteria di Stato incassando 100 milioni di sterline in più del prezzo cui l’aveva acquistato un anno e mezzo prima con un mutuo del 75 per cento del valore, senza però dirlo alla controparte vaticana. E poi, nel cedere le quote, si sarebbe fatto dare un addizionale 40 milioni, facendo lievitare il prezzo a 275 milioni di sterline. Il palazzo è stato poi rivenduto dal Vaticano a 186 milioni di sterline. E si lamenta che Mincione avrebbe usato i soldi investiti per fare le scalate a Banca Popolare di Milano e Cassa di Risparmio di Genova, anche in questo caso senza farlo sapere alla controparte.
Ma su questa ricostruzione sarà interessante leggere i contratti, comprendere anche come sta andando un processo parallelo intentato a Londra da Mincione contro la Segreteria di Stato, comprendere se davvero si possono quantificare i danni considerando che la Segreteria di Stato è uscita dall’accordo con Mincione a due anni dal lock up del contratto.
È stata, la Segreteria di Stato, un investitore affrettato? Sarà questo da valutare, come saranno da valutare gli accordi presi con Torzi, i contratti che hanno portato al pagamento di quello che Diddi chiama “estorsione”, che lo porta di conseguenza a definire gli accordi una “patacca”.
C’è da dire, però, che la finanza vaticana ha sempre diversificato, la Segreteria di Stato è sempre stata un fondo sovrano, e che gli investimenti immobiliari sono presenti sin dagli anni Trenta, come dimostra la vicenda Grolux, la società riconducibile alla Segreteria di Stato che possedeva vari immobili di pregio a Londra.
Anzi, il bilancio APSA di due anni fa presentava un investimento a Parigi in tutto e per tutto simile a quello del Palazzo di Londra.
Allora ci si deve chiedere se, di fatto, questo processo non metta in discussione proprio il sistema finanziario vaticano, la sovranità del suo organo di governo, lo stesso funzionamento dello Stato. In fondo, lo IOR ha rifiutato un anticipo istituzionale all’organo di governo, la Segreteria di Stato, ed è arrivata addirittura a denunciarla, mettendo a rischio la stessa istituzione.
Ma per Diddi quella denuncia è stata un atto di onestà, anzi Diddi mette in luce che queste operazioni arrivano mentre in Vaticano, a partire dalla costituzione della COSEA, si è cominciata una operazione trasparenza. Eppure, i dati dicono che le speculazioni ad alto rischio sono cominciate ad essere attuate soprattutto nel 2014, e sono anche gli anni in cui il bilancio dello IOR comincia a decrescere, distaccandosi dalla gestione precedente che faceva 86,6 milioni di utili.
Se alcuni modus operandi potevano essere considerati troppo personalisti, allo stesso tempo il problema non era destrutturare il sistema, ma andare risolvere alcuni comportamenti. Ci troviamo invece di fronte ad una sorta di rivoluzione copernicana, che rischia di indebolire la Santa Sede.
Verso una conclusione?
Soprattutto, l’impianto dell’accusa è tutto da dimostrare. In molti casi, la dialettica di Diddi è arrivata a contestare una campagna contro lo stesso ufficio del Promotore, cosa di cui imputa soprattutto il Cardinale Becciu. Eppure, della mancanza di operatività dell’ufficio del promotore sui reati finanziari non si parlava solo a livello interno. C’era un rapporto cdel comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa del 2017 che notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti”, cosa messa in luce anche nell’ultimo rapporto sui progressi del 2021. In effetti, in questi anni c’è stata anche una dialettica dell’ufficio del promotore che si è difeso dalle accuse di non aver dato seguito alle segnalazioni, mostrando anche i passi avanti, come lo stabilimento di un ufficio per i reati finanziari.
Questo per dire che le criticità dell’ufficio erano note a livello internazionale. Mentre, a livello interno, MONEYVAL aveva chiesto che almeno uno dei promotori e dei giudici fosse full time, ma l’ultima riforma dell’ordinamento giudiziario vaticano ha permesso di nuovo che tutti i giudici e i promotori di giustizia siano part time. Questo, di certo, non aiuta l’indipendenza di uno Stato, che si trova con giudici e promotori che lavorano anche in altri ordinamenti.
Nel frattempo, si ha un processo che è diventato molto mediatico, con accuse e controparti, ma in cui è difficile a volte trovare vere configurazioni di reato. Durante la requisitoria, Diddi è arrivato a parlare di una “certezza morale” di un reato, e utilizzato il diritto canonico come base per le sue accuse. Diritto canonico sul quale si basava anche lo IOR per rifiutare l’anticipo alla Segreteria di Stato.
Ma questo è positivo per il sistema giudiziario della Santa Sede? Dà credibilità al micro-Stato? E, soprattutto, si possono definire dei reati sulla base di certezze morali, indizi e ricostruzioni, senza però certezze probatorie?
Sono le domande a cui dovrà rispondere anche il presidente Pignatone, dopo aver sentito parti civili e difese, che saranno chiamate a ricostruire i fatti e dimostrare se l’aggressività della requisitoria non si è attaccata a fatti concreti.
Di certo, in gioco non c’è più una questione personale, e nessuna piccola vendetta interna può giustificare il rischio che si ha per la stessa Santa Sede. La sentenza definirà anche questo. Intorno a Natale, dunque, si saprà in che modo la Città del Vaticano sarà quel tanto di corpo per dare sostegno all’anima della Santa Sede nel futuro.