Il 31 maggio 1824 il Papa indisse la visita apostolica dei luoghi religiosi e nel Concistoro appena celebrato disse che “la città doveva prepararsi all’evento “onde i forestieri ritornino dopo la visita (di Roma nell’anno santo) edificati dalla maestà del culto e dallo splendore de’ sacri tempi” .
La visita si basava su un questionario sullo stato di conservazione degli edifici, sugli altari, sui diritti di patronato, sulle opere d’arte custodite e esposte, sulle sepolture, sulle reliquie, sui confessionali, sulle cappellanie o pii legati, insomma una relazione sullo stato dei fatti. così con la bolla Cum nos nuper del 20 giugno 1824, per invogliare i cattolici a venire a Roma per l’acquisto del perdono, sospese le indulgenze e decise anche delle “missioni nelle piazze”. Come spiega Rocciolo il Papa “assistette di persona alle missioni a piazza S. Giacomo in Borgo, a piazza Barberini, a piazza di S. Maria in Trastevere, a piazza Colonna, a piazza Navona, a piazza di S. Maria ai Monti”. Furono un successo. “L’economo curato di S. Maria in Trastevere diede un giudizio appassionato sull’esito della missione: “i due nefandi vizi della bestemmia e dell’ubriachezza, che sembravano di aver alzato stabile trono in questo disgraziato rione, sono già a quest’ora se non totalmente estirpati, almeno considerevolmente diminuiti”, le armi proibite furono consegnate e vennero appese davanti alla sacra immagine di Maria, i libri osceni furono bruciati, due concubinati furono “distrutti” e tre matrimoni furono salvati, la pace e la concordia tornarono a regnare nel rione”.
Le premesse erano buone e così si proseguì con esercizi spirituali, durante i quali ci fu obbligo per “i caffettieri e i venditori a tenere chiuse le botteghe, ( il Papa) fece emanare un editto “sul vestir delle donne” e concesse facoltà straordinarie ai confessori. Il 19 dicembre, con un editto a firma del cardinale vicario, preannunciò l’apertura delle porte sante alla vigilia di Natale”.
Il 24 maggio 1824, con la bolla d’indizione Quod hoc ineunte saeculo, letta tre giorni dopo, festa dell’Ascensione, nel portico di S. Pietro in Vaticano ci fu l’annuncio del Giubileo.
Enormi le attese, pochi i pellegrini. Rocciolo riporta alcune cifre: “nell’ospedale della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti furono accolte 94.157 persone (62.451 uomini e 31.706 donne) . In tutto vennero circa 375.000 romei, soprattutto dallo Stato pontificio e dal Regno di Napoli”. Certo era il 1825 ma erano cifre basse anche per l’epoca. Un Anno Santo in tono minore che “chiuse un’epoca, nel senso, che fu l’ultimo dell’età moderna o se si preferisce, fu il primo di quella contemporanea. Resta il fatto, che fu l’unico anno di giubileo ordinario del XIX secolo, attraversato o comunque segnato dalle battaglie ideologiche e politiche in cui lo Stato pontificio (e di conseguenza il cattolicesimo) si trovò impegnato” chiosa Rocciolo.
Leone XII si era affidato alla Chiesa locale. Le confraternite per la custodia delle porte sante ad esempio. Ordinò un giustizia rapidissima per le cause civili e penali che coinvolgevano i pellegrini, richiese al clero e alle congregazioni, decoro, disciplina e un’intensa vita di preghiera. Ma la crisi politica influì anche sulla vita religiosa. Il Papa decise indulgenze straordinarie, accordò indulti di giubileo a numerosi sodalizi, ad esempio a quelli del SS. Crocifisso in S. Marcello, del SS. Sacramento e anime sante del purgatorio in S. Francesco a Monte Mario.
E, in modo decisamente moderno, “non si rivolse soltanto ai fedeli, ma anche ai “lontani ancora dalla vera Chiesa di Cristo, e dalla via della salute” e li implorò di troncare “ogni laccio di divisione” e di unirsi con la “Madre, e Maestra di tutti la Chiesa, fuori della quale non avvi salute”. Percepì ciò che i tempi stavano per imporre alla Chiesa: l’urgenza di prestare la massima attenzione ai problemi aperti dalla cultura contemporanea” scrive Rocciolo. La sua fu un’opera per “ricondurre nel grembo della Chiesa la parte di Roma ormai distaccata”. Lo fece forse guardando troppo al passato? La sua fu una “premura del vescovo per il suo popolo, il valore dei suoi auspici di sicurezza e di pace, la sua speranza di un superamento delle divisioni, perché Roma potesse essere davvero il “centro della divina religione di amore” conclude Rocciolo.
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