Vero, sostiene il cardinale, che “perché il vescovo o il presbitero ordinato possa compiere realmente il compito di governo ricevuto nell’ordinazione, ha di fatto bisogno della missione canonica (missio canonica). Quest’ultima è una deliberazione dell’autorità ecclesiastica che assegna una parte del popolo di Dio per la quale la persona ordinata può esercitare effettivamente la potestà di governo”.
Il tema però è diverso, e cioè “se la potestà di governo non venga conferita ai vescovi attraverso il sacramento, bensì attraverso una disposizione speciale del papa, o se si dava la trasmissione di qualche potestà di governo già nell’ordinazione stessa”.
Il Cardinale ripercorre la storia delle posizioni sul tema: il Concilio sembrava prendere la linea che già l’ordinazione episcopale dava la trasmissione di una potestà di governo, mentre nel dibattito che aveva fatto seguito al Concilio Vaticano II si sono delineate tre posizioni principali: 1. Il sacramento dell’Ordine costituisce la base ontologica della potestà di governo, ma la potestà stessa viene conferita solo attraverso la missione canonica. 2. La potestà viene conferita in parte attraverso il sacramento, in parte attraverso la missione canonica. È necessaria che questi due fattori si integrino. 3. La potestà viene conferita nella sua totalità attraverso l’ordinazione effettuata in comunione gerarchica, mentre la missione canonica determina solamente l’ambito del suo esercizio.
Il Cardinale Erdő, nel suo ragionamento, va anche a definire la differenza tra potestas ordinaria e potestas delegata, con quest’ultima, per esempio, che viene esercitata nei casi dei vicari generali della diocesi.
La questione non è di poco conto. Per esempio, con il motu proprio Mitis Iudex, Papa Francesco ha cambiato la norma riguardante la composizione del tribunale collegiale nei processi di nullità matrimoniale, e nel nuovo testo del can. 1673, § 3 dispone che il presidente del collegio giudicante dev’essere chierico, mentre gli altri giudici possono essere anche laici. “Ci si domanda – si chiede il Cardinale Erdo - se e in quanto la potestà di governo dei laici può essere considerata in questo caso limitata e contingente rispetto a quella del giudice chierico”.
Poi, il Cardinale ricorda che il motu proprio Omnium in mentem di Benedetto XVI ha modificato il testo del canone 1009 del Codice di diritto canonico, che ora afferma: “Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”.
Commenta Erdő: “Una missione e una facoltà di agire nella persona di Cristo Capo ricevono soltanto i vescovi e i presbiteri, ma non i diaconi, anche se il diaconato figura tra i gradi del sacramento dell’ordine”.
La visione teologica comune è, insomma, quella “secondo la quale già l’ordinazione conferisce una missione governativa, per l’esercizio della quale è necessaria una determinazione giuridica, la quale in questi casi spetta al vescovo diocesano. Il Vicario infatti ha una potestà ordinaria vicaria di governo”. Per questo, “la circostanza che tutta la Curia Romana esercita accanto al Romano Pontefice, mediante i suoi determinati e vari organismi, una certa potestà vicaria, non significa ancora che tale potestà sia dipendente soltanto dalla nomina pontificia e non sarebbe intimamente connessa con il grado episcopale o presbiterale del sacramento dell’Ordine”.
È un modo, se vogliamo, anche più collegiale di guardare alla Curia e ai capi dicastero. Il cardinale sposa anche la tesi del Cardinale Francesco Coccopalmerio, scritta nella prefazione al volume di Stefano Rossano “Praedicate Evangelium. La Curia di Papa Francesco”. “
“La Curia Romana – spiega Coccopalmerio - collabora e aiuta il Papa, dal quale riceve l’autorità per svolgere la missione in suo nome e in forza della potestà vicaria, ma è ‘pure in rapporto organico con il Collegio dei Vescovi e con i singoli Vescovi e anche con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali, e le strutture gerarchiche orientali […]. La Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno’.”
La questione non viene risolta, ma il Cardinale Erdő sembra propendere per la potestas garantita già dall’ordinazione episcopale. Anche perché questa prospettiva conciliare nasceva, alla fine, per evitare abusi, così come Giovanni XXIII decise che i cardinali sarebbero dovuti essere almeno arcivescovi per poter ricevere la berretta rossa.
Non è comunque un tema di poco conto. E con il suo intervento, il Cardinale Erdő si è inserito in un dibattito che continuerà nei prossimi mesi, quando si dovrà meglio definire l’applicazione della nuova costituzione apostolica.
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