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Se un luogo di lavoro diventa comunità come una parrocchia

Don Nunzio Currao racconta come anche un luogo come il Policlinico Gemelli può essere comunità

Don Nunzio Currao celebra un battesimo |  | Nunzio Currao / FB
Don Nunzio Currao celebra un battesimo | Nunzio Currao / FB
Don Nunzio Currao celebra la messa al Policlinico Gemelli |  | Tv 2000
Don Nunzio Currao celebra la messa al Policlinico Gemelli | Tv 2000

Un grande policlinico universitario è un po' come una parrocchia. Il personale, nel caso del Gemelli di Roma con 6000 persone che vengono da storie ed esperienze diversissime. Come farne una comunità che sia anche lievito per la parrocchia di provenienza?

Don Nunzio Currao Assistente pastorale del personale del Policlinico Universitario Agostino Gemelli la vita della parrocchia la conosce bene.

 

Nella tua pagina FB si vedono matrimoni, battesimi, momenti conviviali, le tue visite nei reparti…tanti momenti belli che non si immaginano pensando ad un ospedale. Una pastorale normale….

 

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Si certo perché noi magari pensiamo che l'unico luogo di evangelizzazione e sacramentalizzazione sia riconducibile solo a quella articolazione più profonda della Chiesa che è la parrocchia dalla quale nessuno dovrebbe mai prescindere perché

"paroikia" significa casa tra le case, è Gesù che sta accanto a te. Però per molto tempo abbiamo dimenticato la "pastorale d'ambiente" e se pensiamo che la maggior parte del tempo le persone lo trascorrono sul luogo di lavoro, quale migliore occasione c'è per la Chiesa quando si rende presente anche nell'ambiente di lavoro. Io per la mia esperienza di 25 anni di parrocchia, dieci come vice-parroco e di quindici come parroco, quando mi è stato chiesto di occuparmi a tempo pieno di questo, dopo essere stato a lungo collaboratore per l’assistenza religiosa ai malati, ho detto a me stesso, che volevo dare un volto di comunità. E ovviamente a quale mi potevo riferire se non alla comunità parrocchiale che ho sempre, come dice il Magistero, gestito come “famiglia di famiglie”.

Ma qui di famiglie ne nascono tante. I ragazzi che si conoscono all'università ad esempio. E poi avviene tutto quel percorso che abbiamo sempre "confinato" dentro una parrocchia, ma che serve anche negli ambienti di lavoro dove c'è una possibilità di assistenza religiosa si possono creare quelle condizioni di familiarità tipiche di una parrocchia, ma senza però mai prescindere dalla parrocchia. Perché l'obiettivo è sempre quello di riagganciare le persone che in parrocchia non vanno più e potrebbero adagiarsi perché c'è il sacerdote nel posto di lavoro. La preparazione ai sacramenti della cresima e del matrimonio sono sempre fatti in accordo con la parrocchia. Perché quello è il luogo dove tutti sono chiamati a vivere la Pasqua settimanale, la domenica.

Quindi una collaborazione tra parrocchie e pastorale d'ambiente ?

Si e la parrocchia deve molto credere e allargarsi alle "periferie esistenziali" come dice Papa Francesco, nei luoghi dove tanta gente per tante ore al giorno passano il loro tempo. Quando nell’ambiente di lavoro esiste un supporto anche ti tipo spirituale la risposta positiva non si lascia attendere, anche se magari all'inizio si sorprendono. Quando in Policlinico facciamo la giornata di accoglimento dei nuovi assunti, io faccio sempre un incontro con loro e vedo la loro grande sorpresa: che ci fa un prete nel posto di lavoro? Quando però spiego gli obiettivi allora apprezzano tantissimo.

Il mio compito principale è quello di essere loro accanto, stare vicini a loro, guardarli negli occhi. E con questa vicinanza continua, quotidiana anche fatta solo di sguardi.

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Ricordo proprio durante la pandemia una esperienza paradigmatica che, come sempre ci raccomanda dice il Papa dobbiamo usare meno parole e più gesti. In quel periodo il personale correva come matti da una parte all'altra del reparto, ricordo di essere entrato in rianimazione, la prima frontiera dove il personale era sotto stress con le situazioni estreme.

Ho capito quanto la situazione fosse cambiata, dal fatto che in genere quando arrivavo mi sedevo e parlavo un po' con loro; invece, non c'era più il tempo di fermarsi neanche per dire buongiorno!

Un giorno entrai e tutti correvano e un infermiere il pomeriggio mi mandò un messaggio dove mi chiedeva scusa perché la mattina non mi aveva salutato. E aggiunse queste parole “Ma il solo fatto di aver incrociato il tuo sguardo e il tuo sorriso ha dato un senso alla mia giornata e alla mia fatica”. Questo perché qualcosa non era più come prima. Tutto era cambiato.

Il mio servizio consiste principalmente nel farmi prossimo a loro e di essere capace di leggere nei loro occhi perché hanno tanti loro problemi e mi immagino con quali sentimenti avvicinano il malato. Capita che un giorno sei più contento un giorno più nervoso, e questo può avere delle ricadute negative. Allora io uso il motto di san Camillo de Lellis: “Più cuore nelle mani”. Questa prossimità permette la nascita di tanti rapporti personali e la richiesta di un accompagnamento spirituale. Perché questo? Loro percepiscono questo: mi interessi, provo affetto nei tuoi riguardi, che poi è l'affetto di Gesù e questa particolare attenzione fa aprire le menti e i cuori. E lo vedi quando ti cominciano a dire: ti voglio parlare. Se la mattina il mio impegno è quello di girare per andare a trovarli dove lavorano, magari anche negli scantinati dove stanno elettricisti e falegnami, il pomeriggio dedico il tempo agli incontri personali, alla direzione spirituale, alla preparazione ai sacramenti. Capita spesso che ti chiedono anche di celebrarli. Tutto questo impegno ha come obiettivo quello di creare una comunità. Una comunione che parte da Gesù Cristo. Una forma di percorso al contrario che parte dai fatti e arriva a Gesù. E dobbiamo tenere alta l'asticella, non basta pensare di essere in una realtà cattolica. Io dico sempre ricordatevi che cattoliche non sono le mura ma le persone, ciascuno deve cercare di dare il meglio di sé nella propria nuda autenticità, perché mascherasi non serve. Serve invece riconoscersi nelle proprie fragilità che consente anche di chiedere e di dare aiuto. In una realtà complessa il rischio è di diventare macchinette e non renderci conto anche del valore delle persone che abbiamo al nostro fianco. Malati e personale.