Città del Vaticano , giovedì, 6. luglio, 2023 10:00 (ACI Stampa).
Avere cura di 6000 persone non è proprio facile. Soprattutto se si tratta del personale di una struttura come il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. E' questa la missione di don Nunzio Currao. La sua è una esperienza quasi trentennale. Ha seguito giovani sposi, battezzato i loro figli, ascoltato le loro difficoltà in un lavoro come quello ospedaliero con infinite difficoltà. E' stato con loro durante il dramma della pandemia come Assistente pastorale del personale del Policlinico Universitario Agostino Gemelli.
Don Nunzio che tipo di pastorale e di evangelizzazione è quella di un ospedale?
E' una pastorale necessaria e fondamentale. Non pensiamo quasi mai di quante cose necessita un malato. Noi pensiamo soprattutto al ruolo importantissimo dei medici e degli infermieri, ma c'è una realtà, quella dell’ospedale che lo ospita, dove ci sono delle attrezzature di cui ha bisogno. E quindi c'è di tutto dal fabbro all'elettricista, all'idraulico, agli ausiliari, a chi si occupa della cucina. Al capezzale del paziente non c'è solo il medico, ma anche chi entra per portare il pasto, che vede e sente con il proprio cuore la sofferenza del malato. E il rischio è quello di cadere nell’abitudine, magari per creare una forma di difesa per non farsi coinvolgere. Quindi il sostegno pastorale nei confronti del personale sanitario, amministrativo, tecnico è volto in primis a tenere sempre alta la temperatura dell'umanità. Mai cadere nell’abitudine, che ti può far essere distaccato e che il malato può avvertire. E poi abbiamo a cuore che l'operatore sanitario non dimentichi che dentro quell'involucro, che è il corpo umano di cui ci si prende cura, c'è un mondo spirituale. E lo dico in modo generico perché questo tipo di assistenza è data a tutti anche a chi non è cattolico o cristiano. Del resto l'Università cattolica non fa differenze, per cui ci sono islamici ed ebrei, etc. Ci troviamo tutti d'accordo sulla importanza della vita spirituale in chi è chiamato a servire perché possa valorizzare anche quella del malato. E in quel momento la necessità si fa più acuta perché ci si interroga sul mistero del male, della sofferenza, della morte, la sofferenza degli innocenti. Una questione sempre molto sentita.
Da un lato dobbiamo fare attenzione a non disumanizzarci, ma da un'altro dobbiamo ricordare che oltre alle medicine e alle cure e a tutto quello che ad un paziente si può dare per curare una malattia, tanto può fare il “farmaco della spiritualità”.
Io dico sempre al personale: fate attenzione come sui comodini dei pazienti una delle prime cose che compare è la corona del Rosario, un crocifisso, una immaginetta. Magari quella persona non ci aveva mai pensato, magari è una sorta di amuleto. Però tutto può essere occasione per risvegliare il sentimento religioso. Ci sono delle conversioni anche molto significative. Che lo faccia il cappellano è scontato, ma se il personale coglie l'occasione per dare una parola di conforto, magari parla del santo di cui il malato ha l'immagine sul comodino, si apre una porta.