Il processo sinodale ha visto la stesura di un Documento Preparatorio, con un questionario che ha chiesto il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio. Quindi, dalle risposte giunte da conferenze episcopali, dicasteri, congregazioni, e popolo di Dio appunto, si redatto un documento di lavoro per la Tappa Continentale del Sinodo. E questo documento di lavoro è servito da guida per le sette tappe continentali, definitesi diversamente a seconda delle località geografiche, che si sono svolte in Europa, Asia, Oceania, America del Nord, America del Sud, Africa, insieme ad una riunione speciale in Libano per le Chiese Orientali.
Da questi documenti finali si è raccolto il materiale che ha portato alla stesura di questo Instrumentum Laboris, che vuole presentarsi con un linguaggio nuovo. Si divide in due parti. La prima, di 26 pagine e 60 punti, è il vero e proprio documento. La seconda è fatta di schede, questioni, indicazioni per il discernimento e il metodo di lavoro. Sono sussidi, che raccolgono (senza giudicarle) le sollecitazioni che giungono dall’assemblea, e che servono non solo ai padri sinodali, ma a chiunque voglia utilizzarli. E, in fondo, se tutti sono membri del Sinodo – secondo l’ultima riforma, voteranno come membri anche laici proposti dai vari organismi continentali e scelti e approvati dal Papa – a maggior ragione tutti devono poter “fare sinodo” anche se non sono parte attiva del processo. Tutti i documenti saranno parte dell’assemblea del Sinodo, e questo permetterà di vedere le priorità nei documenti originali. Allo stesso tempo, c’è il rischio che il sovraccarico di informazioni renda il dibattito sinodale perlomeno un po’ scontato.
La necessità di trovare un centro
C’è bisogno di un linguaggio nuovo, e soprattutto di dimostrare la volontà della Chiesa di ascoltare tutti. Per questo, si mette in luce la gioia e la sorpresa di quanti sono stati parte del percorso sinodale: perché è quello il punto. Eppure, l’Instrumentum Laboris mette in chiaro da subito di non essere “una indagine sociologica”, né una “compiuta elaborazione di una visione teologica”. Anzi, la volontà è stata quella di prendere alcune priorità venute fuori dalle assemblee “non in forma di asserzione o di prese di posizione”, ma di domande, e sarà poi l’Assemblea sinodale a “operare un discernimento per identificare alcuni passi concreti per continuare a crescere come Chiesa sinodale, passi che sottoporrà poi al Santo Padre”.
E ancora: la Chiesa locale è “un punto di riferimento privilegiato”, ma non si può prescindere dalla Chiesa di Roma, cui “è affidato il servizio dell’unità attraverso il ministero del suo Pastore, che ha convocato la Chiesa intera in Sinodo”.
Non c’è, insomma, un processo di democratizzazione. Solo la possibilità di parlare e di essere ascoltati, in un linguaggio che cerca di essere “non divisivo” proprio per aiutare la comprensione reciproca.
Ci si chiede anche “come creare una via sinodale”, ma si ammette anche che “come questo si possa conciliare con la Chiesa universale e il ruolo del Papa è tutto da vedere, e la scelta del Sinodo è quella di mantenere questo ruolo centrale di Roma, e di chiedere unità, da cementare con la preghiera”.
Le sfide della Chiesa oggi
Un documento in due parti, dunque, che riprende esattamente il tema del Sinodo. La prima parte è intitolata “Per una Chiesa sinodale”, la seconda “Comunione, missione, partecipazione”, con un piccolo scambio riguardo il tema del sinodo (che è “Comunione, partecipazione, missione”) che sposta la missione a fianco della comunione, e lascia un po’ in disparte la partecipazione.
È un cambiamento che serve a collegare comunione e missione, anche questo parte di un rilancio del processo sinodale tanto che sia “incarnato nella vita ordinaria della Chiesa”. Ma il documento non manca di guardare agli scenari attuali, dalla guerra in Ucraina alle situazioni “peculiari” che la Chiesa vive in diverse parti del mondo, dalla persecuzione dei cristiani (subdola o palese) alla costruzione di una pace giusta fino alla minaccia del cambio del clima. Ma soprattutto, la sfida della sopravvivenza per le “comunità cristiane che rappresentano minoranze sparute all’interno del Paese in cui vivono, fino a quella di fare i conti con una secolarizzazione sempre più spinta, e talora aggressiva, che sembra ritenere irrilevante l’esperienza religiosa, ma non per questo smette di avere sete della Buona Notizia del Vangelo”.
Da notare la scelta di affrontare il tema degli abusi guardandolo da una prospettiva non istituzionale, e diversa da quella che impone una colpevolizzazione della Chiesa che non può essere vera, perché sono sempre gli uomini ad abusare. “In molte regioni – si legge nel documento - le Chiese sono profondamente colpite dalla crisi degli abusi: sessuali, di potere e di coscienza, economici e istituzionali. Si tratta di ferite aperte, le cui conseguenze non sono ancora state affrontate fino in fondo. Alla richiesta di perdono rivolta alle vittime delle sofferenze che ha causato, la Chiesa deve unire il crescente impegno di conversione e di riforma per evitare che situazioni analoghe possano ripetersi in futuro”.
Come è fatta la Chiesa sinodale
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L’Instrumentum Laboris dà anche una descrizione di quali siano i segni caratteristici di una Chiesa sinodale: Chiesa dell’ascolto, dell’incontro e del dialogo, della cultura dell’incontro, aperta, accogliente e che abbraccia tutti.
Allo stesso tempo, la Chiesa sinodale “affronta onestamente e senza paura la chiamata a una comprensione più profonda del rapporto tra amore e verità”, e allo stesso tempo è capace di “gestire le tensioni senza esserne schiacciata, vivendole come spinta ad approfondire il modo di comprendere e vivere comunione, missione e partecipazione”. La sinodalità è una via privilegiata di conversione, perché ricostituisce la Chiesa nell’unità: cura le sue ferite e riconcilia la sua memoria, accoglie le differenze di cui è portatrice e la riscatta da divisioni infeconde.
Il metodo, però, deve essere prima di tutto spirituale, e l’Instrumentum Laboris propone il metodo della conversazione con lo Spirito Santo, considerato particolarmente concreto e adatto.
Detto dell’inversione dei termini di comunione e missione, resta il tema della partecipazione, che ha riguardato anche la più recente riforma del Sinodo dei vescovi. Un tema che affronta il tema della “questione dell’autorità, del suo senso e dello stile del suo esercizio all’interno di una Chiesa sinodale. In particolare, essa si pone nella linea di parametri di derivazione mondana, o in quella del servizio?”
La questione della formazione
Un punto essenziale resta la formazione. Ed in effetti, non c’è da preoccuparsi se nel processo di ascolto sinodale viene data la parola a ragazzi che con l’irruenza dei loro anni pongono questioni obiettivamente esagerate e fuori dalle competenze della Chiesa. C’è da preoccuparsi piuttosto di come questi giovani siano stati formati, o vengano formati e accompagnati. Il tema del ruolo del vescovo, con il suo munus docendi, è stato oggetto di diverse discussioni nelle tappe continentali.