“Occorre dunque, per comprendere bene il discorso di Pascal sul cristianesimo, essere attenti alla sua filosofia. Egli ammirava la sapienza degli antichi filosofi greci, capaci di semplicità e di tranquillità nella loro arte di ben vivere, come membri di una polis: «Ci si immagina Platone e Aristotele con grandi paludamenti da pedanti. Erano gentiluomini ed erano come gli altri, pronti a ridere con i loro amici. E quando si sono divertiti a scrivere le loro Leggi e la loro Politica, l’hanno fatto per diletto. Era la parte meno filosofica e meno seria della loro vita, giacché la più filosofica era di vivere semplicemente e tranquillamente”, commenta ancora il Pontefice.
“Pascal, che ha scrutato con la singolare forza della sua intelligenza la condizione umana, la Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa, intende proporsi con la semplicità dello spirito d’infanzia quale umile testimone del Vangelo. È quel cristiano che vuole parlare di Gesù Cristo a quanti concludono un po’ in fretta che non ci sono ragioni consistenti per credere alle verità del cristianesimo. Pascal, al contrario, sa per esperienza che ciò che si trova nella Rivelazione non solo non si oppone alle richieste della ragione, ma apporta la risposta inaudita alla quale nessuna filosofia avrebbe potuto giungere da sé stessa”, commenta il Pontefice sempre nella Lettera Apostolica.
“Prima di concludere, è necessario evocare i rapporti di Pascal con il Giansenismo. Una delle sue sorelle, Jacqueline, era entrata nella vita religiosa a Port-Royal, in una congregazione la cui teologia era molto influenzata da Cornelius Jansen, il quale aveva composto un trattato, l’Augustinus, pubblicato nel 1640. Dopo la sua “Notte di fuoco”, Pascal si era recato a fare un ritiro all’abbazia di Port-Royal, nel gennaio 1655. Ora, nei mesi seguenti, una controversia importante e già antica, che opponeva i Gesuiti ai “Giansenisti”, legati all’Augustinus, si risvegliò alla Sorbona, l’università di Parigi. La disputa verteva principalmente sulla questione della grazia di Dio e sui rapporti tra la grazia e la natura umana, in particolare il suo libero arbitrio. Pascal, benché non appartenesse alla congregazione di Port-Royal, e benché non fosse un uomo di parte – «sono solo, egli scrive, non sono affatto di Port-Royal»– fu incaricato dai Giansenisti di difenderli, soprattutto perché la sua arte retorica era potente. Lo fece nel 1656 e nel 1657, pubblicando una serie di diciotto lettere, denominate Provinciali”, dice il Papa.
“Se molte proposizioni dette “gianseniste” erano effettivamente contrarie alla fede,ciò che Pascal riconosceva, egli contestava che esse fossero presenti nell’Augustinus e seguite dai membri di Port-Royal. Alcune delle sue stesse affermazioni, però, concernenti ad esempio la predestinazione, tratte dalla teologia dell’ultimo Sant’Agostino, le cui formule erano state già affilate da Giansenio, non suonano giuste. Bisogna tuttavia comprendere che, come Sant’Agostino aveva voluto combattere nel V secolo i Pelagiani, i quali sostenevano che l’uomo può con le proprie forze e senza la grazia di Dio fare il bene ed essere salvato, Pascal ha creduto sinceramente di opporsi al pelagianesimo o al semi-pelagianesimo che riteneva di identificare nelle dottrine seguite dai Gesuiti molinisti (dal nome del teologo Luis de Molina, morto nel 1600 ma il cui influsso era ancora vivo a metà del XVII secolo). Facciamogli credito sulla franchezza e la sincerità delle sue intenzioni", commenta ancora il Papa.
"Questa lettera non è certo il luogo per riaprire la questione. Tuttavia, ciò che vi è di giusta messa in guardia nelle posizioni di Pascal vale ancora per il nostro tempo: il «neo- pelagianesimo»,che vorrebbe far dipendere tutto «dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali»,si riconosce dal fatto che «ci intossica con la presunzione di una salvezza guadagnata con le nostre forze».E occorre ora affermare che l’ultima posizione di Pascal quanto alla grazia, e in particolare al fatto che Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), si enunciava in termini perfettamente cattolici alla fine della sua vita”, chiarisce il Papa.
Conclude il Pontefice: “Blaise Pascal, al termine della sua vita breve ma di una ricchezza e fecondità straordinarie, aveva messo l’amore dei fratelli al primo posto”.
Presso la Sala Stampa della Santa Sede, Sala San Pio X, ha avuto luogo la Conferenza Stampa dal titolo “Sublimitas et miseria hominis - Grandezza e miseria dell'uomo” in occasione dei Quattrocento anni della nascita del filosofo, matematico e scienziato Blaise Pascal, nato il 19 giugno 1623 a Clermond-Ferrand e morto a Parigi, il 19 agosto 1662.
Il Cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione interviene durante la conferenza stampa. "Il 23 novembre 1654, ebbe un episodio mistico conosciuto come la nuit de feu – del quale abbiamo una storica testimonianza personale in una lettera chiamata mémorial, che fu ritrovata dopo la sua morte, cucita all’interno del suo cappotto – che trasformò la sua vita e lo spinse a dedicarsi con rinnovata devozione alla preghiera, facendo della sua fede cristiana il centro assoluto della sua esistenza e dedicando ogni suo sforzo a profonde riflessioni filosofico-teologiche sull’uomo e su Dio. Credenti e non credenti sono rimasti affascinati dalla sua figura", dice il Prefetto davanti ai giornalisti ricordando alcuni momenti più importanti della vita cristiana di Pascal.
La Lettera del Papa sarà oggetto di un dibattito d’approfondimento, che il Dicastero per la Cultura e l’Educazione organizzerà con il Centro San Luigi dei Francesi oggi pomeriggio.
"Oggi, siamo tutti grati al Santo Padre per questo importante documento che ha voluto scrivere per celebrare un uomo di indiscutibile portata e di estrema attualità. Questa onestà è quella che fa di Pascal, ancora oggi, un modello di riferimento per affrontare le complessità dell’uomo moderno,", dice il Cardinale Prefetto.
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