Infine, c’è il filone che riguarda l’ingaggio della sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna per aiutare la Segreteria di Stato in alcune operazioni di liberazione testimoni, come quelle di Suor Cecilia Narvaez, la missionaria colombiana rapita in Mali e rilasciata solo due anni dopo. Per lei, l’accusa è di aver usato il denaro per acquisti personali, e non per il motivo per cui era stato erogato.
La inutilizzabilità delle dichiarazioni di Torzi
Questa premessa è necessaria per comprendere in che modo le decisioni “procedurali” del tribunale vanno ad impattare sul processo stesso.
Come si ricorderà, il broker Gianluigi Torzi era stato chiamato a rendere testimonianza in Vaticano, e si era ritrovato arrestato. Interrogato, sempre alla presenza del suo avvocato, e quindi rilasciato. Aveva prodotto un memoriale. Per via di un procedimento nei suoi confronti, non è mai tornato in Italia né si è mai fatto interrogare, come hanno fatto gli altri imputati. Ha chiesto di poter essere sentito in video conferenza, ma questo non è stato ammesso. Ora è negli Emirati Arabi.
Solo che, hanno fatto notare alcuni avvocati, nel suo memoriale e nei suoi interrogatori in Vaticano, tutti verbalizzati, Torzi aveva anche prodotto precise accuse contro alcuni degli imputati, e questo succede anche nel memoriale. Ma queste accuse non sono state controprovate, non c’è stata possibilità di controinterrogatorio. C’è bisogno almeno di una conferma formale delle dichiarazioni da parte dell’imputato. Il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, ha convenuto. Dunque, le dichiarazioni di Torzi riguardo gli altri imputati non potranno essere usate nelle requisitorie del promotore di Giustizia. L’ufficio del promotore di Giustizia si è ovviamente riservato di impugnare l’ordinanza. Anche perché, c’è da dire, che le dichiarazioni di Torzi davano sostanza a parte dell’impianto di accusa.
Il no alla richiesta di ulteriore documentazione
Il Tribunale aveva chiesto anche alla Segreteria di Stato di produrre i contratti originali di gestione dei fondi con le varie entità che erano state coinvolte. La Segreteria di Stato, che si è costituita parte civile, ha fatto sapere che no, quei contratti non si trovano. La difesa di Mincione ha controbattuto che quei contratti possono essere acquisiti anche attraverso la controparte, e ha invitato il tribunale a chiedere rogatorie internazionali ai cinque enti con cui si erano stabiliti i rapporti. Mincione, infatti, fa notare di aver sempre gestito i fondi attraverso altre entità, che a loro volta avevano contratti di gestione con la Segreteria di Stato. Il tribunale ha risposto no alla richiesta. Di fatto, la Segreteria di Stato potrebbe chiedere i contratti alla controparte senza bisogno di rogatoria.
Come ha risposto no alla richiesta della difesa del Cardinale Becciu di produrre i bilanci delle 16 entità economiche della Santa Sede a partire dal 2004 ad oggi. La richiesta era stata definita “dilatoria” dal promotore di Giustizia, ma aveva un suo perché. In pratica, sia la testimonianza del Cardinale Becciu che quella dell’attuale sostituto, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, ha fatto notare come i bilanci della Curia, sempre in rosso, fossero portati in attivo grazie anche alle donazioni dell’Istituto per le Opere di Religione, che le prendeva dai profitti. Donazioni che sono sempre andate a scendere.
Diddi aveva prodotto questi bilanci a partire dagli ultimi anni, ma mancava un vero “record” storico che permetteva anche di vedere in che modo sarebbero state coperte le perdite. Di fatto, le donazioni dello IOR alla Santa Sede sono diminuite a partire dalla nuova gestione dello IOR nel 2014, che ha visto i profitti crollare: si è andati dagli 86,6 milioni di profitto del 2012, che hanno reso una donazione alla Santa Sede di ben 50 milioni, a un profitto di 18,1 milioni di euro del 2022, con picchi al ribasso anche di 17,5 milioni.
Alla fine, si utilizzavano anche i fondi dell’Obolo di San Pietro, il cui scopo principale è sempre stato quello di aiutare la Santa Sede. Tra l’altro, la Segreteria di Stato aveva un conto “Obolo”, che era un conto di gestione, in cui erano confluite più voci alla fine.
Insomma, la richiesta delle difese aveva lo scopo di fare chiarezza su questa gestione di fondi e su come i bilanci in sofferenza venissero aggiustati. Vero è che i bilanci dello IOR sono pubblici e sul sito dal 2013. Vero anche che, per esempio, il Governatorato dello Stato di Città del Vaticano non pubblica un bilancio dal 2016. Anche gli utili del Governatorato erano utilizzati per aiutare la Santa Sede – va considerato che il governatorato gestisce i Musei Vaticani, che è una macchina di utili.
Pignatone, però, ha respinto la richiesta, considerando che la documentazione è già sufficiente.
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Una nota a margine, che riguarda sempre il processo. L’ultimo bilancio dello IOR, pubblicato la scorsa settimana, certifica un dimezzamento del patrimonio liquido, con un TIER 1 che ammonta a poco più della metà di quello che c’era al tempo in cui la Segreteria di Stato chiedeva un anticipo per risolvere il mutuo del palazzo di Londra. Anticipo, va detto, che veniva restituito con interesse, e che avrebbe dato un risparmio alla Segreteria di Stato, e un guadagno allo IOR. Sembra, dunque, difficile da capire la decisione istituzionale dello IOR di non aiutare l’ente sovrano, e piuttosto di segnalarlo, quando c’erano sia le risorse che le potenzialità di guadagno.
Il no alla richiesta di sentire i consulenti
Le difese si sono avvalse di molti consulenti tecnici, e la richiesta è stata quella di poter sentire anche la loro testimonianza. Anche a questa richiesta, il tribunale ha opposto un diniego. Pignatone, nella sua ordinanza, ha notato che comunque è stato sentito il consulente del Promotore di Giustizia, il dottor Roberto Lolato, e che a questo punto, dato che le relazioni tecniche sono state comunque depositate, sentire i consulenti potrebbe anche mettere in difficoltà le difese. Una scelta, insomma, a tutela della difesa, almeno secondo il tribunale.
Verso le requisitorie
Si va con queste ultime decisioni alla requisitoria del Promotore di Giustizia, che chiuderà questa fase processuale, in attesa della ripresa dopo giugno. Restano molti nodi da sciogliere, a partire dall’assenza dei contratti di gestione in Segreteria di Stato. E sarà da vedere come il promotore di Giustizia riuscirà a definire il suo impianto accusatorio senza utilizzare le dichiarazioni rese da Torzi. Restano anche da definire i ruoli di alcuni personaggi che non sono imputati, ma che hanno gravitato intorno alla storia.
Alla fine, però, ci si trova un cardinale alla sbarra con accuse tutte da verificare; un processo che è stato comunque influenzato nelle procedure da quattro rescritti di Papa Francesco; e una Segreteria di Stato che ha cercato di proteggere l’investimento, e si è trovata però di fatto espropriata di ogni indipendenza di gestione. Senza contare quanti hanno perso il lavoro o la reputazione, e che difficilmente la recupereranno se il processo andrà comunque bene per loro. E senza contare le conseguenze che questo processo può avere sul fronte internazionale, considerando che la Segreteria di Stato è impegnata in un processo a Londra, e che la stessa conduzione delle indagini aveva portato a tensioni con controparti finanziarie come l’Egmont Group.