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Diplomazia Pontificia, una prefazione di Parolin sull’Ucraina e non solo

Il Cardinale Parolin sigla una prefazione a un libro dell’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk. Gallagher parla al Globsec di Bratislava. La Santa Sede per la salute universale

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Il 31 maggio, è stata presentata a Lviv l’edizione in lingua ucraina del libro di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk “Dimmi la verità”, scritto con il professor Paolo Asolan. La prefazione del libro è stata siglata dal Cardinale Pietro Parolin, che ha affrontato tutti temi di stringente attualità: non solo la realtà della guerra, ma, con uno sguardo più ampio, anche il tema del contributo che le Chiese orientali possono dare oggi alla teologia e alla religione, con delle note che sembrano anche rivolgersi al dibattito del Sinodo.

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha invece parlato al GLOBSEC di Bratislava della diplomazia della solidarietà, indicando quella che la Santa Sede considera una via di uscita a questo periodo che sembra segnare una crisi della diplomazia.

Durante la settimana, ci sono state anche tre feste nazionali: della Croazia, della Georgia e di Israele. Non solo hanno portato in dote tre concerti, ma hanno anche detto qualcosa del rapporto di queste tre nazioni con la Santa Sede.

                                                           PRIMO PIANO

Il Cardinale Parolin firma la prefazione ucraina di un libro di Shevchuk

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Nel 2018, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk pubblicò un libro Dimmi la verità. Dialoghi sul senso della vita insieme a don Paolo Asolan, professore di teologia pastorale presso la Pontificia Università Lateranense. Quel libro è stato ora pubblicato in traduzione ucraina, con la postfazione di Andrea Gagliarducci e la prestigiosa prefazione del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che in questi anni ha seguito da vicino la causa ucraina.

La prefazione del Cardinale Parolin, in realtà, va molto oltre: guarda al contributo delle Chiese orientali, ma dà anche chiare indicazioni sulla vita della Chiesa e la ricerca della verità nell’ambito del cammino sinodale che la Chiesa sta vivendo oggi.

Il Cardinale Parolin comincia la sua prefazione ricordando la storia di una visione che mostra come San Francesco avesse ripreso le orme di Gesù, recuperandole nel mezzo delle tante orme che vi erano passate su nel corso degli anni, rendendole sempre meno distinguibili da quelle della folla. Sua eminenza ha detto che questo episodio torna in mente “per quanto riguarda la verità e molti dei punti principali della nostra fede”, perché “le vicende storiche e intellettuali degli ultimi secoli hanno talmente operato sull’idea di verità al punto che, dapprima negando la possibilità di conoscerla fino poi a negarne l’esistenza stessa, la situazione oggi è come quella delle orme sulla strada del racconto. Se ne è perduta traccia”.

In particolare, il Segretario di Stato vaticano fa riferimento alla introduzione del professor Asolan, in cui racconta che, nell’Atene del IV secolo, “Socrate e la sua caparbia ricerca del fondamento del vero, riesce a smascherare il perverso gioco sofistico dell’uso della persuasione fine a sé stessa, che è il vero ostacolo di ogni autentica ricerca della verità e cifra emblematica della situazione attuale di presenza onnipervasiva della ‘verità’ dei mezzi di comunicazione di ogni tipo”.

Anche la teologia è rimasta colpita da questo gioco sofistico di persuasione, che pure “avrebbe come oggetto la verità stessa”, ma lo è stata anche la “pratica pastorale, sotto l’attacco di ogni tipo di ideologie e visioni distorte del messaggio evangelico”.

Il cardinale nota che “la situazione è particolarmente acuta in Occidente”, e che la rilettura che Shevchuk offre “degli stessi fondamenti della fede cristiana e cattolica” ha lo stesso ruolo di San Francesco nel rimettere in luce i fondamenti evangelici, in un cammino di recupero che utilizza strumenti che l’Occidente cristiano sembra a tratti aver dimenticato e che invece la tradizione cristiana orientale, per vari motivi che appaiono chiari durante la lettura, ha conservato e protetto, così che adesso essa si trova in grado di offrirli di nuovo a tutta la Chiesa universale”, e sono la tradizione patristica e la liturgia, vivificati dallo Spirito Santo, secondo una centralità che è “una caratteristica peculiare della spiritualità e teologia dei cristiani orientali”.

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Il cardinale Parolin nota che l’arcivescovo maggiore Shevchuk, per ragioni anagrafiche, ha visutto due vite, una nell’Unione Sovietica, e l’altra nel post 1989, e che questo gli permette di avere una visione più variegata del mondo. Ma nota anche che ci sono argomenti complessi che “con parresia non evita affatto”, come “i rapporti ecumenici e la dimensione nazionale delle chiese orientali – sia greco-cattoliche che ortodosse – che assumono un significato particolarmente articolato in momenti di politica internazionale non dei più semplici; il significato non contingente, né tanto meno transeunte, dell’esistenza stessa delle Chiese greco-cattoliche; il contributo che queste chiese possono dare, in forza della testimonianza che hanno saputo rendere alla verità in tempi di persecuzione, nell’affrontare ideologie totalitarie di vecchio e di nuovo tipo, che agiscono in chiave anticristiana, e la inesausta fedeltà alla comunione con la Santa Sede”.

Eppure, sottolinea il Cardinale Parolin, Sua Beatitudine non fa mai della sua prospettiva di Chiesa sui iuris un elemento di superiorità, ma è piuttosto consapevole “non solo del rischio che la prospettiva occidentale, con il suo accentuare la prospettiva ‘dal basso’ può correre, ossia quella di perdersi nei labirinti dell’immanenza e di non raggiungere mai la dimensione divina. Ma altresì è cosciente del pericolo che corre la prospettiva orientale, ossia quella di astrattezza disincarnata, tipica di ogni prospettiva ‘dall’alto’.”

Ci vuole insomma una sinergia tra prospettiva occidentale e prospettiva orientale. E sì, nota il Cardinale, il libro è una opportunità per il lettore occidentale, ma può essere anche una opportunità per il lettore di tradizione orientale, perché tutto “può aiutare il lettore di lingua ucraina a prendere coscienza dell’enorme potenziale spirituale e teologico che la sua tradizione possiede; di quanto questo potenziale sia prezioso per aiutare il cammino dell’Occidente a uscire dalla secca del non-senso in cui si è andato ad arenare; e trasformare questa consapevolezza in un vero e proprio imperativo etico e di carità, contribuendo in prima persona prima di tutto a vivere i propri tesori e a trasformarli in proposta di aiuto e arricchimento per e insieme alla chiesa occidentale, entrando in dialogo e confronto con le istanze che, dall’occidente, premono anche nei cuori e nelle esistenze dei cristiani orientali, sia nei loro stessi paesi che nella immensa diaspora per tutto il mondo occidentale, con quest’ultima che potrebbe rivelarsi una provvidenziale opportunità per tutta la Chiesa di Cristo”.

                                               FOCUS MULTILATERALE

Gallagher al Globsec, la via della pace passa dalla solidarietà

Per il secondo anno consecutivo, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato a Bratislava per il GLOBSEC; una piattaforma multilaterale sulla sicurezza. Il 29 maggio, ha pronunciato un discorso in cui ha riaffermato il lavoro della solidarietà come percorso privilegiato verso la pace, con uno sguardo che non riguarda solo l’Ucraina o l’Europa, ma che abbraccia altre situazioni di conflitto nel mondo, dall’Ucraina alla Somalia, dall’Afghanistan alla Repubblica Democratica del Congo e lo Yemen.

Sono Paesi ai primi cinque posti del cosiddetto “Emergency Watchlist”, i più colpiti da crisi che riguardano conflitti armati, cambiamenti climatici e turbolenze economiche, e la cui situazione che “tutto è connesso”, un principio chiave della Laudato Si che l’arcivescovo Gallagher riporta insieme ad una frase del poeta John Donne per ricordare che se una parte soffre, tutte le parti soffrono, e “ogni singola morte si traduce in un io minore”.

La risposta a questa situazione di individualismo e conflitto è la solidarietà, descritta come “un vero senso di appartenenza a questa grande famiglia umana, il cui benessere generale dipende dal benessere di ognuno di noi in ogni angolo del mondo”, e che porta a condividere impegno e responsabilità nel promuovere il bene comune, senza fare distinzioni di status sociale, religione, etnica.

Per l’arcivescovo Gallagher, “i sistemi egoistici non sono sostenibili”, ma di fatto ci si trova di fronte a un punto di contatto che “crea sgomento” perché visto come “limitazione della propria libertà”, cosa che rende necessarie le mediazioni arbitrali al posto del dialogo.

In questa situazione, “l’esercizio dei diritti assume la forma della tolleranza e dell’intolleranza, e la pace non è più vista come uno stato di armonia, ma piuttosto come l’assenza di conflitto. Di conseguenza è necessario stabilire una miriade di norme e regolamenti, a livello locale, nazionale o internazionale, per garantire a tutti, a ogni gruppo e a ogni nazione il ‘diritto all’autorealizzazione’”.

La solidarietà, dunque, per rispondere alla crisi. Una solidarietà citata 26 volte nella Fratelli Tutti di Papa Francesco, e contenuta in nuce nell’invocazione per la pace e la giustizia di San Giovanni XXIII nella Pacem in Terris.

La Santa Sede all’Organizzazione Mondiale della Salute, “Salvare vite, salute per tutti

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Si è tenuto dal 21 al 30 maggio a Ginevra la 76esima Assemblea Mondiale della Salute. In particolare, il 30 maggio la Santa Sede ha partecipato al dibattito generale che ha fatto seguito al rapporto del direttore generale su “L’Organizzazione Mondiale della Salute fa 75 anni: salvare vite, portare salute per tutti”.

Sottolineando che il Papa per primo è un sostenitore della salute per tutti, la Santa Sede ha ricordato che Pio XII, nel 1949, mise in luce di fronte ai partecipanti dell’Assemblea Mondiale della Salute del 1949 che non si può tollerare che alcune parti del mondo soffrano ancora di malattie mentre altre società nel mondo hanno raggiunto un tale livello di buona salute che hanno portato a diminuire le morti precoci.

Riprendendo Pacelli, la Santa Sede ha ribadito che ogni nazione deve cercare “strategie e risorse per garantire il diritto fondamentale di ogni persona ad una cura sanitaria di base e sufficiente”.

La delegazione della Santa Sede ha chiesto all’assemblea di riconoscere che gli obiettivi di “salvare vite e fornire salute a tutti” richiedono a “uomini e donne di buona volontà, particolarmente quelli che hanno responsabilità politiche, di salvaguardare i diritti di quelli che sono più deboli”.

Inoltre, la Santa Sede nota che la responsabilità primaria degli Stati è “di assicurare che tutti i cittadini siano assistiti in ogni fase della vita, dal concepimento fino alla morte naturale, e di fare in modo che tutti si sentino accompagnati e curati anche nei momenti più delicati della propria vita”.

Santa Sede a New York, la fondazione Path to Peace premia Filippo Grandi

Il 30esimo Gala annuale della Fondazione Path to Peace, legata alla Missione della Santa Sede a New York, ha celebrato il 17 maggio il suo 30esimo evento, consegnando il Premio Path to Peace a Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha messo in luce l’impegno condiviso della Santa Sede e l’agenzia ONU per i rifugiati. Grandi ha incontrato il Papa in diverse occasioni, l’ultima a gennaio di quest’anno.

Caccia ha poi descritto la vita di Grandi al servizio di diverse ONG ed entità all’interno delle Nazioni Unite.

L’arcivescovo Caccia ha anche notato che quest’anno si celebra il sessantesimo anniversario della Pacem In Terris, che affronta anche il tema dei rifugiati.

Grandi ha donato il suo premio al Jesuit Refugee Service, e ha sottolineato che “nessuno fa una scelta difficile come quella dei rifugiati. La scelta di lasciare dietro ogni cosa che hai, conosci e ami per andare verso l’ignoto”.

L’incontro si è aperto con l’invocazione del Cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Durante la serata sono state condivise le storie di Moustafa Aldouri, un manager di Charities cattoliche del Sud Jersey che è un rifugiato dall’Iraq, mentre Francesco Teruggi, negoziatore della Missione della Santa Sede, ha raccontato la sua esperienza alla missione della Santa Sede. L’arcivescovo Timothy Broglio, ordinario militare USA, ha dato la benedizione finale.

I fondi raccolti dalla serata di gala servono a mantenere la Missione dell’Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite. La fondazione contribuisce anche a diffondere informazione e documentazione su dichiarazioni e iniziative del Papa, della Santa Sede e delle organizzazioni cattoliche che portano nel mondo giustizia, carità e pace.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York, la questione palestinese

Il 2 giugno, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha parlato di fronte al Comitato Ad Hoc dell’Assemblea Generale per l’Annuncio dei contributi volontari alla Agenzia ONU per il sostegno e il lavoro per i rifugiati palestinesi (UNRWA).

L’arcivescovo Caccia ha ricordato il supporto della Santa Sede per il lavoro dell’UNRWA, ed espresso preoccupazione e per l’escalation di violenza negli Stati di Israele e di Palestina, che ha minacciato l’accesso dei credenti, siano essi Cristiani, ebrei o musulmani, ai Luoghi Santi di Gerusalemme.

Il nunzio ha anche ricordato la posizione della Santa Sede per una soluzione di due Stati, e ha lamentato la stagnante situazione finanziaria dell’UNRWA che mette a rischio la distribuzione di aiuto essenziale.

L’arcivescovo Caccia ha annunciato che la Santa Sede rinnova il suo impegno finanziario all’UNRWA e lo destina all’educazione dei bambini, e incoraggiato gli altri Stati a considerare di fare i loro contributi, che sono un riflesso concreto della responsabilità della comunità internazionale di assistere i rifugiati palestinesi.

                                                           FOCUS AMBASCIATE

Israele – Santa Sede, trenta anni di relazioni diplomatiche

In occasione del trentesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Israele e Santa Sede, lo scorso 29 maggio si è tenuta un concerto della Jerusalem Symphony Orchestra, stabilita già dieci anni prima della fondazione dello Stato di Israele, diretta da Yeruham Scharovsky nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura. L’evento era stato intitolato “Religioni in musica”.

Rafael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ha sottolineato su L’Osservatore Romano che l’evento voleva celebrare “un’ulteriore tappa di un dialogo cominciato ben prima che trent’anni fa, con il documento conciliare Nostra Aetate che ha rimosso secoli d’incomprensione e lontananza tra i figli di Abramo, e poi proseguito con le visite dei pontefici al Tempio Maggiore di Roma, e lo storico viaggio di Paolo VI, il primo Papa dopo San Pietro a tornare nei luoghi santi, e tutti gli ultimi tre pontefici hanno voluto visitare la nostra terra”.

L’ambasciatore ha detto di avere molto cara anche “la sensibilità che Papa Francesco mostra nei confronti del popolo ebraico”, dalle relazioni con il rabbino Abraham Skorka a quelle con la scrittrice Edith Bruck, fino al documento “Fratelli Tutti”.

Il concerto ha visto l’esecuzione di musiche di Bach, Schubert e Mendelsshon.

Celebrata la festa nazionale della Croazia

Lo scorso 30 maggio, presso la Chiesa di San Girolamo, tradizionalmente legata ai croati, si è celebrata la Festa Nazionale della Croazia con un Messa presieduta da monsignor Miroslaw Wachowski, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e con un breve concerto dei cantori popolari di Kaštel Kambelovac.

Tea Zupicic, incaricato di affari dell’ambasciata di Croazia presso la Santa Sede, ha ricordato che il 2023 marca i 570 anni di presenza della comunità croata a Roma, che dal 1453 si riunisce nel Collegio di San Girolamo, “la più antica istituzione che il popolo croato possiede fuori dalla propria patria”.

Nel ricordare i “costanti e forti legami” della Croazia con i Papi romani, ha in particolare messo in luce che il 7 giugno 879 “Papa Giovanni VIII, in una lettera al principe Branimir, riconobbe la sua autorità e benedisse il popolo croato, che è in realtà il primo documento storico scritto sul riconoscimento internazionale croato”.

Zupicic ha notato che “il ruolo della Santa Sede nella storia croata in molte situazioni si è rivelato estremamente importante, ma si è manifestato in modo particolarmente forte nel sostenere il popolo croato durante la guerra patriottica”.

Ha quindi sottolineato che i croati ricordano tutti coloro che hanno immolato la loro vita sull’altare della patria, ma anche tutti i martiri noti e conosciuti, a partire dal Beato Aloizije Stepinac, di cui quest’anno si celebrano i 25 anni della beatificazione. -

La festa nazionale della Georgia

L’1 giugno, in occasione della Festa Nazionale Georgiana, l’ambasciata di Georgia presso la Santa Sede ha organizzato un concerto del coro della chiesa Dzveli Kanda diretto dall’archimandrita Seraphime Bit-Kharibi. Lo stesso archimandrita aveva eseguito il salmo 50 in aramaico davanti a Papa Francesco durante la visita del pontefice in Georgia nel 2016, e il Papa si era commosso fino alle lacrime.

Introducendo l’incontro, l’ambasciatore Khétévane Bagration de Moukhrani ha ricordato che il coro è parte della tradizione assiro - ortodossa, e che “le prime tracce della vita assira in Georgia si trovano nella "Vita della Kartli" del XI sec. scritta da Leonti Mroveli e dall'alto medioevo, l'inizio e lo sviluppo della vita monastica in Georgia sono collegati al nome dei Padri assiri”.

A Dzveli K’Anda si stabilirono gli assiri della Georgia dalla fine del XIX secolo, e dal 2010 il Catholicos Ilia II vi istituì delle funzioni religiose in aramaico, insieme a quelle in georgiano, e

l’Archimandrita Seraphime Bit-Kharibi fu convocato dal Patriarca stesso per celebrare le liturgie.

L’ambasciatore ha spiegato che “la Comunità assira/caldea cattolica in Georgia è più piccola ma altrettanto attiva e il suo vescovo è Benjamin Bet Yadegar”.

Inoltre, l’ambasciatore ha ripercorso la storia della Georgia, ricca di fermenti, fino all’arrivo del cristianesimo con la predicazione degli apostoli Andrea e Simeone, fino alla conversione del popolo operata dall’apostolo Santa Nino. Questo ha fatto del cristianesimo una “colonna dell’identità georgiana”, e grazie al cristianesimo “la Georgia legò il suo destino alla civiltà occidentale e intraprese il percorso politico-culturale prima verso Roma, poi verso tutta l'Europa”.

Da qui, la consapevolezza georgiana dell’identità europea che ha portato la Georgia, nel marzo 2022, a fare domanda di adesione all’Unione Europea. Il Consiglio Europeo, nel giugno 2022, ha fornito 12 raccomandazioni per poter andare avanti nel progetto europeo.

Ma, denuncia l’ambasciatore, “dopo l’invasione della Russia in Georgia nell'agosto 2008, il venti per cento del territorio del nostro paese è ancora occupato dalla Russia, violando i nostri confini internazionalmente riconosciuti”, e “più di mezzo milione di persone sono ancora sfollati e rifugiati nella loro terra natale e sperano ancora di tornare alle loro case”. Ci sono, aggiunge, “tanti casi di annessione strisciante, la ‘borderizzazione’ con la posa del filo spinato, mettendo il banner che segnano il ‘confine’. La situazione nei territori occupati è preoccupante in termini di sicurezza, i diritti umani fondamentali sono violati da tempo”.

L’ambasciatore Bagrationi ha comunque sottolineato che la Georgia vuole risolvere tutti i problemi in maniera diplomatica, e ha ricordato che i georgiani “conoscono molto bene il prezzo della guerra e il prezzo della pace”, e questo non può che portarli a solidarizzare con l’Ucraina a un anno e mezzo dalla guerra condotta nel territorio. “La Georgia – ha detto il rappresentante di Tbilisi presso la Santa Sede - sostiene fermamente la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina. Sappiamo bene cosa porta la guerra e facciamo di tutto per la pace”.

Il mondo, ha aggiunto, sta cambiando e non sarà mai più lo stesso, e “la nostra storia comune mostra che non esiste alternativa alla cooperazione multilaterale e a un ordine internazionale basato su le regole per garantire la pace, la prosperità e la stabilità nel mondo”.

E, ricordando che l’1 giugno è la festa di Santa Nino, pari degli apostoli, portò in Georgia il cristianesimo (è il 323, esattamente 1700 anni fa), ha detto che “è sembrato simbolico questo giorno, per ricordare la necessità di realizzare una pacifica convivenza”.

Papa Francesco riceve le credenziali dell’ambasciatore della Costa d’Avorio

Il 3 giugno, Papa Francesco ha ricevuto le lettere credenziali di Vhangha Patrice Koffi, nuovo ambasciatore della Costa d’Avorio presso la Santa Sede.

Koffi ha una lunga carriera politico – diplomatica alle spalle, e dopo vari incarichi tra ministeri e ufficio del primo ministro, dal 2006 ha cominciato ad avere incarichi in diplomazia, prima come consigliere dell’ambasciata di Costa d’Avorio in Belgio (2006 – 2009) e poi per quello nei Paesi Bassi (2009 – 2013), prima di rientrare ad Abidjan dove ha lavorato come Consigliere per gli Affari Esteri, Dipartimento Centrale, MAE (2013 – 2014); Direttore a.i. del Protocollo di Stato (2014 – 2015); Direttore Generale del Protocollo di Stato (2015 – 2018).

Quello presso la Santa Sede è il suo secondo incarico come ambasciatore. Viene dalla posizione di ambasciatore di Costa d’Avorio in Israele, che ha ricoperto dal 2017 al 2022.

                                                           FOCUS EUROPA

Il nunzio in Ucraina cerca soluzioni creative per la pace

L’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, ambasciatore della Santa Sede in Ucraina, è intervenuto durante una conferenza organizzata dal MEAN, il Movimento Europeo di Azione Non Violenta.

Ammettendo la stanchezza mentale di una situazione difficile, data anche dall’impossibilità di parlare con i sacerdoti cattolici allontanati dalle zone occupate dei russi, di non aver potuto aiutare i cittadini di Mariupol, di non aver potuto salvare i bambini scomparsi, l’arcivescovo Kulbokas ammette la difficoltà di trovare nuove idee per uscire dal conflitto.

L’intervento avviene nella seconda giornata del convegno su “La costruzione della pace in Europa da Sarajevo a Kyiv”, che si è tenuta la scorsa settimana presso la Pontificia Università Antonianum di Roma.

Il MEAN riunisce 35 organizzazioni italiane e più volte è stato in Ucraina, ascoltando popolazioni e istituzioni ma anche costruendo un “villaggio della pace” per sostenere la gente. Anche il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI e inviato del Papa in Ucraina e in Russia (ancora da vedere con quali modalità) ne ha lodato l’impegno, sottolineando che “siamo in un momento in cui la pace non ha nulla di retorico. Abbiamo urgenza di via di pace”.

Al convegno è intervenuto anche l’economista Stefano Zamagni, che da presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali stilò una proposta di pace in sette punti e che oggi parla della guerra in Ucraina come “la prima guerra globale nella storia dell’umanità”.

Zamagni ha chiesto quindi “una riforma dell’intero sistema internazionale”, che preveda “una condanna esplicita al neocolonialismo e all’appropriazione di terre da parte di Paesi esteri, all’abolizione dei paradisi fiscali, all’assunzione di un modello di integrazione per i migranti, che sia interculturale e non assimilazionista e a un piano efficace per la transizione ecologica. Le stesse Nazioni Unite andrebbero riorganizzate, con una seconda Assemblea in rappresentanza della società civile di tutto il mondo”. È, questa della riforma delle Nazioni Unite, una sorta di “cavallo di battaglia” della Santa Sede, che da tempo parla di una riforma delle Nazioni Unite. Zamagni parlò dell’idea di una seconda camera dell’ONU proprio quando presentò l’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI nel 2009, mentre l’idea di una governance mondiale con competenze universali era già nella Pacem in Terris di Giovanni XXIII.

Il MEAN, tra l’altro, promuove i cosiddetti “Corpi civili di pace”, una sorta di aiuto alle popolazioni e alle istituzioni di un determinato territorio, che possa intervenire in autonomia e legittimità politica nelle situazioni che stanno degenerando prima che il conflitto esploda o, al termine di questo, per evitare che si verifichi nuovamente.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Telefonata Papa Francesco – Lula

Papa Francesco e il presidente brasiliano Luiz Inâcio Lula da Silva hanno avuto una conversazione telefonica la mattina del 31 maggio. La circostanza è stata confermata dalla Sala Stampa della Santa Sede e dal governo brasiliano. Quest’ultimo, in una nota, ha fatto sapere che il presidente ha espresso gratitudine a Papa Francesco per l’impegno in difesa dell’Amazzonia (tema caldo in Brasile, dove c’è in questi giorni una protesta di indigeni che si sentono depredati dalle loro terre), invitandolo a visitare una seconda volta il Brasile.

Il Brasile è uno Stato interessante anche per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, considerando che fa parte dei BRICs (Brasile, Russia, India, Cina), il gruppo di Paesi che fa da alternativa alla predominanza del commercio mondiale occidentale, e dunque uno dei Paesi in dialogo con la Russia.

In effetti, Lula ha ribadito la sua proposta di un gruppo di nazioni tra cui il Brasile, che medi per una risoluzione pacifica della guerra in Ucraina, parlando al Papa dei suoi colloqui con altri leader alla ricerca di una soluzione per la pace.

Lula si è anche detto grato al Papa per la lotta alla povertà, e per “le menzioni e la solidarietà del Papa con il Brasile negli ultimi anni”. Un riferimento anche alle parole di vicinanza che Francesco ha condiviso pubblicamente o privatamente con i vescovi ricevuti in visita ad limina a settembre e ottobre 2022, quando il Paese affrontava le elezioni – segnate da non poche tensioni e spaccature – che hanno visto la vittoria di Lula sul predecessore Jair Bolsonaro

Lula potrebbe essere ricevuto in Vaticano da Papa Francesco a giugno o luglio di quest’anno. Sarebbe la prima udienza da quando Lula è stato rieletto presidente, ma non la prima in assoluta, considerando che il presidente brasiliano è stato in Vaticano nel 2009, facendo visita a Benedetto XVI, e poi aveva avuto una udienza di circa un’ora con Papa Francesco il 13 febbraio 2020, durante la quale si era parlato di democrazia, ambiente, diseguaglianze ed economia inclusiva.

I vescovi di Ecuador e Colombia hanno sostenuto di fare un incontro alla frontiera

I vescovi di Ecuador e Colombia, convocati dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, hanno tenuto un incontro alla frontiera di entrambi i paesi per analizzare la situazione migratoria ed elaborare una proposta interdiocesana.

Ecuador e Colombia condividono una frontiera di circa 586 chilometri, e il programma di lavoro dell’incontro ha incluso “spazi di dialogo per condividere esperienze pastorali, una riflessione comune e scambiare proposte di azione congiunta per accogliere, proteggere, promuovere e integrare migranti, rifugiati e sfollati”.

Partecipavano non solo i vescovi della frontiera, ma anche i delegati della nunziatura apostolica di entrambi i Paesi e delle presidenze della Conferenza Episcopale di Colombia ed Ecuador, e poi di Caritas Colombia, Caritas Ecuador e della International Catholic Migration Commission.

Secondo una nota del Consiglio Episcopale dell’America Latina, “i vescovi hanno presentato il contesto migratorio nelle loro giurisdizioni e le loro azioni pastorali che hanno messo in campo per servire e accompagnare le persone in movimento”.

Sono venute fuori anche sfide pastorali che vengono fuori da questi contesti e dal crescente flusso migratorio. Le chiese presenti all’incontro hanno rinnovato il loro impegno con fratelli e sorelle migranti, rifugiati, sfollati interni, perché si continui a collaborare fino al disegno e all’applicazione di una pastorale migratoria interdiocesana e transnazionale.

El Salvador, la denuncia del Cardinale Chavez: c’è un regime di terrore

Dopo la legge dell’eccezione promulgata dal presidente Nayib Bukele, in El Salvador “c’è un regime di terrore”, nelle parole del Cardinale Gregorio Rosa Chavez, vescovo ausiliare emerito di San Salvador.

Il Cardinale ha detto che, da quando il 27 marzo si è promulgata la “Legge di eccezione” per affrontare le bande armate, “lo Stato ha proceduto senza diritti fondamentali come la libertà di espressione, di riunione, di un giusto processo”, e questo “è qualcosa di pericolosissimo per quanti hanno coscienza di cosa sia la dignità umana”.

Il Cardinale ha anche sottolineato che “le macchine propagandistiche del governo” vendono una immagine positiva, che non corrisponde alla realtà.

Il Cardinale Rosa Chavez ha insistito che smontare un macchinario di propaganda “non è stato facile” perché “non rispetta alcun criterio etico, che si oppone a questa decisione di vita sociale”.

L’ausiliare emerito di El Salvador ha denunciato che le reti sociali sono diventati scenari di attacchi contro la sua persona, come ha fatto il deputato Christian Guevar, del Partito Nuove Idee, che lo ha accusato di essere connivente con le bande armate ed ha guadagnato al cardinale una valanga di improperi.

In particolare, il porporato è sotto attacco per il suo lavoro pastorale con i giovani a rischio. Ci sono stati diversi incidenti che hanno portato ad un incrinamento delle relazioni tra Stato e Chiesa.

Rosa Chavez ha sottolineato che “nei governi precedenti c’era un telefono diretto cui qualcuno poteva chiamare e prendere contatto con il governo, ora non c’è niente di tutto questo.

Insomma, c’è un “regime di terrore”, di fronte al quale “come pastori dobbiamo seguire l’esempio di Romero fino alle ultime conseguenze”.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Il Cardinale Rai in visita da Parolin

Il Cardinale Bechara Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti, è stato a Roma il 29 maggio per incontrare il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. La tappa a Roma ha preceduto il viaggio a Parigi, dove il cardinale ha invece incontrato il presidente francese Emmanuel Macron.

Con Rai, c’era una delegazione composta Arcivescovi Boulos Matar, Peter Karam, Maroun Nasser Gemayel, da Mons.Amin Shaheen,  dall'ambasciatore del Libano a Parigi, Rami Adwan e dal portavoce del Patriarcato, Walid Ghayyad.

Temi degli incontri del Cardinale Rai, la crisi istituzionale nel Paese dei Cedri, che ha visto il Cardinale in prima linea con omelie dal forte impatto e proposte politiche, come quella della “neutralità attiva” del Libano, portata anche sul tavolo di Papa Francesco.

Il Libano non ha un presidente dal 30 ottobre 2022, quando il generale Michel Aoun ha terminato l’incarico.

Il presidente del Libano, secondo la Costituzione, resta in carica per sei anni e non può essere eletto per un secondo mandato in maniera consecutiva. Il presidente può nominare e revocare il Primo Ministro. Secondo una consuetudine condivisa, ma non scritta nella Costituzione, l’incarico di Primo Ministro va affidato ad un cristiano.

Rai ha anche un suo programma settimanale di formazione cristiana, e ora ha l’intenzione di proporre un incontro con tutti i deputati, sia musulmani che cristiani.

Appena prima del suo viaggio a Roma, è giunta la notizia che i tre più grandi blocchi di cristiani nel Parlamento europeo hanno fatto passi avanti nel raggiungere un consenso per il candidato presidenziale. Il nome più gettonato sembra quello di Jiha Azour, 57 anni, già ministro delle finanze. Il Patriarca Rai ha fatto riferimento al consenso nella sua omelia del 28 maggio, alla vigilia del suo viaggio in Vaticano, quando ha anche auspicato che “il caos che ha luogo a diversi livelli” si fermi presto.

Tuttavia, non è ancora sicura la candidatura di Azour, perché il blocco cristiano potrebbe sempre cambiare idea all’ultimo momento.