Nuoro , mercoledì, 31. maggio, 2023 14:00 (ACI Stampa).
C’è continuità o discontinuità fra culti pagani e culto cristiano? Di questo ricco argomento ne discuterà don Massimo Naro, direttore del Centro Studi Cammarata di San Cataldo dal 2004, durante un evento davvero particolare. L’occasione sarà il Ventennale della fondazione del Museo delle Maschere Mediterranee a Mamoiada in Sardegna. ll Museo delle Maschere di Mamoiada ospiterà un convegno e tanti eventi, il 3 al 4 giugno. Questo piccolo comune sardo è famoso anche perché legato alla suggestiva tradizione del suo Carnevale con le maschere di sos Mamuthones e sos Issohadores e alla festa di Sant’Antonio Abate. Come si legano il sacro e il profano? Ne abbiamo parlato con Don Massimo Naro.
Il suo intervento al convegno che si terrà a Mamoiada si inscrive in un progetto di ricerca volto a studiare – ancora una volta e una volta di più – i riti che in quella località sarda si celebrano annualmente attorno alle figure dei cosiddetti Mamuthones. Che tipo di rapporto esiste, se esiste, tra i culti pagani, di cui i Mamuthones sembrano essere un retaggio, e il culto cristiano che vi si inserisce nel momento in cui i Mamuthones sono accostati alla figura di sant’Antonio abate?
In generale, senza ancora entrare dettagliatamente nel caso specifico che si configura a Mamoiada con i suoi Mamuthones, si può ben parlare di un rapporto di continuità e discontinuità fra culti pagani e culto cristiano. Difatti, a partire dal concilio di Nicea (325 d.C.) si afferma definitivamente nella teologia cristiana il principio secondo cui ciò che non viene assunto dal Logos umanatosi in Cristo Gesù non viene neppure redento. Ne consegue che è necessario che tutto venga assunto e che nulla resti escluso, al fine di realizzare l’avvertimento dato dal Cristo ai suoi discepoli: «La volontà del Padre vostro celeste è che neanche uno di questi piccoli si perda», come leggiamo nel capitolo 18 del vangelo secondo Matteo. In forza di questa logica incarnatoria si sviluppa un ininterrotto processo di inculturazione del messaggio evangelico e della fede cristiana nei vari contesti culturali e religiosi in cui il cristianesimo di volta in volta si va innestando, in tutto il bacino Mediterraneo prima e altrove, ovunque i flussi missionari faranno riecheggiare l’annuncio evangelico, nel prosieguo dei secoli. Così i culti cosiddetti “pagani” di volta in volta, nei diversi contesti in cui l’incontro e il confronto si realizza, vengono lasciati cadere oppure assunti e risignificati.
Come può valere questo discorso generale nel caso specifico dei Mamutones sardi?
I Mamuthones di Mamoiada sono protagonisti di un rito sui generis. Un rito, cioè, che non viene celebrato in uno dei cosiddetti “tempi forti” della liturgia cristiana, per esempio in quaresima o a Pasqua, oppure ancora in prossimità del Natale, ma piuttosto nei giorni in cui ogni anno cade il carnevale. Sotto questo punto di vista il rito inscenato dai Mamuthones, che pur mantiene ed esprime una certa atavica sacralità, non mi sembra un vero e proprio atto di culto, analogo alle tante manifestazioni della religiosità popolare che in ogni contrada d’Italia si possono incontrare ancora ai nostri giorni, seppure anch’esse innestate di elementi folkloristici eterogenei rispetto alle loro origini devote. Le tipiche manifestazioni della religiosità popolare hanno comunque la pretesa di esprimere la devozione del popolo credente – quella che in termini più appropriati dovremmo chiamare la “pietà popolare” – verso il Cristo crocifisso e risorto, verso la Madre sua venerata sotto diverse denominazioni a seconda del tipo di grazia che i devoti vogliono ottenere tramite la sua intercessione, e ancora verso i santi, invocati a patrocinare le attività umane la cui buona riuscita i devoti vogliono garantirsi ponendosi sotto la loro protezione. I Mamuthones di Mamoiada non sembrano avere a che fare con nulla di tutto ciò. Sono del tutto “laici” o, per essere più precisi e più coerenti alla realtà del fenomeno di cui stiamo parlando, sembrano essere pre-cristiani. In ogni caso non si inseriscono dentro il calendario dei tempi forti liturgici. E difatti entrano in scena nei giorni del carnevale. Tuttavia, a ben pensarci, nel contesto culturale – ampiamente e profondamente secolarizzato – in cui oggi viviamo, il carnevale a me sembra essere l’ultimo promemoria di una antica maniera cristiana di intendere e vivere il tempo annuale, con le sue varie stagioni ricondotte a un ritmo festivo cadenzato dal ricordo della vicenda del Cristo e dalla devozione verso i santi che l’hanno ricopiata in sé e rivissuta a loro volta.