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Papa Francesco, l’artista come espressione delle inquietudini umane

Il Papa incontra i partecipanti al convegno della Civiltà Cattolica su L’estetica Globale dell’Immaginazione Cattolica

Papa Francesco | Papa Francesco durante l'udienza con i partecipanti al convegno di Civiltà Cattolica e Georgetown University | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco | Papa Francesco durante l'udienza con i partecipanti al convegno di Civiltà Cattolica e Georgetown University | Vatican Media / ACI Group

Papa Francesco delinea la figura di un artista che è prima di tutto “espressione delle inquietudini umane” e ricorda che “il vero significato non è quello del dizionario, quello della parola: la parola è uno strumento di tutto quello che è dentro di noi” di fronte ai partecipanti del convegno promosso da La Civiltà Cattolica e la Georgetown University sul tema “L’estetica globale dell’immaginazione cattolica”.

Riprendono le udienze regolari, dopo che Papa Francesco ha fatto una pausa di un giorno ieri a causa di un episodio febbrile dovuto forse alla stanchezza della giornata ricca di impegni di giovedì. E, tra le udienze, c’è appunto quella dei partecipanti di un convegno che riunisce poeti, scrittori, sceneggiatori e registi di varie parti del mondo attorno al tema dell’immaginazione poetica e dell’ispirazione cattolica.

Il Papa, che ricorda anche la sua esperienza da insegnante, sottolinea che “le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo”, ma anche “ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale”.

Da qui, il significato di una parola, che “non è un significato ridotto a un concetto”, ma è piuttosto “un significato totale, che prende la poesia, il simbolo, i sentimenti”.

Chi sono gli artisti per Papa Francesco? Sono prima di tutto “gli occhi che guardano e sognano”, cioè che sanno guardare in profondità, profetizzare e annunciare “un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi”.

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La poesia, nota Papa Francesco, “non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa”. E l’arte “è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose”.

Papa Francesco nota che lo stesso Vangelo è “una sfida artistica, con una carica rivoluzionaria”, e per questo la Chiesa ha bisogno della genialità degli artisti.

I quali, aggiunge il Papa, sono anche “la voce delle inquietudini umane”. E ricorda la scena del bambino, nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, figlio di una serva che lanciando una pietra colpisce la zampa di uno dei cani del padrone, e il padrone “aizza tutti i cani contro il bambino. Lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e quelli disperati della madre”.

È una scena di “una potenza artistica e politica tremenda”, che “parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali”, guardando anche alle “tensioni dell’anima”, perché “ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate: questo è il vostro terreno fertile, il vostro campo di azione”.

In questo luogo “si fa esperienza di Dio”, una esperienza spesso “debordante”, così come il Papa chiede agli artisti di “andare oltre i bordi chiusi e definiti, essere creativi, senza addomesticare le vostre inquietudini e quelle dell’umanità”, perché è lì che si permette allo Spirito “di agire, di creare armonia dentro le tensioni e le contraddizioni della vita umana, di tenere acceso il fuoco delle passioni buone e di contribuire alla crescita della bellezza in tutte le sue forme, quella bellezza che si esprime proprio attraverso la ricchezza delle arti”.

Per il Papa, è questo il lavoro degli artisti, “un lavoro evangelico che ci aiuta a comprendere meglio anche Dio, come grande poeta dell’umanità”. E a loro chiede di non smettere di essere “originali e creativi” nonostante le critiche.

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Perché gli artisti sono “tra coloro che plasmano la nostra immaginazione”, perché il lavoro che fanno “ha una conseguenza sull’immaginazione spirituale delle persone del nostro tempo, specialmente riguardo alla figura di Cristo”.

Insomma, “la vostra opera ci aiuta a vedere Gesù, a guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che ne oscura il volto o, ancor peggio, da tutto ciò che vuole addomesticarlo. Addomesticare il volto di Cristo, quasi per tentare di definirlo e di chiuderlo nei nostri schemi, significa distruggere la sua immagine: Cristo è sempre più grande, è sempre un mistero che in qualche modo ci sfugge. Si fa fatica a metterlo dentro una cornice e ad appenderlo al muro”.

La sfida consegnata agli artisti è allora quella di “non spiegare il mistero di Cristo, che in realtà è inesauribile”, ma di farlo “toccare, farlo sentire immediatamente vicino”, perché “la sua promessa aiuta la nostra immaginazione: ci aiuta a immaginare in modo nuovo la nostra vita, la storia, il futuro dell’umanità!”