La poesia, nota Papa Francesco, “non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa”. E l’arte “è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose”.
Papa Francesco nota che lo stesso Vangelo è “una sfida artistica, con una carica rivoluzionaria”, e per questo la Chiesa ha bisogno della genialità degli artisti.
I quali, aggiunge il Papa, sono anche “la voce delle inquietudini umane”. E ricorda la scena del bambino, nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, figlio di una serva che lanciando una pietra colpisce la zampa di uno dei cani del padrone, e il padrone “aizza tutti i cani contro il bambino. Lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e quelli disperati della madre”.
È una scena di “una potenza artistica e politica tremenda”, che “parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali”, guardando anche alle “tensioni dell’anima”, perché “ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate: questo è il vostro terreno fertile, il vostro campo di azione”.
In questo luogo “si fa esperienza di Dio”, una esperienza spesso “debordante”, così come il Papa chiede agli artisti di “andare oltre i bordi chiusi e definiti, essere creativi, senza addomesticare le vostre inquietudini e quelle dell’umanità”, perché è lì che si permette allo Spirito “di agire, di creare armonia dentro le tensioni e le contraddizioni della vita umana, di tenere acceso il fuoco delle passioni buone e di contribuire alla crescita della bellezza in tutte le sue forme, quella bellezza che si esprime proprio attraverso la ricchezza delle arti”.
Per il Papa, è questo il lavoro degli artisti, “un lavoro evangelico che ci aiuta a comprendere meglio anche Dio, come grande poeta dell’umanità”. E a loro chiede di non smettere di essere “originali e creativi” nonostante le critiche.
Perché gli artisti sono “tra coloro che plasmano la nostra immaginazione”, perché il lavoro che fanno “ha una conseguenza sull’immaginazione spirituale delle persone del nostro tempo, specialmente riguardo alla figura di Cristo”.
Insomma, “la vostra opera ci aiuta a vedere Gesù, a guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che ne oscura il volto o, ancor peggio, da tutto ciò che vuole addomesticarlo. Addomesticare il volto di Cristo, quasi per tentare di definirlo e di chiuderlo nei nostri schemi, significa distruggere la sua immagine: Cristo è sempre più grande, è sempre un mistero che in qualche modo ci sfugge. Si fa fatica a metterlo dentro una cornice e ad appenderlo al muro”.
La sfida consegnata agli artisti è allora quella di “non spiegare il mistero di Cristo, che in realtà è inesauribile”, ma di farlo “toccare, farlo sentire immediatamente vicino”, perché “la sua promessa aiuta la nostra immaginazione: ci aiuta a immaginare in modo nuovo la nostra vita, la storia, il futuro dell’umanità!”
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