Ma quale è il senso della giornata? Da tempo, la Santa Sede pone particolare attenzione alle comunità rurali, che spesso vengono poco considerate nei consessi internazionali, ma che rappresentano le comunità più di tutte a contatto con il territorio. Coltivano i campi, forniscono la materia prima e hanno una importanza sostanziale. I lavoratori di questo settore sono spesso sfruttati, e si trovano in condizioni di indigenza.
In molti degli ultimi interventi della Santa Sede alla FAO, c’è un accenno al ruolo di queste comunità rurali. La Santa Sede, però, guarda alle comunità, non solo agli individui. E così è stata tra le prime organizzazioni internazionali a mettere in luce il ruolo delle donne in queste comunità. Non solo le donne che sostengono la famiglia. Sono le donne che contribuiscono al raccolto, e a rendere sicuro il cibo per la loro famiglia. Sono parte di una comunità che lavora, e che non può essere messa da parte.
È l’approccio della Santa Sede, che guarda alle persone non come individui, ma come parti di comunità, e alle famiglie come cellule fondamentali della società. Le donne, tra l’altro, compongono circa il 43 per cento della forza lavoro di queste comunità rurali, sono produttive e intraprendenti, eppure vivono maggiori difficoltà ad accedere alla terra, al credito, ai mercati, all’educazione e all’assistenza sanitaria.
I fatti, però, dicono che le donne sono fondamentali. Il microcredito della Grameen Bank del Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus funzionò proprio perché il credito veniva concesso per la maggior parte alle donne, che avevano ancora più voglia di essere affidabili, e che avevano una percentuale di restituzione altissima.
Varie le prospettive da cui è stato affrontato il tema: come detto, padre Ciceri ha parlato della donna nel settore della pesca; la professoressa Nuria Calduch, direttrice del Dipartimento di Teologia Biblica della Facoltà di Teologia, ha parlato delle donne e il lavoro agricolo nella Bibbia; il professor Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica presso l'Università di Bologna, su donne, economia familiare e sradicamento della povertà; la dottoressa Marcela Villarreal, direttrice della divisione di partenariati e collaborazione con l’ONU presso la FAO, sul ruolo chiave delle donne nella lotta alla fame; la dottoressa Priscila Pereira De Andrade, Legal Officers, UNIDROIT, su donne e accesso al credito; la dottoressa Satu Santala, vicepresidente associato per le relazioni esterne e la governance dell'IFAD, sull’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare delle donne nel mondo; la dottoressa Flaminia Giovanelli, già sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, sul ruolo delle donne nei conflitti armati e nei processi di pace; la dottoressa Gabriella Gambino, sottosegretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, su donne tra famiglia e lavoro. “Perché la donna? – si è chiesta la professoressa Gambino - Perché alla fin fine è lei che nei contesti più poveri – sia in senso materiale, che relazionale e sociale - si fa carico dei più piccoli, dei fragili. È lei ad escogitare con creatività e intelligenza modalità sempre nuove per rispondere ai bisogni dell’essere umano”.
E aggiunge: “L’esperienza della cura prende le mosse dall’esperienza della vulnerabilità. In troppi paesi del mondo ancora, le donne, che sanno farsi carico della comunità, della famiglia e dei piccoli, sono esse stesse mantenute in condizioni di povertà e vulnerabilità, sotto lo sguardo rigido di istituzioni che stentano a creare le condizioni perché possano avere tutele, autonomia, indipendenza economica, rispetto della loro dignità. A ciò si aggiunge, non solo in Africa, ma in tutto il mondo, la solitudine, che espone alla fragilità, alla disumanità, alla violenza”.
Alcune cifre aiutano a comprendere. Il 36 per cento della forza lavoro nei sistemi agricoli è composto da donne. Il 66 per cento delle donne che lavorano nell’Africa Subsahariana e il 71 per cento delle donne che lavorano nell’Asia del Sud lavorano in sistemi agricoli. Eppure, ha notato la professoressa Villareal, c’è ancora discriminazione, si accetta persino che le donne vengano picchiate, e questo “spiega molto della differenza di salario e gap di produttività”.
Le politiche delle Nazioni Unite, tuttavia, stanno cambiando molto rapidamente, e il 75 per cento dei documenti riconoscono l’importanza delle donne. “È stato calcolato – ha detto - che se le donne avessero pari condizioni nell'accesso a conoscenze, credito, servizi, il problema della fame si ridurrebbe in maniera consistente”.
Padre Ciceri, tra le altre cose, ha notato che vengono raccolti i dati che riguardano il lavoro, ma non vengono raccolti dati sui danni alle attività complementari e di supporto esercitati dalle donne, e che la priorità dovrebbe essere quella di “migliorare le condizioni di vita delle loro famiglie”.
C’è, insomma, molto da fare, anche nell’ambito di una nuova geopolitica mondiale che si sta delineando e che andrà sempre più a ridefinire il rapporto tra donne e lavoro.
Il problema è, piuttosto, come questi documenti vengano redatti, perché spesso la questione della donna viene utilizzata come un “grimaldello” per introdurre l’ideologia gender.
Flaminia Giovannelli, già sottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha invece affrontato il ruolo delle donne in aree di conflitto. E ha messo in luce le caratteristiche delle donne: da prime vittime di violenza al coraggio e alla fortezza che le donne esprimono nelle situazioni. In particolare, ha detto “e hanno dato testimonianza da sempre le madri dei soldati russi: senza aspettare la guerra in corso, basta leggere il libro di Anna Politkovskaja… ne danno testimonianza le madri ucraine che cercano senza sosta di recuperare i loro bambini che sono stati deportati in modo silenzioso e ingannevole, ne danno testimonianza le madri nigeriane delle studentesse rapite nel 2014 e che sono andate a reclamarle fino alle Nazioni Unite”, con una fortezza che ha portato alla campagna “Bring Back Our Girls”.
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Ma anche il caso in Myanmar di “una piccola donna, quinta di 13 figli delle campagne del Nord del Paese, Suor Ann Rose Nu Tawng, riuscì a fermare gli attacchi che la polizia stava per sferrare contro i manifestanti mettendosi in ginocchio davanti ai poliziotti. In una delle foto, che forse ricorderete, due poliziotti, a loro volta, si sono inginocchiati davanti a lei”.
E questo fatto – aggiunge Giovannelli “testimonia la forza e la potenza della non-violenza che, come dice Rajagopal, in Asia può sembrare un luogo comune, mentre in molte parti del mondo è un’idea che non è mai stata seriamente abbracciata. Ma Suor Ann, che è infermiera, è anche testimone del fedele e dedicato compito della cura, la cura degli ammalati, la cura degli anziani, la cura dei bambini, che ha sempre caratterizzato il ruolo della donna nei conflitti armati”.
Sono proprio questi casi che testimoniano quanto il ruolo della donna possa essere cruciale, e lo è tra l’altro nei “processi di pace che mirano a ottenere la pace” attraverso lo sviluppo integrale, e di cui le donne sono protagoniste”, perché “è dalle donne che dipende il sostentamento dei loro familiari e soprattutto dei loro bambini, e molto spesso anche quello di altri bambini senza genitori o senza genitori che se ne possano occupare. Sono ancora le donne che contribuiscono a rafforzare le loro comunità, perché capaci di lavorare in gruppo, e a raggiungere la necessaria sicurezza alimentare e nutrizionale”.