Se le indiscrezioni verranno confermate dal resoconto di Civiltà Cattolica, la questione di padre Jalics avrebbe avuto comunque un posto importante nella conversazione. Insieme all’altro gesuita Orlando Yorio erano stati rapiti e torturati dal regime militare in Argentina, nelle cui mani rimasero per cinque mesi.
Era il maggio 1976, e in quel tempo Jorge Mario Bergoglio era provinciale dei gesuiti di Argentina. Bergoglio si adoperò anche per la liberazione dei due confratelli, ma fu detto che era stato lui stesso a denunciarli al regime di Videla. Una questione, questa, che fu smentita dallo stesso Padre Jalics, con un comunicato ufficiale diffuso sul sito della provincia tedesca dei Gesuiti, dato che lui si stabiliva a Monaco, e che diceva seccamente: “Orlando Yorio e io non siamo stati denunciati da Bergoglio”.
Tra l’altro, Papa Francesco incontrò lo stesso Jalics il 5 ottobre 2013. Yorio, che invece non era nemmeno più rientrato nei gesuiti, era morto nel 2000, senza mai cambiare il suo punto di vista sull’operato di Bergoglio.
Facile pensare che la questione sia stata posta dai gesuiti di Ungheria a Papa Francesco, considerando che Jalics era ungherese e che è morto a Budapest. I gesuiti volevano anche dare l’opportunità al Papa di raccontare il modo in cui ha visto le cose.
In fondo, lo stesso Papa Francesco era stato interrogato negli Anni Settanta, era andato personalmente in prigione per chiedere la liberazione dei confratelli, e aveva incontrato padre Jalics non solo quando era già Papa, ma anche in una altra occasione.
Ma cosa era successo esattamente? Vale la pena lasciare la parola al comunicato che Jalics pubblicò nel 2013, e di cui si ha traccia solo perché fu riportato ampiamente dai siti di informazione. Il comunicato, infatti, non si trova più sul sito, che è stato ristrutturato quando la provincia è diventata la “Provincia del’Europa Centrale” (questo era il link precedente: https://www.jesuiten.org/aktuelles/details/article/erklarung-von-pater-franz-jalics-sj.html).
“Vivevo – raccontava padre Jalics - dal 1957 a Buenos Aires, e nel 1974, mosso da intimo desiderio di vivere il Vangelo e di essere attento alla terribile povertà, con il permesso dell'arcivescovo Aramburu e dell'allora padre provinciale Jorge Mario Bergoglio mi sono trasferito con un confratello in una favela, una baraccopoli della città. Da lì abbiamo continuato le nostre attività di insegnamento all'università”.
Padre Jalics aggiunse che “in quella situazione analoga ad una guerra civile la giunta militare ha ucciso in uno, due anni, circa 30mila persone, guerriglieri della sinistra come anche incolpevoli civili. Noi due nella favela non avevamo contatti né con la giunta né con la guerriglia. Per la mancanza di informazioni di allora e per false informazioni fornite appositamente la nostra posizione era stata fraintesa anche nella Chiesa. In quel periodo abbiamo perso il contatto con uno dei nostri collaboratori laici, che si era unito alla guerriglia. Dopo il suo arresto e il suo interrogatorio da parte dei militari della giunta, avvenuto nove mesi più tardi, questi ultimi hanno appreso che aveva collaborato con noi. Per questo siamo stati arrestati, con la supposizione che anche noi avessimo a che fare con la guerriglia”.
Quindi, “dopo un interrogatorio di cinque giorni, l'ufficiale che aveva condotto l'interrogatorio stesso si è congedato con queste parole: 'Padri, voi non avete colpe e mi impegnerò per farvi tornare nei quartieri poveri'. Nonostante quell'impegno restammo incarcerati, per noi inspiegabilmente, per altri cinque mesi, bendati e con le mani legate”.
Padre Jalics poi chiarì di non poter “prendere alcuna posizione riguardo al ruolo di Jorge Mario Bergoglio. Dopo la nostra liberazione ho lasciato l'Argentina. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente. Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa.”.
In un secondo comunicato, Jalics ribadiva che “Orlando Yorio ed io non fummo denunciati da padre Bergoglio. Come avevo chiarito nella mia precedente spiegazione, fummo incarcerati a causa di una catechista che dapprima lavorava con noi e poi entrò nella guerriglia (a causa di un errore di traduzione nella precedente spiegazione si parlava di un uomo). Per tre quarti di anno non l'abbiamo vista. Due o tre giorni dopo il suo arresto fummo arrestati anche noi”.
Successe poi che “l'ufficiale che mi interrogò controllò i miei documenti. Quando vide che ero nato a Budapest, mi ritenne una spia. Nella provincia dei gesuiti argentini e nei circoli ecclesiali già negli anni precedenti erano state diffuse false informazioni sul fatto che ci saremmo trasferiti nella favela perché anche noi appartenevamo alla guerriglia”.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Le parole di Jalics misero in qualche modo la parola fine al caso Bergoglio. Tra l’altro, sono molte le testimonianze che sottolineano come quel giovane provinciale dei gesuiti di fosse adoperato in più occasioni per salvare i suoi confratelli. Lo fece con la necessaria prudenza, perché era difficile distinguere i nemici dagli amici. Ma è noto che Bergoglio si recò di persona da Videla (capo della giunta militare argentina) per chiedere la liberazione di Yorio e Jalics, per i quali, secondo gli atti della giunta militare, era stato richiesto il passaporto.
Quegli atti sono pubblicati in Argentina, e Papa Francesco nel 2016 ha anche manifestato l’intenzione di aprire alla consultazione gli archivi vaticani relativi al tempo della dittatura in Argentina (1976-1983).