Papa Francesco ha poi sottolineato che “a tutti interessa la strada della pace”, e che lui è “disposto a fare tutto quello che si deve fare”, e che “anche adesso è in corso una missione, ma ancora non è pubblica”.
Il Papa ha anche detto che pensa di poter aiutare nel riportare i bambini deportati in Russia, come richiesto dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal in visita in Vaticano il 27 aprile. Anzi, ha aggiunto – è un dettaglio che aveva rivelato anche l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk – che “la Santa Sede ha fatto da intermediario in alcune delle situazioni dello scambio di prigionieri ed è andata bene”. Piuttosto, il Papa sottolinea che si deve aiutare ricordando che “è un problema di umanità prima di un problema di guerra”, e che “tutti i gesti umani aiutano, mentre i gesti di crudeltà non aiutano”. E anzi chiede di continuare ad aiutare le donne che emigrano con i figli mentre i mariti sono morti o al fronte, di non far spegnere l’ “entusiasmo del momento”.
Capitolo migrazioni, quello che sembra tenere più a distanza Ungheria e Santa Sede. Papa Francesco ribadisce che “l’Europa deve prendere in mano” la situazione, che Cipro, Grecia, Malta e Italia sono i Paesi che accolgono di più, e che l’Europa si deve far sentire.
Papa Francesco collega il problema delle migrazioni con la questione della natalità, perché “ci sono Paesi come Italia e Spagna che hanno non si fanno figli. Ultimamente l'anno scorso io ho parlato a un incontro delle famiglie su questo e ottimamente ho visto che anche il governo e altri governi ne parlano”.
Per quanto riguarda i prossimi viaggi, il Papa ha confermato che andrà a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù, o che comunque “per il momento non è cancellato il viaggio”, e ha confermato anche l’intenzione di andare a Marsiglia per le Giornate del Mediterraneo (dovrebbe essere il 23 settembre) e la Mongolia (che invece dovrebbe avvenire a fine agosto). Ma aggiunge “un ultimo di cui non ricordo il programma". Invece su un incontro tra ragazzi russi e ucraini alla Gmg, il Papa dice che "Americo (Aguiar) ha qualcosa in mente".
Durante la conferenza stampa viene affrontato anche il tema della restituzione dei monumenti, e si chiede al Papa se, dopo la donazione alla Grecia di tre frammenti delle sculture del Partenone custodite ai Musei Vaticani, è disposto ad altri gesti, per esempio ai popoli e i gruppi indigeni del Canada che hanno fatto delle richieste della restituzione degli oggetti nella collezione vaticane come parte del processo di riparazione dei danni subiti nel periodo coloniale.
Papa Francesco risponde che quello del Partenone è stato un “gesto giusto”, ma si deve fare un discernimento comunque sulle restituzioni, e sottolinea che “la restituzione delle cose indigene è in corso con il Canada. Almeno eravamo d'accordo nel farlo. Adesso domando come va quello. Ma l'esperienza che ho avuto con gli aborigeni del Canada che è stata molto fruttuosa anche negli Stati Uniti. I gesuiti stanno facendo qualcosa con quel gruppo di indigeni dentro gli Stati Uniti. Il generale mi ha raccontato l'altro giorno, ma tornando alla restituzione è una misura che si può restituire, che è necessario, che è un gesto che è meglio farlo. Delle volte non si può, non c'è possibilità da politica, possibilità reale o concreta.
Il Papa ha comunque mostrato di amare molto l’Ungheria, di conoscerla anche perché faceva servizio in una parrocchia ungherese da giovane. Così, ha raccontato ai giornalisti di aver avuto esperienze “nel Sessanta, quando studiavo in Cile”, dove erano “tanti gesuiti ungheresi” che erano dovuti andare a lì perché cacciati dall’Ungheria”.
Ma ha anche detto di essere amico “delle suore ungheresi di Maria, che avevano una scuola a venti chilometri da Buenos Aires”, cui faceva una visita “due volte al mese, un po’ da cappellano straordinario”, e con la società ungherese a Buenos Aires.
Scherzando il Papa ha detto che capiva solo le parole goulasch e tocai, poi ha anche conosciuto “l’entusiasmo breve” della rivolta di Budapest del 1956, e poi “la delusione dopo”.
Il Papa però è colpito dalla profonda cultura degli ungheresi, “anche quelli che non erano di una classe sociale alta”, e che parlava “normalmente il tedesco o l'inglese, perché in ungherese non si parla. Fuori dell'Ungheria”.
E ha aggiunto una battuta generale: “Soltanto in paradiso si parla perché dicono che ci vuole un'eternità per imparare la lingua ungherese”.
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