Per quale motivo Benedetto XVI è un servitore di Dio e dell’umanità?
“Lei si riferisce alla mia biografia del pontefice tedesco che porta appunto il titolo ‘Servitore di Dio e dell’umanità’, pubblicata da Mondadori nel 2016. Dopo le dimissioni nel 2013, andai a far visita a papa Benedetto nel monastero ‘Mater Ecclesiae’ in Vaticano. Contrariamente a quanto riferiva la stampa, lo trovai sereno, senza i gravosi impegni pastorali, libero di dedicarsi alla preghiera e alla lettura dei libri, ‘i fedeli compagni di una vita’. Ebbi allora la conferma che da papa aveva scelto il nome di Benedetto, per l’adesione al programma di vita proposto da san Benedetto di Norcia, secondo il quale la vita monastica è una scuola del servizio divino. Dopo il servizio agli uomini come professore e pastore egli poteva dedicarsi ora al servizio divino. Non che in antecedenza non avesse servito Dio, ma era questione di tempo. Dopo aver dedicato gran parte della vita al servizio degli uomini, ora egli voleva avere tempo per Dio”.
Insieme a Balthasar, De Lubac ed altri teologi fondò ‘Communio’: quale contributo offrì alla Chiesa del Concilio Vaticano II?
“Ratzinger diede un contributo assolutamente decisivo allo svolgimento ed all’applicazione del Concilio Vaticano II. Giovane teologo da poco arrivato all’università di Bonn venne notato dal card. Frings, arcivescovo di Colonia e presidente dei vescovi tedeschi. Dopo aver assistito ad una sua conferenza sulle prospettive e le attese cui l’assemblea dei padri conciliari era chiamata a rispondere, il card. Frings lo scelse come suo perito. Sulla sua partecipazione al concilio riporto unicamente il giudizio di padre Y. Congar, generalmente severo nei confronti di altri esperti o padri conciliari: ‘Fortunatamente c’è Ratzinger . E’ ragionevole, modesto, disinteressato, di buon aiuto’. Il suo contributo più importante lo diede alla costituzione sulla divina rivelazione, la ‘Dei Verbum’, per alcuni il documento più importante del Vaticano II. Studiando san Bonaventura per la sua abilitazione all’insegnamento universitario, aveva appreso che la rivelazione non è un codice scritto una volta per tutte bensì un atto d’ amore di Dio che più volte si è ripetuto nei secoli. Volendo mostrare agli uomini la sua benevolenza e la sua misericordia, più volte Dio si rivelò nella storia. Si manifestò ad Abramo, Isacco, Giacobbe, rivolse la sua parola a Mosè e ai profeti. Da ultimo, come recita la Lettera agli Ebrei, si è rivelato definitivamente agli uomini nel Figlio suo Gesù, attraverso la sua predicazione e la sua morte d’amore. La rivelazione, dunque, è un mistero d’ amore di Dio che sempre interpella i credenti e gli uomini tutti come il gesto d’ amore di un Dio misericordioso lento all’ ira e pronto al perdono. Questo concetto Ratzinger trasmise ai vescovi tedeschi ed è al centro della Costituzione sulla Divina Rivelazione. Per l’ applicazione dei testi conciliari ricordo unicamente il suo contributo decisivo per la stesura del Catechismo della Chiesa universale.
Quanto agli altri due teologi fondatori di ‘Communio’, ai tempi del concilio Henri de Lubac era già in età avanzata. Con i suoi libri, tuttavia, egli aveva ridato linfa alla teologia con il ritorno ai padri della Chiesa, con l’ apertura al dialogo con il mondo contemporaneo, con la testimonianza del suo amore alla Chiesa, anche se sottoposto a numerosi e severi provvedimenti di limitazione nell’insegnamento e nella pubblicazione delle sue opere. Al Concilio Vaticano II egli fu un consigliere ascoltato soprattutto dai vescovi africani che si rivolgevano a lui chiedendo consiglio per i loro interventi, per trovare sostegno nella sua autorevolezza. Da ultimo Hans Urs von Balthasar. A causa del suo rapporto con la mistica Adrienne von Speyr egli non venne invitato al Concilio Vaticano II con una esclusione che de Lubac definì scandalosa. Influì ugualmente sul Concilio Vaticano II con due piccoli volumi che invitavano a un atteggiamento diverso verso il mondo contemporaneo. Abbattere i bastioni conteneva in sé quella che papa Francesco ha definito la Chiesa in uscita. La Chiesa è chiamata ad abbattere i bastioni edificati nel corso dei secoli per mostrare il suo vero centro, il cuore di Cristo squarciato dalla lancia di Longino. Alla fase destruens deve poi seguire la fase construens esposta in un altro libretto programmatico dal titolo Solo l’ amore è credibile. La vecchia apologetica non convince più. Solo il linguaggio dell’ amore ha qualche possibilità di essere ascoltato dall’ uomo contemporaneo, l’ uomo per il quale Cristo è morto”.
Quale è l’eredità teologica che Benedetto XVI lascia alla Chiesa?
“ L’opera che contiene in nuce il pensiero, la teologia e la bontà, l’eredità che Joseph Ratzinger/Benedetto XVI lascia alla Chiesa e all’intera umanità è il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Il piccolo volume riproduce la lezione magistrale tenuta dal giovane teologo nel giorno dell’ inizio della sua attività accademica presso l’università di Bonn nel 1954. Il luogo dell’incontro della visione filosofica e di quella religiosa è la ricerca della verità. Tale ricerca deve essere applicata con grande serietà tanto nel campo naturale, quanto in quello religioso. Quando questo avviene le due ricerche sono destinate a incontrarsi e a collaborare. La ricerca filosofica nasce dalla dignità dell’ uomo e della sua ragione che vuole comprendere la sua origine e il suo destino. La ricerca teologica, nasce dalla fede nel Dio Creatore, nel Dio personale che ha a cuore la sorte della sua creatura, gli viene incontro, l’ama fino a condividerne la natura, a intessere con lei un dialogo d’amore. Di qui l’ineliminabile differenza tra pensiero umano e pensiero rivelato all’origine di un dialogo che non può essere mai superato o eliminato. Nella filosofia è l’uomo che cerca Dio a spiegazione del cosmo e di se stesso, nella religione, in particolare in quella cristiana, è Dio che si rivela all’ uomo e offre non solo un pensiero ma comunione e amore. Ratzinger stesso scriveva nel 2004 che questo filo conduttore è presente tanto nella sua opera più famosa, ‘Introduzione al cristianesimo’, quanto nelle sue opere successive”.
Che cosa è il cristianesimo per papa Benedetto XVI?
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“L’ultimo libro di papa Benedetto XVI, ‘Che cos’è il cristianesimo. Quasi un testamento spirituale’, contiene i testi scritti dal pontefice tedesco durante il tempo successivo alle sue dimissioni. Rielaborati e inseriti in un disegno unitario l’opera si presenta come un accorato appello a credere ancora nel cristianesimo, a mettere da parte le pulsioni contrastanti che minacciano di minare l’unità della Chiesa. Questa è portatrice di un messaggio che non ha affatto perso di credibilità. La via cristiana non può trasformarsi in un mero adeguamento al mondo contemporaneo. La Chiesa è credibile come via di salvezza solo se resta la Chiesa di Gesù Cristo, il Figlio di quel Dio che si lega mani e cuore agli uomini e oggi, come nel passato, vuole intessere con loro un dialogo d’amore. Se il papa era preoccupato per le tensioni presenti nella Chiesa, soprattutto in Germania, egli non aveva perso la fiducia e la speranza. In particolare la via pulchritudinis, la via della bellezza è una strada di cui l’uomo non può fare a meno. Essa è particolarmente presente nella tradizione ebraico-cristiana. Al riguardo basta citare il verso del salmo n. 8 che recita: ‘Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?’ Ratzinger ne parla in particolare in un breve testo dedicato alla musica. Da dove ha origine la musica, da dove viene e dove tende? Benedetto individua tre esperienze fondamentali che sono, a suo dire, la scaturigine prima da cui nasce la musica. Anzitutto vi è l’amore. Quando gli uomini sono afferrati dall’amore si schiude loro un’altra dimensione dell’essere che li spinge ad esprimersi in modo nuovo, con la poesia, il canto, la musica. La seconda esperienza all’origine della musica è la sofferenza, il dolore, la morte. Anche qui vi è qualcosa di misterioso che l’uomo non riesce ad esprimere con le parole e deve ricorrere ad altra modalità espressiva, alla musica. Da ultimo, il terzo luogo nel quale quasi naturalmente ci viene incontro la musica è il mistero divino. Scrive al riguardo papa Benedetto: ‘Trovo commovente osservare come ad esempio nei Salmi agli uomini non basti più neanche il canto, e si fa appello a tutti gli strumenti’ per esprimere gratitudine ed adorazione verso Dio, origine del cosmo e dell’uomo”.