Roma , giovedì, 13. aprile, 2023 9:00 (ACI Stampa).
13 aprile 1945, venerdì. Il volto di un giovanissimo seminarista cade sulla nuda terra. Nuda come la terra del Golgota di Gesù Cristo. Anche quel giorno della Passione era stato di venerdì. Cristo prega sulla Croce davanti ai suoi aguzzini e il giovane con la talare prega il Padre nostro davanti al suo plotone d’esecuzione. Sul finire delle ultime parole della preghiera, il commissario politico del gruppo di partigiani gli spara due colpi di pistola. Il giovane muore. Quella talare aveva un nome: Rolando Rivi, martire in odio alla fede.
Il 5 ottobre 2013 verrà proclamato beato. Papa Francesco, il giorno dopo, dirà di lui all’Angelus in Piazza San Pietro: “Rolando Rivi fu ucciso nel 1945, quando aveva quattordici anni, in odio alla sua fede, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di violenza scatenata contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra”. E ancora: “Quanti giovani di oggi hanno davanti agli occhi questo esempio, un giovane coraggioso, che sapeva dove doveva andare, conosceva l’amore di Gesù nel suo cuore e ha dato la vita per Lui. Un bell’esempio per i giovani!”.
Ma chi era Rolando Rivi? Per rispondere a questa domanda basterebbe solo una frase, semplice, secca: un giovane che amava Cristo e i fratelli. Ed è stato così fin dalla sua tenera età, quando già nella sua vita si erano manifestati i primi semi di santità: a soli cinque anni già serviva Messa in chiesa; parroco, il suo caro amico e guida spirituale, Don Olinto Marzocchini. La prima comunione sarà nella festa del Corpus Domini il 16 giugno 1938. Il piccolo volto angelico, il corpo minuto, le mani pronte alla carità: era questo l’animo di Rolando Rivi. La settimana del giovanissimo Rolando era scandita dai suoi incontri col Signore: Messa e Comunione quotidiane; la Confessione settimanale; il Rosario alla Madonna ogni giorno. Un percorso nella fede e nella tradizionale devozione popolare che lo porterà a soli undici anni ad entrare nel seminario di Merola nella cittadina di Carpineti, vicino Reggio Emilia.
Quello stesso seminario, nell’estate del 1944, durante la seconda guerra mondiale, verrà però occupato dalle truppe tedesche. Rolando sarà allora costretto a far ritorno a casa, nella sua piccola cittadina del modenese, San Valentino, per continuare i suoi studi. Ma c’è un particolare, proprio di quel periodo: a differenza di altri suoi compagni, Rolando non smette di vestirsi con la talare, un signum della sua appartenenza al Signore. Dirà: “È il segno che io sono di Gesù”. Trascorre un anno circa mentre l’Italia vive il delicato momento storico della liberazione dalle truppe tedesche. E’ proprio in questo periodo che la storia italiana conosce uno dei suoi momenti più bui: tra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica italiana del 1946, per mano dei partigiani comunisti morirono più di 130 sacerdoti e religiosi; la maggior parte di loro barbaramente uccisa in quello che verrà denominato il “Triangolo della morte” dell’Emilia Romagna: Bologna, Modena e Reggio Emilia. In questo contesto si inserisce il martirio del Beato Rolando Rivi.
Era il 10 aprile 1945 quando, al mattino presto, il giovane seminarista era già in chiesa per la Messa cantata in onore di San Vincenzo Ferreri: la memoria liturgica - che cade cinque giorni prima, il 5 aprile - non era stata celebrata visto la concomitanza con l’Ottava di Pasqua. Rolando prende la strada di casa. I suoi genitori sono a lavorare nei campi; il giovane passa a casa per prendere alcuni libri per andare a studiare nei vicini boschi, complice la primavera ormai sbocciata. Da quei boschi incontaminati non farà più ritorno. I genitori lo attendono per il pranzo, ma quando non lo vedono tornare allora si inoltrano nella vicina campagna. Qui troveranno un biglietto: “Non cercatelo. Viene un momento con noi partigiani”.